Un’altra storia di Antonio Monda: e se quel Viale del tramonto hollywoodiano fosse un horror d’autore?

Il film di Billy Wilder con Gloria Swanson, nel 1950, già criticava uno star system capriccioso e sull'orlo del declino. Con un nuovo linguaggio, ha riscritto la storia del genere noir

Un morto che parla in prima persona Hollywood non l’aveva mai visto: Viale del tramonto è una rivoluzione. Nel 1950 Billy Wilder non ha realizzato ancora nemmeno la metà dei film che lo consegneranno alla storia del cinema come uno dei più grandi registi mai esistiti, eppure ha il coraggio di rischiare con un film che decreta, tra metafore e allegorie, la fine della grande Hollywood classica. Tanto che ancora oggi il titolo della sua opera diventa l’epiteto di ogni grande cosa che si appresta a una naturale fine.

Viale del tramonto è un’aspra critica allo star system capriccioso e in declino che, tuttavia, non smette di affascinare ogni volta che un occhio di bue arriva con il suo fascio di luce a colpire il volto di una diva, facendo dimenticare a tutti, regista compreso, la sua mortalità. Hollywood ha creato gli dei, e poi li ha distrutti per trovarne di altri. Norma Desmond (Gloria Swanson) è la dea di Billy Wilder, la star che non accetta la fine del suo tempo e che, fino all’ultimo, è alla ricerca del suo primo piano, a qualunque costo.

Questo è il senso del flashback iniziale nel film di Billy Wilder. Un flashback, appunto, narrato dalla vittima, Joe Gillis (William Holden), da un cinema che è già morto nelle premesse e da cui non esiste via d’uscita. Come in un horror d’autore.

Che questa fosse una metafora di Billy Wilder per raccontare la prima caduta e la prima resurrezione della settima arte, quella dopo l’introduzione del sonoro, oggi è ampiamente riconosciuto. Ma se invece fosse stato solo un esperimento estetico? Chi lo sa, questa è tutta un’altra storia.