Talk To Me: il successo dell’horror e il prequel già pronto. Parlano i registi

Dagli scherzi su YouTube a un posto nella programmazione di alto livello di A24, la storia di Danny e Michael Philippou, registi di Talk to Me, inizia nel 2023. I due gemelli australiani hanno iniziato a realizzare film horror fatti in casa all’età di nove anni e nel 2013 hanno fatto un ulteriore passo avanti […]

Dagli scherzi su YouTube a un posto nella programmazione di alto livello di A24, la storia di Danny e Michael Philippou, registi di Talk to Me, inizia nel 2023.

I due gemelli australiani hanno iniziato a realizzare film horror fatti in casa all’età di nove anni e nel 2013 hanno fatto un ulteriore passo avanti creando il loro canale YouTube, RackaRacka, che oggi conta quasi 7 milioni di iscritti. I video dei Philippous erano pieni delle solite buffonate di chi è cresciuto con la WWE, Jackass e i film horror, ma contenevano anche le ambizioni dei due fratelli.

Alla fine, i fratelli Philippou sono stati ispirati dal cortometraggio del loro amico Daley Pearson sulla possessione come mezzo per sballarsi, e da lì è nato Talk to Me. Avendo lavorato su set di film australiani come Babadook (2014), i gemelli hanno sfruttato le loro conoscenze alla Causeway Films e hanno contattato le fondatrici Kristina Ceyton e Samantha Jennings.

Le produttrici sono state subito conquistate da Talk to Me e hanno indirizzato i fratelli verso il sistema degli studios americani, ma i Philippous si sono un po’ irritati quando alcuni dirigenti hanno chiesto loro di riprendere i temi familiari del genere e di cedere il controllo creativo.

“Ci hanno dato degli appunti che non erano cattivi, ma che andavano in una direzione con cui non eravamo in sintonia”, racconta Danny Philippou a The Hollywood Reporter. “Volevamo avere un controllo creativo completo e non dover cambiare troppo la sceneggiatura. Volevamo anche avere l’ultima parola sul casting e sul montaggio”.

L’incipit in medias res di Talk to Me racconta la storia di due fratelli, Cole (Ari McCarthy) e Duckett (Sunny Johnson). Cole cerca disperatamente di rintracciare il fratello durante una festa in casa. Si capisce subito che Duckett è posseduto da qualcosa e la scena diventa disturbante e violenta, mentre i presenti guardano inorriditi o si scappano, con i cellulari in mano.

La sequenza con Cole e Duckett ha lo scopo di mostrare cosa c’è in serbo per la protagonista di Talk to Me, Mia (Sophie Wilde), e il suo gruppo di amici adolescenti. Tuttavia, i fratelli hanno anche girato una sorta di prequel su Duckett che sperano di far uscire prima o poi.

“Abbiamo già girato un intero prequel su Duckett. È raccontato solo attraverso la prospettiva dei telefoni cellulari e dei social media, quindi forse in futuro potremo farlo uscire”, dice Danny Philippou. “E poi, mentre scrivi il primo film, non puoi fare a meno di scrivere scene per un secondo film. Quindi ci sono già così tante scene. Se A24 ce ne desse l’opportunità, non sapremmo resistere”.

Di seguito, nel corso di una recente conversazione con THR, i fratelli Philippou spiegano anche il modo unico in cui hanno legato con il cast e la troupe durante le audizioni di Talk to Me. Hanno ricevuto anche un caloroso benvenuto da colossi del genere come Jordan Peele e Ari Aster.

Quindi è iniziato tutto con un’ossessione per Ronald McDonald? È questa la vostra storia come registi?

Danny Philippou: Il nostro percorso nel cinema è iniziato con un’ossessione per Chucky e i Piccoli Brividi di R.L. Stine.

Michael Philippou: Quella roba di Ronald McDonald era divertente. Abbiamo fatto un video e la gente ha amato così tanto il personaggio che abbiamo continuato a farne altri.

Danny Philippou: Ma il primo film horror l’abbiamo fatto quando avevamo nove anni. Si chiamava Il fenicottero malvagio e facevamo finta che la bambola dell’infanzia di nostra sorella andasse in giro a uccidere tutti i nostri amici.

Di recente ho fatto un profilo di James Wan, che quando era agli esordi, a Perth, si sentiva isolato, in una zona molto remota del mondo. Non aveva YouTube per lanciarsi e, come regista asiatico, non aveva esempi di registi di genere che avessero funzionato in quelle zone. Quindi, da australiani, James è stato un esempio per voi due?

Danny Philippou: James Wan, nel suo complesso, è una fonte di ispirazione, ed è una delle persone che vorrei davvero conoscere e che non ho ancora avuto la possibilità di incontrare. Ma venendo dall’Australia, è davvero incredibile che abbia fatto cose in modo indipendente e poi abbia costruito tutti questi franchise. Ha così tanto talento ed è stato sicuramente una fonte di ispirazione.

Michael Philippou: Per noi è stato un po’ l’opposto, perché loro [James Wan e Leigh Whannell] volevano realizzare il loro film [Saw] in Australia, ma l’Australia non poteva farlo. Così l’hanno realizzato in America, mentre Talk to Me doveva essere realizzato in America, ma poi l’abbiamo realizzato in Australia. Quindi è stato un po’ l’inverso.

Nel film, un gruppo di adolescenti tratta la possessione demoniaca come un droga da party, e vengono mostrati video fatti col cellulare di persone in preda alle convulsioni. Quei video fatti col cellulare sono simili a quello che ha ispirato il film, giusto? Avete visto il video di un vicino che ha le convulsioni durante un brutto trip?

Esatto. Ricordo di aver cercato di catturare la sensazione che avevo provato guardando quel video. Era davvero disturbante, a maggior ragione visto che conoscevo la persona. E il modo in cui le persone hanno reagito mi ha fatto pensare tipo: “Perché nessuno aiuta questa persona?”. Così abbiamo cercato di catturare questa sensazione con Talk to Me.

Quale mano avete usato per creare il calco della mano imbalsamata che connette gli spiriti con l’ ospite?

Danny Philippou: Quella di Bethany Ryan, la nostra scenografa. Abbiamo fatto tanti calchi diversi e non siamo mai riusciti a ottenere la cosa giusta. Ha fatto tutte queste prove e ha detto tipo : “Penso che debba essere così”. E ha iniziato a fare queste forme con la mano. Così ha infilato la mano nella cosa e quello è stato il calco finale che abbiamo fatto. Era perfetto.

Michael Philippou: È un po’ come scrivere. È stato più difficile da realizzare di quanto si possa pensare. Credo che abbiamo fatto circa 20 calchi o qualcosa del genere.

Quante di queste mani ci sono in giro?

Danny Philippou: Ce ne sono sei!

Michael Philippou: Tre di queste sappiamo dove sono, ma le altre tre sono nell’abisso da qualche parte.

Danny Philippou: Una è in camera mia. La cosa triste è che ti senti meno solo quando la stringi (ride).

Michael Philippou: È triste. Cazzo se è triste.

Durante il casting, avete fatto recitare a ciascun attore il suo personaggio normale e poi quello posseduto?

Danny Philippou: Ognuno ha recitato le possessioni degli altri, quindi ogni singolo attore ha fatto finta di baciare il cane sul pavimento. Lo abbiamo fatto anche noi. Lo hanno fatto anche la nostra produttrice e il nostro direttore della fotografia.

Lo hanno fatto praticamente tutti, così quando è arrivato il momento di andare sul set non c’è stato alcun imbarazzo. Tutti avevano già fatto tutte quelle cose. Si potevano anche prendere elementi dalle diverse interpretazioni di ognuno come aiuto per costruire la propria possessione.

Michael Philippou: Joe Bird è stato l’unico a fare la sua possessione durante le audizioni di Talk to Me. Non credo che nessun altro abbia fatto la propria possessione durante le audizioni.

Danny Philippou: Alexandria [Steffensen], che interpreta Rhea, la madre di Mia, ha letto la scena e Joe l’ha ascoltata attentamente e ha cercato di imitarla al meglio per riuscire a fare anche quella possessione. Questo faceva parte del suo processo.

Questi filmati sono stati tutti distrutti?

Danny Philippou: L’unica persona che vuole distruggere quella roba è la nostra produttrice Sam [Jennings]. Anche lei ha fatto le possessioni e ha detto: “Non pubblicatelo”. Era l’unica ad essere imbarazzata.

Sembra che nel casting vi siate concentrati su persone con occhi interessanti, in particolare Sophie Wilde e Joe Bird. Era una priorità per voi?

Michael Philippou: No! Forse inconsciamente.

Danny Philippou: Li abbiamo scelti per lo più per i video dei provini e per le loro personalità, per il modo in cui leggevano le battute e il modo in cui si impegnavano nella performance. È stato molto strano, perché una volta trovata una persona, abbiamo capito subito che era quella giusta.

Michael Philippou: È interessante che lei lo dica, ma no, non è stata assolutamente una decisione consapevole.

Danny Philippou: Però mi piace cavare gli occhi, come si può vedere nel film.

Otis Dhanji vi ha già perdonato per quello che avete fatto al suo personaggio, Daniel?

Michael Philippou: Certo, a Otis è andata proprio male. Quando l’abbiamo incontrato per la prima volta di persona, ci ha detto: “Avete mai pensato di dare alcune di queste scene ad altri personaggi? Perché sono sempre io a beccarmele?”.

Danny Philippou: È buffo perché alcune di quelle scene erano in effetti con altri personaggi, ma una volta che abbiamo riscritto e trovato la struttura e quello che è più significativo per la storia di Mia, sfortunatamente sono tornate tutte a lui. Nelle prime stesure non ci sono andato giù così pesante con lui, ma in quelle successive sì.

Michael Philippou: Se ci ha perdonato? Non lo so, ma vogliamo bene a Otis.

Danny Philippou: Sì, è stato un vero guerriero.

Michael Philippou: È una persona completamente diversa dal suo personaggio. È irreale. Questo ti dice quanto è bravo come attore.

Danny Philippou: Era completamente imbarazzato all’idea che la gente potesse pensare che avesse davvero baciato un cane, cosa che non è avvenuta. Il cane era una testa di burattino e poi abbiamo usato la computer grafica.

Michael Philippou: Sì, ha baciato la testa di un pupazzo e poi abbiamo fatto una ripresa con il cane che leccava il cibo.

Danny Philippou: Ed era un piede finto quello che veniva succhiato, quindi non è successo nulla a Otis.

Michael Philippou: Sì, sul set non era così selvaggio come nel film.

Danny Philippou: Nei titoli di coda diciamo: “Nessun animale è stato maltrattato e nessun cane è stato baciato”.

Avete davvero mostrato quanto la cultura del cellulare sia esasperante e invasiva. Quando i personaggi filmavano le possessioni, di solito c’era molta luce nella stanza, ma avevano comunque le torce attivate. Gli avete fatto accendere le torce solo per rendere i telefoni ancora più irritanti o inquietanti?

Danny Philippou: Sì, una cosa importante per noi è cercare di mostrare quella cultura del telefono, e lo si vede sempre, anche se è giorno (Danny alza il suo telefono con la torcia accesa). Le persone registrano senza le giuste impostazioni del telefono. C’è uno strano scollamento quando succede qualcosa di veramente estremo e qualcuno tira fuori il telefono e lo riprende. È come il video che ho visto dell’amico sul pavimento in preda alle convulsioni, quindi ci è sembrato naturale.

Michael Philippou: Il potere della tecnologia di oggi e dei social media in generale ha aspetti positivi e negativi. Quando i ragazzi crescono, la loro bussola morale non è ancora formata. C’è quindi un lato oscuro in cui non è permesso commettere errori. Si suppone che crescendo si commettano degli errori e che poi si impari da questi. Questo ti cambia e ti aiuta a diventare una persona migliore. Ma ora che tutto viene registrato, i tuoi errori possono essere immortalati e fatti vedere in giro, e ai ragazzi non è permesso commettere errori perché quelle cose possono essere tirate fuori in seguito per distruggerli. È un mondo strano quello in cui viviamo ora, e ne conosceremo gli effetti solo in futuro

L’avete accennato prima, ma all’inizio volevate realizzare questo film attraverso il sistema degli studios statunitensi. Quanto sarebbe stato diverso il film se non l’aveste realizzato in modo indipendente in Australia?

Danny Philippou: C’erano accenni al fatto che forse non volevano più girarlo con accenti australiani o addirittura girarlo in Australia. Questo ci ha davvero terrorizzato. Ci hanno dato degli appunti che non erano necessariamente cattivi, ma andavano in una direzione che non ci convinceva. Il modo in cui l’avevamo scritto non era tipico o qualcosa del genere. Non stavamo scoprendo completamente le origini e spiegando da dove veniva sullo schermo e parlando con l’esperto. Quindi volevamo avere un controllo creativo completo e non dover cambiare troppo la sceneggiatura. Volevamo anche avere l’ultima parola sul casting e sul montaggio finale.

Michael Philippou: Sì, anche il montaggio finale è stato una cosa importante. Teniamo moltissimo a ogni singolo fotogramma del film. Se qualcuno avesse il potere di cambiare le cose senza il nostro consenso, ci terrorizzerebbe. Quindi farlo in modo indipendente ci ha dato molto più margine di manovra, sapendo che il film sarebbe stato nostro e non frainteso da qualcun altro.

Nel vostro vlog sul Sundance, vari personaggi di Hollywood hanno avuto una parola gentile per voi. Ne avete ricevute molte altre nei mesi successivi?

Danny Philippou: Sì, un sacco di persone ci hanno contattato e mi sembra sempre così surreale.

Michael Philippou: Soprattutto per chi viene dall’Australia, dove l’intrattenimento non ha quel tipo di risonanza. Quindi avere persone di quel calibro che vedono il film è la cosa più folle in assoluto. Abbiamo fatto questa gigantesca campagna stampa e ci hanno detto: “Ragazzi, riposatevi ora che potete”. Ma poi vedi Guillermo Del Toro che twitta, dicendo: “Non vedo l’ora”. E ci siamo detti: “Oh mio Dio!”. Anche Leigh Whannell è venuto a una proiezione, e Hideo Kojima ci ha contattato e siamo usciti qualche volta. Con Ari Aster, ora siamo amici. Lo vedremo giusto oggi, dopo la proiezione.

Danny Philippou: Ma dobbiamo chiarire una cosa in quel video, perché c’è una piccola parte che è stata eliminata. I rappresentanti di Stephen King e Steven Spielberg si sono messi in contatto per un collegamento; non si sono messi in contatto personalmente. Quindi volevo solo chiarire questo punto per sicurezza. Ma Ari e Jordan Peele hanno contattato direttamente.

Si è parlato di un potenziale sequel? O addirittura di un prequel su Duckett (Sunny Johnson)?

Danny Philippou: Abbiamo già girato un intero prequel su Duckett, in realtà. È raccontato interamente attraverso la prospettiva dei telefoni cellulari e dei social media, quindi forse in futuro potremo farlo uscire. E poi, mentre scrivi il primo film, non puoi fare a meno di scrivere scene per un secondo film. Quindi ci sono già così tante scene per un Talk to Me 2. La mitologia era così fitta e se A24 ce ne desse l’opportunità, non sapremmo resistere. Sento che ci butteremmo a capofitto.

Michael Philippou: Abbiamo molte storie originali che vogliamo raccontare, ma anche la storia di Talk to Me ci entusiasma. Quindi non saremmo contrari all’idea di un sequel.

Danny Philippou: We do have another horror script called Bring Her Back that I’d love to make next.

Danny Philippou: Abbiamo un’altra sceneggiatura horror, intitolata Bring Her Back, che mi piacerebbe realizzare.

Michael Philippou: E un film d’azione.

Danny Philippou: E anche Street Fighter. Non si sa mai.

All’inizio del film, Mia (Sophie Wilde) cerca di convincere Jade (Alexandra Jensen) a lasciare che Riley (Joe Bird) afferri la mano, ma le cose si mettono subito molto male. Mia era ancora sotto l’influenza del demone senza saperlo?

Danny Philippou: Voglio lasciarlo aperto all’interpretazione, ma posso dire che il demone non se n’è mai andato. Lo mostriamo nella scena in cui la mano di qualcun altro viene inquadrata. È solo per dire che Mia non ha il controllo totale, a volte.

Come vi siete divisi il lavoro sul set? Uno di voi si è concentrato sulla performance, e l’altro sulla composizione con il direttore della fotografia?

Danny Philippou: Beh, Michael non è quasi mai stato sul set. Ci siamo assicurati di chiuderlo fuori dal set, quindi c’ero principalmente io.

Michael Philippou: Sta mentendo. Sei un idiota.

Danny Philippou: (ride)

Michael Philippou: Con YouTube, spesso era Danny che aveva l’idea e poi la giravamo insieme. Io ero davanti alla telecamera e Danny dietro. Danny faceva un montaggio grezzo, io facevo il montaggio finale e poi mi occupavo degli effetti sonori e della musica. E Danny si sarebbe concentrato sugli effetti visivi e sul colore. Quindi, durante la lavorazione, eravamo più coinvolti in questi reparti. Io mi occupavo molto di più del suono e della musica e Danny del colore. Ma sul set Danny era la voce principale che comunicava. Se avevo qualcosa come una direzione che differiva da quello che diceva lui, ne parlavo prima con lui e poi facevamo una ripresa in quel modo. È stato un bene essere in due, soprattutto nelle scene in cui c’erano molte persone. Danny poteva concentrarsi sulla parte principale e io potevo guardare le cose periferiche. Mi sembra che avere un co-regista sia un po’ come avere una scorciatoia. Non riesco a immaginare di fare tutto da solo.

Danny Philippou: Ma per quanto riguarda la scrittura, non sono mai riuscito a farlo con Michael. Se condividevo la sceneggiatura con lui, iniziava a distruggerla e a fare osservazioni molto brutali. Litigavamo sempre in fase di montaggio. È così che sfogavamo la nostra rabbia.

Il sound design è davvero notevole in Talk to Me. A un certo punto una donna canta e sembrava che fosse in sala. Quando Mia si schiaffeggia, il suono è elettrico. Sophie si è davvero schiaffeggiata quel giorno?

Danny Philippou: Sì.

Michael Philippou: Sì, era spaventoso nel film, ma anche sul set, perché ha iniziato a farlo davvero. È stato veramente terrificante sul set.

Danny Philippou: Eravamo nascosti nell’armadio accanto a lei, dando indicazioni, e poi ha iniziato a picchiare sulla cosa. Ed eravamo entrambi lì dentro a pensare: “Oh merda!”.

Michael Philippou: Temevamo che l’avrebbe colpita così forte che la porta si sarebbe aperta con noi dentro e avrebbe rovinato l’inquadratura.

Danny Philippou: Si è impegnata moltissimo e, per quanto riguarda il sound design, Michael è stato molto attivo. La sound designer, Emma Bortignon, è stata incredibile. Quello che lei e il suo team hanno fatto è stato incredibile. Ogni volta che gli davamo degli appunti, loro se ne andavano e quando tornavano era come se fosse Natale. Non potevamo credere alla potenza del suono. Ha persino personalizzato i diversi spiriti attraverso alcuni suoni, alludendo al modo in cui sono morti.

Michael Philippou: Sì, abbiamo imparato molto. È stato un processo incredibile. Mi interessa molto il suono e la musica, e credo di essere stato un po’ fastidioso e un po’ difficile da gestire, soprattutto durante il missaggio del film.

Danny Philippou: Era molto attento, al punto da dire: “È troppo alto di un dB”. La sound designer gli diceva tipo: “Stai zitto!”.

Michael Philippou: È che sono molto specifico. Fanno delle dissolvenze manuali durante il mixaggio e io riesco a sentire quando cala troppo velocemente. Quindi dò fastidio alle persone in questo modo.

Danny Philippou: Ma Emma e il suo team erano da dieci e lode. Sono i migliori.

C’erano alcune interessanti dinamiche di genere nel film, e ho apprezzato il fatto che non abbiate richiamato l’attenzione su nulla di tutto ciò. È semplicemente lì.

Danny Philippou: Grazie. Anche per quanto riguarda le etnie e le dinamiche dei personaggi, quando si è in un gruppo di amici, queste cose non vengono mai sottolineate. Le persone esistono tutte insieme e basta.

Michael Philippou: Siamo cresciuti in un ambiente molto multiculturale ed eravamo tutti amici.

Danny Philippou: Nelly, che è nel video del Sundance, era come una sorella maggiore e la ammiravo molto. Quindi si trattava di provare a mettere sullo schermo alcune di quelle cose. Anche durante le prove, abbiamo recitato scene della vita dei personaggi che non sono presenti nel film, per dare un senso alla storia.

Sam Raimi ha Bruce Campbell. James Wan ha Patrick Wilson. Avete già trovato la vostra versione di quella collaborazione?

Danny Philippou: Oddio, spero sia Sophie Wilde.

Michael Philippou: Fare un secondo film in cui Sophie non è la protagonista mi terrorizza. Sento che chiunque prendesse il suo posto, avrebbe di fronte un compito molto arduo.

Danny Philippou: Un compito quasi impossibile.

Michael Philippou: Oh, cavolo, l’idea di fare qualcosa senza Sophie è un po’ scoraggiante. Vale anche per molti membri della troupe, a dire il vero. Il nostro direttore della fotografia, Aaron McLisky, lo vogliamo per tutto. Samantha Jennings, vogliamo che produca tutto. Avevamo un cast e una troupe straordinari, e voglio riportare qui il maggior numero possibile di persone.

Danny Philippou: Abbiamo fatto un accordo con Sophie: in ogni film che faremo, anche se si trattasse di una piccola parte o di una comparsata, lei dovrà apparire in qualche modo. E lei ha accettato. Quindi, se questo va in stampa, lo evidenzieremo. Vogliamo davvero che lei torni.

Michael Philippou: Quando non lo farà, evidenzia anche questo, perché sei un impostore.

Danny Philippou: (ride)

Avete citato il nome del vostro direttore della fotografia, Aaron McLisky, quindi lo taglierò fuori dall’articolo per mantenere la coerenza con la Guida alla programmazione del Sundance. [nel loro vlog sul Sundance, i fratelli hanno preso molto in giro McLisky per essere stato omesso dalla rivista del festival – ndr].

I fratelli Philippou: (Danny e Michael saltano dalla sedia e scoppiano a ridere).

Michael Philippou: Povero McLisky!

Danny Philippou: Oddio, è così divertente.

Michael Philippou: Non ho potuto fare a meno di prenderlo in giro per questo. C’è un lato positivo, comunque, meno persone sanno di lui, più possiamo usarlo noi.

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Talk to Me è ora nelle sale negli Stati Uniti, in Italia uscirà il 28 settembre. Intervista tagliata per motivi di lunghezza e chiarezza.

Traduzione di Nadia Cazzaniga