The Rapture, la recensione: amore, bugie e solitudini per un esordio compiuto

Iris Kaltenbäck, dopo la Semaine de la Critique di Cannes 2023, porta in concorso al Torino Film Festival il suo esordio alla regia dove vince il premio speciale della giuria. Protagonista un'eccezionale Hafsia Herzi - a lei il riconoscimento come miglior attrice - nei panni di una donna dal disperato bisogno di amare ed essere amata

Un bus e un percorso sempre uguale. Da un capolinea all’altro della città. Stesse strade, stesse fermate e spesso anche stessi passeggeri. Come Lydia (Hafsia Herzi), giovane ostetrica in una Parigi che rimane sempre sullo sfondo nel potente esordio di Iris Kaltenbäck: The Rapture (Le Ravissement in originale). Presentato durante la Semaine de la Critique di Cannes 2023 e in concorso al Torino Film Festival – dove ha vinto il premio speciale della giuria e il premio per la miglior attrice- il film è un’indagine sulla solitudine e il disagio psichico raccontati attraverso la parabola della sua protagonista.

Lasciata dal compagno dopo una convivenza di tre anni, Lydia si ritrova sola a rimettere in ordine i pezzi di una vita che credeva intatta. Parallelamente la sua migliore amica Salmoé (Nina Meurisse) rimane incinta. La felicità per la notizia si mischia a un senso di fallimento personale. Come se la sua esistenza fosse in un limbo e quella dell’amica procedesse senza intoppi. Su quel bus che prende tutti i giorni nel tragitto casa/lavoro incontra il conducente Milos (Alexis Manenti) con il quale trascorre una notte. Nove mesi dopo confida all’uomo che quell’incontro casuale ha dato il via a una gravidanza.

Una scena di The Rapture

Una scena di The Rapture

The Rapture: un esordio compiuto

La figlia di Salmoé, Esmée “colei che è amata”, per un pomeriggio alla settimana diventa agli occhi del mondo e di Milos la bambina sua di Lydia. Un segreto enorme – di cui l’uomo è all’oscuro – che cresce di giorno in giorno e dal quale è impossibile tornare indietro. The Rapture è un film che non vuole dare risposte ma si milita a mostrare la storia di una donna che perde il contatto con se stessa e la realtà che la circonda per avere “una sola ora di felicità”. La storia è raccontata con la voice-over di Milos che, mesi dopo gli avvenimenti, cerca di ricostruire e capire (invano) i passaggi che hanno portato Lydia a mentire e costruire un castello di menzogne nel quale è rimasta prigioniera.

Una storia d’amore complessa ma anche profondamente commovente. Hafsia Herzi è eccezionale nel dare voce e corpo al suo personaggio. Dalla luce nel suo sguardo nelle scene iniziali alla tenerezza con cui si prende cura di Esmée fino alla disperazione di chi sa che non può fare altro che arrendersi e accettare il proprio destino. Kaltenbäck non cerca e non dà risposte. Semplicemente racconta la storia di una donna dal bisogno disperato di essere amata e di amare. Un esordio compiuto sotto il punto di vista narrativo e stilistico che la fotografia di Marine Atlan illumina di verde, rosso e giallo nelle notti parigine bagnate da un pioggia leggera che accentuano quel senso di solitudine che permea il film e la vita di Lydia.