Se ci fossero ancora dubbi sul fatto che le donne debbano lavorare e faticare di più per essere considerate alla pari dei loro colleghi maschi, oltre alle testimonianze dirette che potrebbero bastare da sole, ci sono i numeri. Con la loro fredda reputazione, spesso utile anche per spogliarsi di qualsiasi ardore che, a detta di alcuni, rischia di far passare dalla parte del torto mentre spieghiamo che di dubbi non ne abbiamo, sono le statistiche di Hollywood e del sistema cinematografico a offrirne evidenza. Anche senza un eccessivo sforzo analitico.
Proprio nel 2023, l’anno in cui il film Barbie di Greta Gerwig ha incassato un miliardo e mezzo di dollari, facendo esplodere i botteghini di tutto il mondo altrimenti piangenti, e nell’anno in cui in Italia C’è ancora domani di Paola Cortellesi ha incassato 30 milioni di euro, diventando il film più visto del 2023 (uscito giusto in tempo il 26 ottobre) e superando la bambola Mattel per ingressi in sala in Italia.
In un anno in cui le donne hanno contribuito a salvare Hollywood, dato che sono state donne a guidare e risolvere gli scioperi di attori e sceneggiatori, non è forse il momento che il sistema ricambi il favore? Eppure, come ogni altro anno, non mancano le desolanti statistiche. Secondo The Center for the Study of Women in Television and Film della San Diego State University, le donne hanno rappresentato solo il 24% di registi, sceneggiatori, produttori e direttori della fotografia nel cinema oltreoceano.
In Italia le registe donne sono il 18% del totale e le sceneggiatrici il 23%, per non parlare degli altri importanti settori dell’audiovisivo, come la musica, la fotografia, gli effetti speciali, per i quali è stato difficile per molti anni anche reperire i dati per contare. I dati disponibili ad oggi, per otto categorie, sono quelli raccolti nella ricerca Gender Balance in Film Crews, presentata a Venezia 80. Oltre alle problematiche d’accesso all’industria, le donne che riescono ad affermarsi sono retribuite meno dei loro colleghi maschi. Questo segno negativo in Italia corrisponde al 38,8% in meno in busta paga.
Hollywood 2023: l’anno delle donne
L’anno delle donne, dunque. Sì, perché tanto per cominciare Greta Gerwig e Margot Robbie hanno riportato la gente al cinema risollevando il box office e introducendo il loro pubblico al film Oppenheimer di Christopher Nolan che usciva in contemporanea, provocando il tanto acclamato effetto “Barbenheimer”. Ma questo è stato anche l’anno in cui Beyoncé e Taylor Swift (Time’s Person of the Year) hanno ricostruito l’esperienza concerto portando i loro Renaissance ed Eras Tour sul grande schermo. Quest’ultimo ha persino battuto Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese.
Non solo. L’ultima volta che gli sceneggiatori e gli attori di Hollywood hanno scioperato insieme era il 1960 ed entrambi i sindacati erano guidati da uomini: Curtis Kenyon per la WGA e Ronald Reagan per la SAG. Quest’anno Meredith Stiehm, presidente della Writers Guild of America, e Ellen Stutzman, negoziatrice capo, hanno affrontato i grandi studi di Hollywood per 148 giorni. Nel frattempo, accanto a loro, alla guida della SAG un’altra donna, Fran Drescher, ha guidato l’interruzione del lavoro degli attori per 118 giorni. E di fronte a quei sindacati questa volta c’era anche Carol Lombardini, veterana negoziatrice capo dell’Alleanza dei Produttori di Cinema e Televisione. Anche se solo uno dei capi dei quattro studi che hanno partecipato alle negoziazioni finali era una donna – Donna Langley di NBCUniversal.
Anche le nomination ai Grammy di quest’anno sono state dominate dalle donne. Artiste e musiciste hanno occupato sette degli otto posti per album, disco e canzone dell’anno, e la metà di quelli per miglior artista esordiente. SZA in testa con nove nomination, seguita, con sette ciascuna, da Phoebe Bridgers e Victoria Monét. Jon Batiste è stato l’unico artista maschio a ricevere sei nomination, finendo in compagnia di Swift, Olivia Rodrigo e Billie Eilish.
I numeri delle donne nel cinema italiano
Non solo Hollywood, anche il sistema italiano dovrebbe pensare a come ripagare le donne. O almeno pensare a come pagarle allo stesso modo dei colleghi maschi. La Legge Cinema ha introdotto per la prima volta, nel 2016, incentivi alle pari opportunità. Nonostante questo c’è stato un incremento solo dell’uno per cento dei progetti gender balanced, contro i risultati molto più efficaci della analoga legge di incentivi in Francia (+ 36%).
“La legge ha stabilito che viene dato un punteggio maggiore alle opere che hanno una presenza femminile significativa tra quelle che concorrono per prendere i fondi pubblici per fare un film”, ha spiegato Paola Randi, regista, sceneggiatrice e membro del consiglio direttivo dei 100autori a THR Roma. “La differenza con la legge francese è che invece questa introduceva un fondo specifico per l’uguaglianza di genere, cioè si chiedono i fondi ministeriali per la produzione e poi se si risponde a una serie di criteri si ottiene un contributo a parte, solo per il gender balance”.
Il settore audiovisivo svolge un ruolo strategico nella battaglia per i diritti di genere, perché può di fatto contribuire direttamente al cambiamento culturale ma va data voce e possibilità di accesso a tutte e tutti coloro che ancora oggi subiscono discriminazioni di genere, assicura Randi. Ma il gender pay gap, secondo le stime analizzate da Women in Film Television Media Italia (WIFTMI), tra il 2017 e il 2022 è cresciuto del 10%, dal 28.2% al 38.8%. I numeri esaminati riguardano le categorie di regia e sceneggiatura per la retribuzione media giornaliera. Il gap ė cresciuto, spiegano da WIFTMI, perché a fronte di una crescita della retribuzione per le registe e i registi, i secondi hanno visto una crescita consistente, le prime no.
“Nonostante la disponibilità di alcuni macrodati che evidenziano la persistenza e la trasversalità del gender pay gap nel settore audiovisivo, manca ancora un’analisi approfondita”, ha detto a THR Roma la presidente WIFTMI Domizia De Rosa. “Per questo motivo WIFTMI invita da tempo le istituzioni e il settore ad approfondire la ricerca, così da poter individuare strumenti più efficaci per la riduzione del delta retributivo”.
Significativo risulta anche guardare alla relazione tra budget produttivo e presenza delle attrici, dove si conferma la relazione fra minori investimenti economici e maggior presenza femminile. Per quanto riguarda la presenza delle donne nell’audiovisivo la ricerca Gender Balance in Film Crews ha individuato otto categorie, con l’indicazione della relativa percentuale femminile riferita all’anno 2022. Così in Italia risultano questi numeri: Costume designer (84%), make-up supervisor (77%), set designer (37%), producer (30%), editor (28%), screenwriter (23%), special effect supervisor (21%), director (18%), composer/music supervisor (6%), DoP (6%).
“Come 1ooautori, insieme a Women in Film, stiamo cercando di lavorare con i produttori per farci dare delle indicazioni”, dice Randi. “C’è l’Osservatorio per le pari opportunità del Ministero della cultura ma adesso che è cambiata la dirigenza non abbiamo più notizie”. L’Osservatorio aveva raccolto infatti dati preesistenti in un suo documento, il Primo Rapporto annuale, datato 22 novembre 2022, ma non aveva effettuato una sua ricerca originale. L’attuale presidente dell’Osservatorio Manuela Maccaroni è intervenuta all’evento WIFTMI Cambiamo Copione in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne dando speranza per un osservatorio attivo a breve.
Il successo nonostante gli ostacoli
Proprio attraverso il monitoraggio dell’osservatorio si scopre che nel 2021 la presenza di registe nei progetti che hanno beneficiato di fondi per la distribuzione era del 17%, contro l’83% della controparte maschile. Il persistere di un importante divario di genere nonostante i segnali di miglioramento è confermato anche dal costo medio delle opere: 1.506.579 euro per i progetti a guida femminile o prevalentemente femminile rispetto ai 2.293.307 € dei progetti a guida maschile o prevalentemente maschile.
“Nonostante siamo poche, nonostante lavoriamo con la metà dei soldi, il nostro lavoro ha successo”, dice Randi. “Basta pensare a Paola Cortellesi, ad Alice Rohrwacher, a Francesca Comencini che ha firmato Gomorra o a Elisa Amoruso che ha visto l’orso d’Oro lo scorso anno con la serie The Good Mothers“.
THR Roma ha raggiunto Amoruso, impegnata oggi in una grande produzione internazionale, ancora top secret. “Quando, dopo The Good Mothers, ho iniziato a lavorare per un altro progetto fuori dall’Italia, la produttrice mi ha assicurato che mi sarei trovata benissimo e così è perché cambia anche la prospettiva quando a produrre, e poi a dirigere un film o una serie, c’è una donna”.
Un giro veloce tra i listini del 2024 resi noti dalle case di distribuzione poche settimane fa mostra di nuovo la poca presenza di donne in Italia per l’anno prossimo. A meno che non ci siano progetti da annunciare a sorpresa, 01 Distribution menziona solo un film diretto da una donna, l’opera prima di Margherita Vicario, Gloria!. Poco meglio Vision Distribution, che ha distribuito C’è ancora domani: sui 12 film annunciati, tre sono diretti da donne.
Allora, insiste Amoruso: “Ci siamo mai chiesti che cosa accadrebbe se davvero avessimo pari opportunità?”.
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