Un ring vuoto, come gli spalti che lo circondano, ripreso in lontananza. È la prima immagine di The Warrior – The Iron Claw, il film diretto da Sean Durkin ispirato alla tragica storia vera della famiglia di wrestler capitanata dal patriarca Fritz Von Erich. Wrestler lui per primo che ha cresciuto i suoi figli Kevin (Zac Efron), Kerry (Jeremy Allen White), David (Harris Dickinson), Mike (Stanley Simons) con il solo obiettivo di farne dei campioni.
The Warrior – The Iron Claw e la maledizione dei Von Erich
Un ring vuoto. Perché anche se la loro vita l’hanno passata ad allenarsi e combattere come unico imperativo, come unica prerogativa per essere amati da quel padre allenatore (e padrone), su quel quadrato delimitato da corde elastiche che li risputava al centro dell’azione non resterà nessuno. Una storia vera di sport, ambizione, fallimenti. E una maledizione. Quella che, ne è certo Kevin, perseguita lui e i suoi fratelli da quando sono nati. Da quando, cioè, il maggiore di loro, Jack Jr., morì ancora bambino.
Ambientato nel Texas della fine degli anni Settanta, The Warrior – The Iron Claw è un film fatto di sudore, vene e muscoli. Quelli dei fratelli Von Erich, uniti da un legame profondissimo. Un branco, che si ama e si supporta, ma che è spinto da una competizione latente per indossare la cinta di campione del mondo e salire in graduatoria nelle preferenze paterne. Lui che sul ring aveva perfezionato una mossa, quella dell’artiglio, con la quale finiva i suoi avversari. Lo stesso artiglio con il quale tiene stretti in una morsa i suoi ragazzi che, sotto il peso di quelle aspettative, cadranno come action figures manovrate da un bambino troppo irruento.
Un film profondamente americano
Cresciuti in un ranch, tra carta da parati, crocifissi appesi al muro, trofei e vetrinette piene di pistole, Kevin, Kerry, David e Mike sono diventati uomini senza un modello sano a cui guardare. La loro maledizione è il padre, emblema di un maschile tossico incapace di amare. Sean Durkin calca la mano sulle dinamiche familiari e relega il wrestling a una serie di sequenze che si limitano ad accennare alla sua natura teatrale, alla messa in scena costruita a tavolino.
Un colpo andato a vuoto per un film imperfetto seppur valido nella sua riflessione sull’ossessione per la vittoria e il terrore per la sconfitta. Un film profondamente americano che degli Stati Uniti riflette proprio quella dicotomia e in cui spiccano le prove attoriali di un gruppo di interpreti che hanno messo – letteralmente – anima e corpo per dare vita ai fratelli Von Erich.
A iniziare da uno scultoreo Zac Efron, che di questa storia è il baricentro. Una maschera trasfigurata e un corpo programmato per vincere e soffrire. È lui il custode della memoria di un gruppo di giovani uomini legati dall’amore reciproco e dall’ambizione. Harris Dickinson, talento puro e volto da cinema dalla forza magnetica, è la vera sorpresa del film capace di spiccare e rubare la scena – nel pellicola così come nella realtà – ai co-protagonisti. E poi c’è Jeremy Allen White. L’attore di The Bear gioca la sua interpretazione sui silenzi, incassando colpi sul ring e dalla vita, fino ad un monologo finale che ne sottolinea la natura dilaniata di uomo e sportivo. Una storia di fratellanza e sangue.
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