È una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo provvisto di un ingente patrimonio debba essere in cerca di… *aggiungere sostantivo che più aggrada*. Un tempo si sarebbe scritto senza pensarci due volte: “moglie”. E infatti Jane Austen lo ha fatto. È così che parte il suo capolavoro intramontabile Orgoglio e pregiudizio, stabilendo fin da subito ciò che Elizabeth Bennet non vuole diventare (una moglie) e quello che, infine, diventerà (sempre una moglie).
Nel corso dei decenni, le versioni del libro pubblicato nel 1813, sono state varie ed eventuali. C’è stata la variante Bollywood con Matrimoni e pregiudizi (2004), l’aggiunta dei mostri con PPZ – Pride + Prejudice + Zombies (2016), tornando indietro al formato seriale del 1995, in cui Mr. Darcy era interpretato da un giovanissimo Colin Firth.
Un richiamo su cui ha battuto anche Il diario di Bridget Jones, in cui l’attore vestiva i panni di un personaggio con lo stesso cognome, ricalcandone i tratti caratteristici, un po’ come la storia rivisitata con protagonista Renée Zellweger, pur lontanissima dalla forza e dalla temerarietà della signorina Bennet.
Come sarebbe un Orgoglio e pregiudizio più inclusivo?
Se tra tutti questi, il preferito non può che rimanere l’adattamento classico del 2005 diretto dal britannico Joe Wright, c’è un altro titolo che potrebbe conquistare un pubblico più ampio e inclusivo, o semplicemente divertito dal lavoro di trasposizione di Joel Kim Booster, per la regia di Andrew Ahn.
Il riferimento è dichiarato: nel soggetto di partenza del loro Fire Island, per il comico e attore coreano Booster Orgoglio e pregiudizio risulta la base su cui cominciare a scrivere, interpretando anche il ruolo della suddetta Elizabeth Bennet, che prende stavolta il nome di Noah, con tutto un nuovo background alle sue spalle.
Single incallito che cambia partner ogni giorno, Noah (Joel Kim Booster) si imbarca per l’ultimo viaggio con gli amici sull’isola di Fire Island. Luogo deputato alla solita vacanza estiva della sua famiglia queer, nonché meta di punta per il turismo gay americano, fatto di case con piscina, feste tutte le sere e droghe da consumare sporadicamente.
La struttura piramidale che contraddistingue ogni società si ripropone in piccolo anche sull’isola – realmente esistente – posta sulla riva sud di Long Island, dove i ricchi ostentano quanto sono ricchi e i meno agiati si prendono gioco di loro, guardandoli con un’ironia mista a un pizzico di invidia.
Le differenze si amplificano in un ambiente così chiuso, in cui il continuamente precario Noah si scontra da subito con l’avvocato affermato Will (Conrad Ricamora). Personaggi di gruppi “avversari” che si uniscono per la sintonia scattata tra Howie (Bowen Yang) e Charlie (James Scully) – nel romanzo gli equivalenti di Jane e Bingley -, aprendo discorsi sulla differenza di classe, speculari a quelli da cui scaturiva lo scontro tra Elizabeth e Mr. Darcy.
Da classismo a dismorfofobia: le faide di Fire Island
Noah, Howie e il resto dei suoi amici si sentono presi in giro dal circolo di Charlie e Will, che fa di tutto per farli sentire inferiori, rimarcando l’abisso dei conti in banca che li contrappone, proprio come accedeva nell’Ottocento di Austen. Joel Kim Booster, però, aggiunge problemi legati alla modernità, sia di stampo LGBTQIA+ che individuale.
L’autore parla di dismorfofobia, di ghettizzazione all’interno della stessa comunità, facendo dire a Noah che no, lui e Will non sono uguali solo perché sono entrambi gay e asiatici, visto che il denaro ha il suo peso, e così il classismo che ne va derivando.
Con un tocco alla Mean Girls riscontrabile anche nella vita vera, il film rivela una dissonanza che non rende tutte le interazioni nella comunità davvero “arcobaleno”, mostrando i problemi che possono fiorire all’interno di una collettività che non è detto riesca sempre a sentirsi coesa.
Enemies to lovers, tattica vincente, sexy e senza tempo
Tornando invece alla dimensione della commedia romantica, la tensione sessuale tra Noah e Will è alle stelle. In Fire Island c’è la furbizia di saper utilizzare un genere – enemy to lovers – scegliendo interpreti carismatici e sexy che rendono piccanti i loro litigi, facendo scoccare la scintilla dalla sfuriata per farne carburante della loro attrazione fisica e amorosa. Facendo godere lo spettatore delle continue frecciatine, aspettando la stoccata finale.
Anche Jane Austen ne sarebbe fiera, lei che di un ballo con addetta dark room, se fosse esistito all’epoca, ne avrebbe senz’altro scritto – spiegandone implicazioni, gerarchie e azioni praticate da gentiluomini e gentildonne, in riferimento ad appositi scopi economici e sociali.
Il non voler diventare la moglie di nessuno – come cantò più di un secolo dopo la cantante olandese Anouk con la hit Nobody’s Wife – in Fire Island è andare anche oltre le convenzioni della conclusione romantica, di non poter accertare un futuro che sia sicuro o un amore stabile in cui, cara Elizabeth, alla fine sei cascata – e diciamolo, visto che si tratta di Mr. Darcy, per te è stata una fortuna.
Il matrimonio per la signorina Bennet è arrivato, per Noah e Will, invece, il destino si prospetta solo come la fine di una vacanza e l’inizio di una possibile, non necessaria, auspicata, non definita relazione. Forse anche a distanza. A ogni modo, hanno avuto modo di essere, per loro fortuna, due dei migliori personaggi derivativi dall’opera di Austen. Proprio come Fire Island.
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