Momenti, di Antonio Monda: il non detto terrificante in M – Il mostro di Düsseldorf

Il film del 1931 di Fritz Lang è un racconto umano complesso su una figura ambigua che suscita reazioni contrastanti. Sono molte le scene memorabili, a partire dal riflesso nello specchio dell'assassino interpretato da Peter Lorre

“Quando cammino per le strade ho sempre la sensazione che qualcuno mi stia seguendo, sono invece io che inseguo me stesso”, diceva così di sé M – Il mostro di Düsseldorf durante la scena del processo. Una delle più intense del capolavoro del 1931 di Fritz Lang.

A interpretare Hans Beckert, assassino seriale e crudele pedofilo, è Peter Lorre in un ruolo complesso e disturbante. A causa dei suoi crimini, Beckert attira su di sé le ricerche della polizia che a sua volta disturba i traffici criminali della città. L’uomo quindi si ritrova preda di una doppia caccia, da parte dei criminali che vorrebbero linciarlo e da parte delle forze armate che alla fine lo arrestano. Lang lascia di proposito in sospeso il destino del protagonista, portando il pubblico a chiedersi quale sia la pena più adatta al mostro.

Il regista usa questa terribile storia per creare un ritratto umano complesso, tra i facili entusiasmi della folla pronta al linciaggio e gli infestanti dubbi morali legati a una possibile pena di morte. Nella memoria del pubblico, tuttavia, i momenti che restano più impressi sono quelli iniziali e le scene più evocative, in cui anche il mostro per la prima volta si scopre come tale. Dallo sguardo allo specchio, con il marchio (‘M’) ben visibile allo specchio, fino all’omicidio fuori campo di una bambina che abbandona la sua palla mentre un palloncino vola via.

“Io ho fatto questo? Ma se non ricordo più nulla! Ma chi potrà mai credermi? Chi può sapere come sono fatto dentro e cos’è che sento urlare nel mio cervello e come uccido?! Non voglio! Devo! Non voglio! Devo! E poi, sento urlare una voce e io non la posso sentire!”, afferma Beckert. E il pubblico la sente eccome quella voce.