“Ho voglia di raccontare storie per un pubblico più giovane, affinché capiscano che questi conflitti sono sempre esistiti”. Marc Forster, t-shirt nera e atteggiamento rilassato, è circondato da ampie vetrate da cui svetta rigogliosa una fitta vegetazione. THR Roma ha incontrato il regista di Neverland, Quantum of Solace e World War Z per parlare del suo ultimo film Wonder: White Bird, in sala dal 4 gennaio con Notorious Pictures. Lo spin-off e sequel di Wonder, film del 2017 con Jacob Trembaly, Julian Roberts e Owen Wilson.
Il racconto delle vicende di August Pullman, ragazzino affetto da una deformazione craniofacciale, che per la prima volta affronta il mondo della scuola dove sarà vittima di bullismo da parte di Julian Albans (Bryce Gheisar) che ritroviamo protagonista in questo nuovo capitolo, adattamento della graphic novel di R.J. Palacio.
Espulso dalla scuola e impegnato ad ambientarsi nel nuovo istituto, Julian viene sorpreso dalla nonna, interpretata da Helen Mirren, che gli fa visita da Parigi per raccontargli la storia della sua infanzia. Di come lei, giovane ragazza ebrea nella Francia occupata dai nazisti, fu nascosta e protetta da un compagno di classe la cui sensibilità e coraggio le salvarono la vita.
Le tematiche affrontate nel suo film risuonano molto attuali…
È stato interessante quando ho ricevuto la sceneggiatura, erano passati tre mesi dall’inizio della pandemia. E tutti erano già in isolamento. Mi sono ritrovato a leggere di una ragazza nascosta in una stalla. Ho subito pensato: “Capisco come ci si sente”. Ho avuto la fortuna di non essere in un fienile, ma capivo comunque che il mondo intero si sentiva improvvisamente isolato nei propri appartamenti. E all’improvviso mi sono sentito connesso alla storia. Ho pensato però anche che c’erano già molte sceneggiature e molti film sull’Olocausto.
Questo l’ha frenata dall’accettare la regia?
No, perché ho pensato che Wonder White Bird avesse un approccio diverso. Penso riguardi davvero la storia d’amore dei due protagonisti che si cambiano a vicenda attraverso la gentilezza. Sentivo inoltre che viviamo in un’epoca in cui tutto ciò di cui abbiamo bisogno sia empatia e gentilezza reciproca. Basta guardare al mondo e a tutti i conflitti in corso. Ho voglia di raccontare storie per un pubblico più giovane, affinché capiscano che questi conflitti sono sempre esistiti. Ma che, alla fine, siamo tutti connessi.
Il suo film è un inno all’immaginazione e al cinema. Cosa rappresenta per lei?
Sono cresciuto in Svizzera, sulle montagne di Davos. Dalla prima volta in cui sono andato al cinema, per me è ha sempre rappresentato una via di fuga. È sempre stato un modo per esplorare la mia immaginazione e comprendere il mondo. Molte volte quando vedevo dei film, non conoscevo le diverse culture o quanto fossero differenti le persone rispetto a me. Ricordo molto chiaramente di aver sempre avuto questo tipo di amore per il cinema. Penso a Nuovo Cinema Paradiso e a come certi film cambino e colpiscano le persone.
Molti bambini e adolescenti vedranno il suo film. Ha sentito un senso di responsabilità quando si è avvicinato a questo progetto? E cosa spera che imparino dalla storia di Julian?
Come nel primo capitolo di Wonder, ovviamente anche qui il bullismo è un grosso problema. E spero che le persone non vedano gli altri solo in superficie, ma che sappiano sempre che dietro la nostra facciata esterna abbiamo tutti lo stesso aspetto e che siamo tutti connessi attraverso il nostro cuore. Anche solo essere in grado di trattare le persone con rispetto e gentilezza, penso sia molto importante. Oggi più che mai. La tecnologia può essere molto vantaggiosa per il modo in cui comunichiamo. Ma, soprattutto ora che stiamo entrando sempre più nella fase dell’intelligenza artificiale, dobbiamo stare attenti a trovare un equilibrio tra noi e la tecnologia.
Parlando di equilibrio, come ha gestito visivamente la narrazione? C’è una parte del film ambientata ai giorni nostri e un’altra durante la guerra con una lunga parentesi concentrata in una stalla.
Il 70% della sceneggiatura è all’interno della stalla. Ero un po’ nervoso all’inizio, temevo diventasse noioso. Abbiamo fatto in modo che non fosse troppo claustrofobico, anche se volevamo che fosse quello il luogo grazie al quale i due protagonisti si avvicinano. La loro storia d’amore diventa il centro della narrazione. Ho giocato molto per assicurarmi che ci fosse un equilibrio tra il mondo esterno e quello interiore in cui si riflette l’immaginazione di Sarah adolescente.
Wonder White Bird parla anche dell’importanza di tramandare storie. Pensa che il cinema abbia una responsabilità in questo senso? Oppure è solo intrattenimento?
No, non credo sia solo intrattenimento. Penso che il cinema possa ancora influenzare e cambiare il mondo. Può farlo anche quando in Star Wars viene pronunciata la celebre frase: “Che la forza sia con te”. Tutti possono connettersi a quella battuta. E penso che sia uno dei motivi principali per cui il film all’epoca divenne un fenomeno culturale. Sento che il cinema influenza ancora oggi tante persone. La scorsa estate, con Barbie e Oppenheimer, è stato un tale evento di massa che dovevi per forza andare a vedere il film se poi volevi avere una conversazione con gli altri.
Sarah insegna a suo nipote il coraggio di essere gentile. Perché secondo lei la gentilezza è un atto di coraggio e non un gesto semplice e naturale?
Quando sei gentile, ti rendi vulnerabile. E nel momento in cui ti mostri in quel modo, le persone possono attaccarti. Quando sei gentile le persone ti rispettano meno di quando non lo sei. Anche su un set cinematografico. Non mi piacciono le persone che urlano o parlano ad alta voce. Preferisco un’atmosfera di basso profilo. Anche se conosco un sacco di registi che urlano (ride, ndr). Sento però che posso ottenere un lavoro migliore e una collaborazione migliore dalle persone semplicemente non avendo quello stile di leadership.
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