Cosa ne pensano lì in Ticino degli scioperi di Hollywood? Di quello degli attori, in particolare, che ha sottratto alla kermesse alcuni degli ospiti più importanti? La risposta è estremamente facile.
Il Locarno Film Festival è da sempre uno spazio di libertà d’espressione e politicamente impegnato. Lo abbiamo visto pochi giorni fa: due giovani attivisti per il clima, un ragazzo e una ragazza di Renovate Switzerland, sono arrivati sotto al palco per protestare. Intervenuta la sicurezza, è stata fermata – la sicurezza, non la protesta – dal presidente uscente Marco Solari e dal direttore artistico Giona Antonio Nazzaro. “Giusto avere il coraggio delle proprie idee, giusto darvi l’occasione di esporle” e poi, più tardi: “Tremavano come due foglie, ci vuole coraggio per portare avanti le proprie opinioni”, ha detto con signorilità il primo, ribadendo lo spirito profondo di un evento che ha nel rigore e nella passione – anche per gli ideali, e non solo per il cinema – il suo marchio di fabbrica.
Non a caso, rivendica il direttore artistico, quello di Locarno è stato il primo grande festival a “schierarsi senza alcuna convenienza a favore di uno sciopero che ha richieste giuste, e lotta per due principi fondamentali: la trasparenza dei dati e l’uso regolamentato delle IA. Non è possibile che l’immagine di un attore deceduto possa essere sfruttata commercialmente o artisticamente. Pensiamo alla scena post credit di Flash, con due interpreti che non volevano più avere a che fare con Superman e invece si sono ritrovati a incarnarlo di nuovo. Se ci pensiamo, tutto è nato con la causa di Scarlett Johansson per i diritti di sfruttamento della sala di Black Widow, poi andato in piattaforma: lei ha affermato un diritto sacrosanto”. E probabilmente aperto una strada verso l’attuale mobilitazione.
David Krumholtz, protagonista e mattatore di uno dei titoli migliori del concorso – la commedia implacabile su vita, morte, Francis Scott Fitzgerald e sanità privata nordamericana, Lousy Carter – e celebre in tutto il mondo per il personaggio di Charlie Eppels, lo scienziato detective della serie tv Numb3rs (prodotta da Ridley e Tony Scott), è qui grazie a un waiver (un permesso) della SAG-AFTRA. “Ci siamo accordati, dopo una lunga discussione nel SAG, su nuovi criteri riguardanti la promozione dei film indipendenti. Per non penalizzare le opere più piccole, soprattutto le più meritevoli che hanno ottenuto selezioni a prestigiosi rassegne internazionali, abbiamo deciso di lasciare una porta aperta. Non volevamo che fossero penalizzate, ecco perché ci siamo battuti per il permesso di cui usufruisco anche io qui. Non è un tradimento della regola, ma una sospensione della stessa per il bene del cinema e di chi ha meno mezzi. Non è una sconfitta”.
Un’affermazione che risponde idealmente alle parole di Pietro Scalia, che proprio qui a Locarno si è detto dalla parte degli scioperanti, ma contrario alle eccezioni: “Lo sciopero è la vittoria, abbiamo già vinto, ci siamo dimostrati uniti su un fronte fondamentale per il nostro futuro. Ora non hanno alcuna altra possibilità che ascoltarci. E fare ciò che chiediamo”. Più graffiante e ironico il regista del film Bob Byington, che proprio nei suoi paradossi comici si mostra più radicale. Confessa di “essere un perdente nella vita, sono abituato alla sconfitta. Per come la vedo io tutto è molto semplice, nel business dello spettacolo, a un certo punto, attori e sceneggiatori hanno capito di non essere ricompensati neanche lontanamente in proporzione ai guadagni generati dal loro lavoro. Bisogna cambiare le regole, ripartire le ricchezze. Poi intendiamoci, le grandi società e le piattaforme fanno bene a fare ciò che fanno, se la legge glielo permette. Io, se non temessi di venire arrestato, metterei tranquillamente le mani nelle tasche di David, rubandogli tutto. Quello che sta succedendo è lo specchio di un paese, di un mondo: tutti dovrebbero scioperare per combattere una logica che ormai è alla base di ogni cosa”. Entrambi sono pessimisti sulla possibilità che gli scioperi possano aiutare il cinema indipendente, nordamericano e non. “In un mondo ideale andrebbe così, ma non sarà questo il caso – chiosa Krumholtz -. Il potere trova sempre il modo di girare tutto verso il proprio tornaconto. E mi sembra che gli attori europei siano ancora più in difficoltà nel fare cinema indipendente. Credo che i nostri colleghi oltreoceano siano al limite della sopravvivenza, l’europendent cinema – ti piace il neologismo? – non lo vedo benissimo”. E Bob interviene a quel punto con una battuta feroce. “A questo punto mi sposterò in Europa e sfrutterò le loro condizioni miserabili”.
Ci mette dell’umorismo – tutto figlio della sua ironia delicata e arguta – anche il Pardo alla carriera Tsai Ming-liang. “L’Intelligenza Artificiale non la conosco, anzi non la capisco. Al ristorante per ordinare mi chiedono di usare il QR code, ma io mi impunto e mi faccio portare il menù di carta. Per preoccuparsi di come qualcosa potrebbe usare te, dovresti cominciare a usarla almeno tu stesso”. Anche lui si dice scettico sulle opportunità che la serrata possa aprire nuove possibilità per le cinematografie indipendenti. “Non so se lo sciopero potrà aiutare gli altri paesi ad affermarsi. Anche lì torna il tema della tecnologia, e il problema è che è sempre un passo avanti a noi. Soprattutto davanti a me. La domanda è: come sta cambiando la nostra vita, il nostro modo di esprimerci?. Può facilitarci la vita solo se impariamo a controllarla, a usarla a nostro vantaggio e a far sì che non sia lei a dominarci”.
E se Nazzaro fa notare che la IA è un tema di dibattito dai tempi di Brandon Lee e del suo avatar post mortem ne Il Corvo, Lambert Wilson ricorda che “da 20 anni conosco i pericoli dell’intelligenza artificiale, da quando con la motion capture mi hanno preso voce, smorfie, gesti, lineamenti per il videogioco Enter the Matrix. Con quello che hanno potrebbero dichiarare una guerra a mio nome”.
Polemico Ken Loach, che invece di sostenere gli sceneggiatori in sciopero, li pungola sui contenuti che veicolano con il loro lavoro. “È una lotta industriale. L’industria del cinema è capitalista e in quanto tale proverà a sfruttare le persone che vi lavorano. Lo sciopero è il risultato dell’ipercapitalismo che è alla base del settore dell’audiovisivo. Hanno esagerato persino per un ambiente come questo. La grande questione, però, penso sia: come facciamo a cambiare i temi di cui si scrive? E questo non mi sembra sia all’ordine del giorno di chi protesta. Gli scrittori, gli sceneggiatori, lavorano sul contenuto che altri decidono di fargli scrivere. Indipendentemente dalle cifre che spunteranno, rimarranno sempre quelli che scrivono sotto dettatura di soggetti o multinazionali che cercano di modellare un immaginario a loro somiglianza. Otterranno di più dalle piattaforme? Staranno comunque vendendo il loro talento al miglior prezzo. E forse non è quello che uno sceneggiatore dovrebbe fare”.
L’opinione degli italiani a Locarno
Maria Carolina Terzi, anima di Mad Entertainment, qui con Rossosperanza nel concorso internazionale, e celebre in tutto il mondo per i progetti d’animazione, dice che “l’assenza di star e blockbuster potrebbero aiutare i prodotti europei, ma il punto è che quello sciopero è da sostenere perché i primi stanno lottando per gli ultimi, per i colleghi che fanno fatica e che meritano che le ricchezze siano condivise, perché il loro lavoro mantiene in piedi il sistema. Il grande merito del sacrificio dei divi è ricordare anche a noi italiani che quest’industria va considerata come la moda, come una perla del made in Italy, e protetta come tale. Non lasciata sempre per ultima. Dovrebbero capire in Italia, economia e politica, che siamo un asset fondamentale. E aiutarci a crescere”.
L’attore del film Andrea Sartoretti, già protagonista per Amir Naderi in Monte e tra i più rappresentativi interpreti della serie tv Romanzo Criminale, aggiunge che “non tanto da attore, quanto da residente di questo discutibile sistema economico, non trovo nulla di incomprensibile o inaccettabile nella richiesta di un adeguamento dei compensi e dei contratti, oltre che di regolamentare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Se la strada scelta è quella dell’economia di mercato, non dovrebbe esserci nulla di stravagante nel richiedere che perlomeno non sia a senso unico”.
Domenico De Gaetano, qui per il TorinoFilmLab, sistema che muove 400 artisti da 50 paesi diversi, e che ha portato a Locarno tre film di tre registe in concorso, offre un totale appoggio alla protesta. “Credo che sia una guerra giustissima da combattere, perché cosa chiedono in fondo? Numeri che dovrebbero essere pubblici, perché d’interesse collettivo, e la regolamentazione di uno strumento tecnologico che altrimenti potrebbe essere usato incautamente. Credo che il sistema sia cambiato tantissimo, che le piattaforme abbiano rivoluzionato creazione, produzione e distribuzione cinematografica, rotto degli equilibri e finora non ne abbiano instaurati alti. Servono nuovi contratti, una maggiore trasparenza, nuove norme che regolino i rapporti tra i lavoratori e le grandi società, che non possono avere tutti i vantaggi di questa rivoluzione senza condividerli con chi gli permette enormi guadagni. In questo scontro le multinazionali hanno agito con violenta indifferenza nei confronti dei diritti dei lavoratori. Lo sciopero è più che giusto. Ora però bisogna trovare una terza via, sperimentare un nuovo equilibrio in cui tutti siano coinvolti. E non ci siano sfruttati e sfruttatori, ma alleati”.
Renzo Rossellini, che il 10 agosto in Piazza Grande è stato insignito del Life Achievement Award e che negli Stati Uniti con la sua Artisti Associati ha distribuito successi come 9 settimane e 1/2, è molto duro verso major e piattaforme. “Qui non parliamo di milioni di dollari, ma di miliardi che da anni vengono sottratti ai lavoratori predati dalle grandi multinazionali, e ora dalle piattaforme. Non ci sono compromessi in una diatriba di questo genere: c’è chi si è preso soldi che non gli spettavano, e categorie che ne sono state private. Quindi sono completamente a favore degli scioperi”.
Locarno, pur orfana del cinema statunitense, sostiene quindi quasi unanimamente chi a malincuore non ha potuto celebrare, quest’anno, la “capitale mondiale del cinema d’autore”. Perché da sempre ha mostrato la volontà di un mondo e di un cinema più giusto, più equo. Dalle retrospettive politiche al film, Shayda, che chiuderà il programma di Piazza Grande quest’anno: uno sguardo particolarissimo su un tema molto sensibile, le lotte della donne iraniane per la propria libertà. Non poteva quindi esimersi dal dire la sua, con coraggio e determinazione, anche sugli Hollywood Strikes.
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