C’è una tradizione molto solida nell’attività parlamentare del nostro paese. Anzi due. La prima è quella che ciò che è più scomodo e rischioso, va approvato d’estate. Ricordate a fine anni ’90 il pacchetto Treu, il padre di tutti i contratti precari? Governo Prodi, legge 196/1997. Legge delega datata 24 giugno, decreto legislativo collegato fissato per il 7 agosto. Si sa, con le temperature tropicali e in vacanza, è molto difficile scendere in piazza (sempre che di questi tempi sia davvero una possibilità, vista l’acquiescenza dei cosiddetti manifestanti, sempre meno e sempre meno capaci di incidere). Il secondo è inserire il tutto, se possibile, in un decreto mappazzone, che si occupi di tutto e nulla, da approvare con la fiducia parlamentare o la minaccia di porla, ancora meglio se con un pacchetto di emendamenti successivo alla presentazione dello stesso, tanto per nascondere meglio la malefatta.
Ecco, se un giorno vi chiederanno come hanno impallinato la Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia, sappiate che è stato un delitto di mezza estate.
È tutto molto semplice. Il 22 giugno del 2023 viene presentato il DL Giubileo. Un decreto legge che dispone interventi urgenti a favore della celebrazione della non imprevedibile celebrazione cristiana del Giubileo del 2025, che come suo solito arriva ogni cinque lustri (il giubileo straordinario della misericordia del 2015-2016 fu voluto da Papa Francesco e fu un’eccezione come quelli del 1933 da parte di Pio IX e del 1983, targato Giovanni Paolo II). In verità un documento in merito decisamente preciso e sintetico era uscito due settimane prima, il DPCM dell’8 giugno, a firma Meloni-Mantovano. Questo decreto legge del 22 invece è un fluviale concentrato di norme che interviene su qualsiasi cosa: pubblica amministrazione, agricoltura, sport, forze armate, ricerca e cura malattie rare, scuole di specializzazioni sì, ma per la magistratura, periti industriali, assistenti sociali, veterinari e molti altri. Di sicuro tutti fondamentali per il Giubileo, come insegna San Francesco, ma ci permettiamo di rimanere affascinati da una tale dimostrazione di dettagliata abnegazione.
L’emendamento zombie. Morto e risorto
Che a un certo punto, l’11 luglio 2023, colpisce anche il Centro Sperimentale di Cinematografia. Spunta il dovuto bollettino delle giunte e delle commissioni parlamentari (nello specifico prima e undicesimo, affari costituzionali e lavoro pubblico e privato per dirla sinteticamente, riunite), un pdf di 168 pagine. Istruttivo. Giusto in mezzo, abbastanza imprevedibilmente anche se qui e là si è intervenuti in tema di università e beni culturali, troviamo la richiesta di aggiungere al testo del 22 giugno un art. 12 bis. L’art. 12 diceva qualcosa a suo modo di positivo e interessante, tra le altre cose: “al fine di consentire il rafforzamento della capacità organizzativa del Ministero della cultura e garantire l’efficacia delle relative azioni, la dotazione organica del medesimo Ministero è incrementata di cento unità di personale non dirigenziale, da inquadrare nell’ambito dell’area delle elevate professionalità. A tali fini, il Ministero della cultura è autorizzato ad assumere con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, un contingente pari a cento unità di personale non dirigenziale, da inquadrare nell’ambito dell’area delle elevate professionalità, mediante lo svolgimento di procedure concorsuali pubbliche”. E altro ancora. Il 12 bis, però, è messo lì per intervenire su un decreto legislativo di 26 anni prima, n. 426 del 18 novembre del 1997. Qui l’emendamento – già presentato in passato e ritenuto inammissibile – emenda una legge dunque, quella che trasformò il CSC in una Fondazione, intervenendo per altro sulla sua struttura e sul suo statuto.
Ma negli articoli 2 e 3 si aggiunge un apparentemente innocuo “parere del comitato scientifico” e una specifica sulle “nuove tecnologie” nell’art. 3 dedicato alle finalità. Tutto a posto dunque? Mica tanto. Perché alla soppressione del direttore generale tra le cariche fondanti e fondamentali che già sembra abbastanza improbabile, ecco che si aggiunge il cambio sostanziale dei compiti, della strutturazione, della nomina e degli emolumenti (ora assenti) del comitato scientifico. Che non è più diretta emanazione del presidente (ora Marta Donzelli), come ci si aspetterebbe anche secondo logica, ma diventa invece di nomina politica, un piccolo CSM senza neanche membri laici. Anzi, a dirla tutta, lo stesso schema, un po’ più rozzo, con cui si è messa la Rai ai piedi della politica, del governo in carica.
Il comitato scientifico per legge emendata diverrebbe decisivo anche per la scelta del preside e del conservatore. Passato, presente e futuro, dalla memoria alla didattica tutto passerebbe inevitabilmente sotto l’ombrello politico, visto che politica sarebbe la nomina di chi sceglie professori, programmi e persino strategie di conservazione e restauro.
Centro Sperimentale di Cinematografia, come verrebbe nominato il Comitato Scientifico
Attenzione che però questo è il momento più dadaista. Secondo questo emendamento, già presentato in passato e ritenuto inammissibile, i componenti del comitato scientifico da quattro diventerebbero sei. Tre espressi dal Ministero della Cultura, due dal Ministero della Pubblica Istruzione (pardon, dell’istruzione e del merito, ma il titolo di studio rilasciato dal CSC non è equipollente alla laurea? Quindi perché non il MIUR?), uno dal “solito” Ministero dell’Economia e delle Finanze. Cambi sostanziali e drammatici per un’istituzione che dovrebbe essere indipendente, fatti senza il concerto di nessuno, men che mai dell’attuale classe dirigente del Centro Sperimentale, fosse solo per galateo istituzionale. Perché galateo? Dimenticavamo, l’ultima parte di questa richiesta d’emendamento specifica che “alla costituzione del Consiglio di amministrazione della Fondazione e del Comitato scientifico si provvede entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione; fino a tale costituzione restano in carica il precedente consiglio di amministrazione e il precedente Comitato scientifico. Il Consiglio di amministrazione provvede all’adeguamento dello Statuto entro sessanta giorni dalla data di insediamento”. Quindi l’attuale Presidente e Comitato scientifico potrebbero dover salutare prima del ritorno sui banchi degli studenti e quasi due anni prima della fine naturale del mandato. Perché una poltrona non è per sempre e se la vuoi, non riesci ad aspettare neanche quella ventina di mesi che decenza imporrebbero.
Un presidente praticamente esautorato, un super comitato scientifico che è nominato dalla politica e pagato, passando quindi da un rapporto di lealtà con i vertici, legati a una programmazione culturale e alcun interesse, a una doppia ricattibilità, politica ed economica appunto. Il futuro del nostro cinema sembra ostaggio del desiderio di conquista di una classe dirigente politica che non fa prigionieri e che probabilmente è ancora scottata dal mancato assalto a Rai Cinema.
Ultima curiosità. I quattro moschettieri leghisti che hanno proposto questi emendamenti rispondono ai cognomi di Iezzi, Bordonato, Ravetto e Stefani. Più o meno alti dignitari della Lega per Salvini premier. Gli stessi che sono stati messi a sovrintendere ai cambiamenti del DL Giubileo inerenti al rafforzamento dell’operatività e dell’organizzazione del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Dicastero che vede al proprio vertice Matteo Salvini. Non proprio la seconda fila dei pretoriani del Capitano.
Perché la legge va fermata
Poco importa cosa si pensi dell’ottimo lavoro di Marta Donzelli, i dirigenti passano, anche i migliori. E anche se può sembrare assurdo, la legge contra personam che vuole impallinare lei e la sua squadra non è la notizia peggiore. Lo è il fatto che per quest’opera di killeraggio si snaturi il senso politico e culturale di un’istituzione, la si porti ai piedi di una politica sempre più famelica. E che tutto questo avvenga in un momento di espansione ed evoluzione del Centro Sperimentale di Cinematografia che solo poche settimane fa, a Cannes, aveva annunciato nuove sedi, nuove branche di studio e innovazione, nuovi orizzonti. E ancora più drammatico è che ciò avvenga nei momenti decisivi in cui il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il famoso PNRR, potrebbe essere messo in opera al meglio da una delle nostre istituzioni che più ne beneficerebbe.
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