La sera del 20 novembre 1983 gli americani avevano molte possibilità di scelta su cosa guardare in televisione. Sulla Cbs potevano godersi una serata di sitcom, iniziando con Alice, passando poi per I Jefferson e Signore e signori buonasera, per concludere infine la visione in prima serata con un episodio di Trapper John.
Sulla Nbc, invece, c’era la prima parte di Kennedy, una miniserie di cinque ore in cui Martin Sheen sfoggiava uno spessissimo accento bahsoniano (di Boston) interpretando, tanto per cambiare, un presidente che non si chiamava Bartlet. Ma la maggior parte delle persone – ben 100 milioni – quella sera ha scelto di sintonizzarsi sulla Abc, dove ha assistito alla fine del mondo.
Oltre allo sbarco sulla Luna, è difficile pensare a un momento televisivo che abbia avuto un impatto maggiore sulla psiche collettiva di The Day After – Il giorno dopo, il dramma della Abc che descriveva le conseguenze di un attacco nucleare sugli Stati Uniti. La sua messa in onda 40 anni fa – commemorata il 4 dicembre con un nuovo documentario della Pbs e un libro appena pubblicato sul film, Apocalypse Television – non solo terrorizzò la nazione: potrebbe anche aver alterato il corso del destino umano, che a quel tempo, nel pieno della Guerra Fredda, sembrava precipitare verso un’inevitabile resa dei conti atomica.
È un punto di snodo storico su cui vale la pena soffermarsi un attimo: la rete che ha sfornato Love Boat e Tre cuori in affitto, che ha fatto conoscere al mondo Donny & Marie e Love, American Style, potrebbe aver salvato il pianeta dall’annientamento nucleare.
Uno spettatore speciale: Ronald Reagan
“Sono convinto che sia vero”, afferma Nicholas Meyer, 77 anni, che ha diretto il film di tre ore. “Il film potrebbe davvero aver contribuito a prevenire una guerra nucleare. Di sicuro ha fatto cambiare idea a una persona sull’argomento e si dà il caso che quella persona fosse il presidente degli Stati Uniti”. Ronald Reagan scrisse di aver visto il film nel suo libro di memorie. Il suo biografo, che ha trascorso tre anni alla Casa Bianca, afferma che l’unica volta che ha visto Reagan andare fuori di testa è stato dopo aver visto il film. In definitiva, mandò Reagan su tutte le furie, tanto da fargli firmare il trattato sui missili intermedi, l’unico trattato che abbia mai portato allo smantellamento fisico delle armi nucleari.
L’ideatore di The Day After, colui al quale va la maggior parte del merito non solo per aver concepito l’idea, ma anche per aver convinto una riluttante Abc a mandarla in onda, è Brandon Stoddard, all’epoca dirigente del network responsabile dei film per il canale tv. Stoddard, morto a 77 anni nel 2014, si era già fatto un nome come produttore di Radici del 1976, una delle prime miniserie televisive e di per sé un evento culturale fondamentale.
Si suppone che l’idea per The Day After gli sia venuta guardando Sindrome cinese, il film di Michael Douglas del 1979 che raccontava di un reattore nucleare in procinto di esplodere e che, in uno straziante esempio di vita che imita l’arte, uscì poco prima del disastro di Three Mile Island. “Brandon rimase sbalordito da Three Mile Island”, ricorda Meyer. “Ed è così che gli venne in mente The Day After. E se mostrassimo uno scambio nucleare e cosa succederebbe alle persone normali se venissero colpite da un’atomica?”.
Le reazioni del network televisivo
Non sorprende che i dirigenti della Abc non fossero del tutto d’accordo con la visione di Stoddard. All’epoca i maggiori successi del network erano spettacoli come Happy Days e Kung Fu. L’idea di realizzare un film per la televisione in cui persone normali vengono spazzate via da un’esplosione nucleare sembrava decisamente fuori luogo.
Ma Stoddard era un tipo ostinato: assunse Edward Hume, che aveva scritto per show come Barnaby Jones e Le strade di San Francisco, per mettere insieme una sceneggiatura. Hume, che è morto all’inizio del 2023 all’età di 87 anni, propose una storia ambientata a Lawrence, nel Kansas – il centro geografico degli Stati Uniti continentali – e incentrata su come i sopravvissuti a uno scambio nucleare avrebbero affrontato le conseguenze dell’Armageddon.
In qualche modo, dopo molti compromessi (Stoddard voleva inizialmente un progetto di due serate, ma si accontentò di un film di una sola serata), la pellicola fu messa in produzione, con un cast che comprendeva Jason Robards, John Lithgow, JoBeth Williams e Steve Guttenberg. Ma anche dopo la fine delle riprese, fu una battaglia difficile convincere la Abc a mandarlo in onda.
Le opposizioni e le pressioni politiche al film
Innanzitutto, ci furono notevoli pressioni politiche. I gruppi conservatori scesero in campo contro il network, sostenendo che il film fosse propaganda sovietica volta a minare il deterrente nucleare americano, anche se la sceneggiatura di Hume non identificava mai chi avesse lanciato l’attacco contro gli Stati Uniti o perché. Inoltre, l’argomento della guerra atomica era, come prevedibile, pericoloso per gli inserzionisti. Questi iniziarono a ritirarsi in massa. “General Foods, General Motors, General Mills: tutti i generali scapparono via”, ricorda Meyer.
Tuttavia, Stoddard continuò a insistere e i vertici della Abc cedettero, liberando una domenica sera di novembre per The Day After, rassegnandosi a quello che erano certi sarebbe stato un disastro di ascolti. Dopotutto chi, sano di mente, vorrebbe guardare un film sulla fine del mondo? Alla fine, ovviamente, lo hanno fatto quasi tutti.
“Avevo solo cinque anni quando lo trasmisero in tv”, ricorda Jeff Daniels, l’ormai quarantacinquenne regista di Television Event, il documentario della Pbs su The Day After. “Tutta la mia famiglia lo guardò nel seminterrato di casa nostra, nel Queens. Erano abbastanza intelligenti da mettermi a letto prima che le bombe iniziassero a cadere, ma ero terrorizzato lo stesso. Fu allora che iniziarono i miei incubi di tutta la vita sulla guerra nucleare”.
E non solo i suoi. L’intera nazione – o almeno quei 100 milioni che si sintonizzarono sul film, rendendolo ancora oggi il film televisivo più visto di tutti i tempi – rimase traumatizzata. Il centralino della Casa Bianca venne tempestato di telefonate di cittadini terrorizzati, mentre gli attivisti antinucleari lanciarono il movimento “Let Lawrence Live”. Ted Koppel dedicò un intero speciale del telegiornale a The Day After, schierando un gruppo di esperti di prim’ordine – William F. Buckley, Carl Sagan, Henry Kissinger, Robert McNamara, Elie Wiesel – per discutere della politica nucleare americana. “C’è una buona notizia, e probabilmente ne avete bisogno in questo momento”, aveva esordito Koppel. “Se potete, date un’occhiata veloce fuori dalla finestra. È ancora tutto lì”.
I diari di Reagan
Ronald Reagan guardò il film a Camp David e più tardi, quel giorno, annotò le sue impressioni nei suoi diari. “C’è Lawrence nel Kansas spazzata via in una guerra nucleare”, scrisse. “È un’opera potente. È molto efficace e mi ha lasciato molto depresso”. Quattro anni dopo, nel 1987, Reagan sarebbe volato a Reykjavik, in Islanda, per stipulare con il leader sovietico Mikhail Gorbaciov il trattato Icm che portò allo smantellamento di migliaia di missili nucleari.
Eppure, nonostante tutto, 40 anni dopo alcune cose non sono cambiate affatto. Di recente, Meyer ha proposto un reboot del film a una serie di produttori, aggiornando le premesse e mostrando l’impatto di uno scambio nucleare a livello mondiale, con trame ambientate in varie città del mondo. “Nessuno voleva toccarlo”, afferma. “È stata la stessa reazione di Brandon. Chi vuole vedere un film sulla guerra nucleare?”.
Traduzione di Pietro Cecioni
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