Hollywood e il crepuscolo del DEI: l’esodo di massa dei responsabili diversity dagli Studios

Disney, Netflix, Warner Bros.: molti capi dei settori diversity, equity e inclusion hanno lasciato i loro incarichi. Cresce il timore che vadano in fumo gli sforzi compiuti sulla scia delle proteste antirazziste del 2020. Ma nel frattempo sono stati fatti anche molti progressi

Alcune settimane dopo che molti dirigenti responsabili della diversity hanno lasciato i loro incarichi, un gruppo di legislatori californiani ha messo pressione alle società di Hollywood che insieme raccolgono 1,65 miliardi di dollari di tax credit dallo Stato. “La rimozione di un dirigente può essere una coincidenza. Ma altri quattro?” ha dichiarato la senatrice Lola Smallwood in una conferenza stampa del California Legislative Black Caucus il 13 luglio. “È uno schema preoccupante”.

È un sentimento condiviso da molti nell’ambiente DEI (diversity, equity, inclusion).

Tra le riorganizzazioni e i licenziamenti legati alle fusioni, gli strascichi dei problemi economici dovuti al Covid-19, lo sciopero di due sindacati e il taglio generale dei costi, The Hollywood Reporter ha parlato con una dozzina di persone che lavorano o frequentano il settore DEI e temono che il recente esodo di dirigenti possa segnalare una più ampia demolizione degli sforzi che le società di Hollywood avevano pubblicizzati sulla scia dell’omicidio di George Floyd nel 2020. 

Non razzismo, ma incompetenza

Parlando di aziende hollywoodiane che una volta strombazzavano le proprie iniziative sulla diversity ma ora si ritrovano con dipartimenti DEI ridotti o senza dirigenti, uno degli intervistati cita il personaggio di Brian Cox in Succession: “Parafrasando Logan Roy, ‘Queste non sono persone serie’. E il problema principale non il loro razzismo, ma la loro incompetenza”. 

In ogni caso, gli addetti ai lavori sottolineano che, mentre le iniziative in ambito DEI sono spesso le prime ad essere tagliate in tempi di austerity degli studios, sarà difficile tornare indietro sulle recenti vittorie, conquistate con fatica: “Non si può rimettere il dentifricio nel tubetto” sottolinea un dirigente DEI attualmente in carica.

La prima della lista delle fughe di alti dirigenti risale al 20 giugno, quando Latondra Lewton, chief diversity officer alla Disney, aveva lasciato il suo incarico dopo sei anni. Una settimana dopo, Verna Myers, capo della strategia di inclusione di Netflix e prima persona a occupare quel posto, ha dichiarato che si sarebbe dimessa, dopo cinque anni di lavoro.

Motivi poco chiari

Il 30 giugno è arrivato l’annuncio che Karen Horne, a capo delle iniziative Dei per il Nordamerica alla Warner Bros. Discovery, avrebbe lasciato l’azienda in seguito a una ristrutturazione legata alla fusione. Poche ore dopo, era giunta la notizia che Jeanell English avrebbe lasciato l’Academy of Motion Pictures Arts and Sciences, dove lavorava dal 2020, meno di un anno dopo essere stata nominata vicepresidente esecutiva per l’impatto e l’inclusione (una posizione creata appositamente). 

Jeanell English, ex responsabile DEI (diversity, equity, inclusion) all'Academy Of Motion Pictures

Jeanell English, ex responsabile DEI (diversity, equity, inclusion) ossia vicepresidente impatto e inclusione all’Academy Of Motion Pictures

E questo esodo non ha riguardato solo i media statunitensi. Il 3 luglio è stato l’ultimo giorno di lavoro di Joanna Abeyie, head of creative diversity, che ha lasciato il suo incarico dopo meno di un anno e mezzo.

Sebbene le ragioni dietro questa fuga di massa siano poco chiare, si sa che i dirigenti in ambito DEI sono particolarmente esposti al burnout. “Le gente si aspetta che tu arrivi in azienda e separi il mare”, afferma un top manager. “A volte ti dimentichi di metterti la tua maschera a ossigeno”.

Da parte sua, English ha sottolineato che la decisione di andarsene è stata sua. “Nonostante i successi, questo lavoro non è stato facile. Spesso si tratta di battaglie solitarie, di strade tutte in salita” ha scritto English su Instagram. “I dirigenti in queste posizioni hanno bisogno di supporto, amore e appoggio mentre lavorano, non solo quando se ne vanno e fanno notizia”.

Diversity: ora rimangono i vuoti

Sulla scia di queste partenze, rimangono dei vuoti in alcune società. La Disney ha promesso di sostituire Newton e WBD ha detto che la ricerca del successore di Horne è in corso. Il lavoro di English verrà portato avanti da Kendra Carter, da tre anni all’Academy, che è stata promossa a vicepresidente senior dell’impatto e dello sviluppo del talento globale, e da Allison Ambili Kumar, manager per la rappresentazione, inclusione ed equità. A Netflix, Wade Davis subentrerà a Myers. 

“Se un numero simile di CFO, CEO o COO se ne andasse, quale sarebbe la reazione?”, si chiede Sharoni Little, che ha lavorato per tre decenni come consulente aziendale esterna sulla diversità e l’inclusione attraverso la sua Strategist Company. “Quando pensiamo a questo esodo, sorge spontanea la domanda: queste posizioni e questo lavoro sono forse superflue?”.

Molte fonti notano che perdere dirigenti DEI è particolarmente disastroso, dato che non ce ne sono molti in generale, quindi non sono facilmente sostituibili.

Durate medie d’incarico

C’è preoccupazione, dice Little, “non solo per cosa succederà a quel lavoro, ma anche per chi potrà fare quel lavoro. Mi preoccupa il fatto che si pensi che si possa sostituire qualcuno e non ci si interessi a chi possa farlo”. L’interesse e la passione sono importanti, ma sono necessarie anche la competenza e l’esperienza, aggiunge. “Come in altri ruoli, le persone non hanno sempre le capacità richieste per comprendere davvero la totalità del lavoro e il motivo per cui non si tratta di un argomento secondario, per cui non si tratta di un dipartimento accessorio”. 

Uno studio del 2021 di Russell & Reynolds, che ha fatto un sondaggio nelle società della lista S&P 500, tra cui aziende del settore dell’intrattenimento come Disney e Netflix, afferma che la durata media dell’incarico di un chief diversity officer (CDO) ora è inferiore a due anni, rispetto a oltre tre anni nel 2018. Il 60% dei CDO assunti nel 2018 avevano lasciato l’incarico entro il 2021.

Mail che tornano indietro

La recente ondata di fuoriuscite è solo l’ultima di un trend che ha riguardato tutto l’anno scorso. Dirigenti in ambito diversity come Christy Haubegger e MyKhanh Shelton sono stati rimossi in seguito alla fusione di Warner Bros. Discovery un anno fa, mentre dirigenti di altre aziende del settore dell’intrattenimento come Apple sono stati lasciati a casa negli ultimi mesi.

Succede più regolarmente che le mail tornino indietro, fa notare Lauren Appelbaum, vicepresidente senior delle comunicazioni e dell’intrattenimento a RespectAbility, l’organizzazione no profit che fornisce consulenze ai maggiori studios di Hollywood: “C’è gente che è stata lasciata a casa proprio mentre stavano portando avanti degli ottimi programmi o appena finito un ottimo programma, e all’improvviso ‘bye bye’”. 

Intanto la Corte suprema…

La notizia di queste fughe ravvicinate è arrivata insieme a quella sulla cancellazione dell’affirmative action nell’istruzione superiore da parte della Corte Suprema. Anche se la sentenza è limitata all’istruzione superiore, ci sono casi attualmente in fase di revisione che potrebbero mettere in difficoltà iniziative DEI che si estendono al mondo aziendale, e alcuni fanno notare che la cosa potrebbe avere effetti anche sulle pratiche di assunzione. E anche se la sentenza non riguarda gli sforzi DEI di Hollywood, le persone intervistate per questo articolo sottolineano che la sentenza si unisce and ansie preesistenti riguardo al posto che le iniziative sulla diversity occupano negli Stati Uniti. “Non è qualcosa che sta succedendo nell’industria dell’intrattenimento, è qualcosa che sta succedendo a livello culturale”, insiste Appelbaum. 

Ci sono anche gli effetti a valle che arrivano quando persone di colore in ruoli di primo piano lasciano un’azienda. Myles Worthington, un veterano del marketing di Netflix, che ha fondato e dirige la società di creazione di contenuti e marketing etnografico Worthi, fa notare che questi alti responsabili della diversity a volte sono le uniche persone di colore che operano a quel livello in un’azienda. “Quando sei una persona di colore di livello junior o medio e vedi gente come loro, pensi ‘Oh, fantastico, ho qualcuno che pensa a me e alla mia comunità’”.

Quindi quando in aziende in cui sono stati promessi cambiamenti istituzionali se ne vanno questi dirigenti, dice Worthington: “Ti viene da pensare tipo ‘Tutte quelle cose che hanno detto erano cazzate’”.

Tempo di sospetti

Questo esodo di dirigenti può generare sospetti sull’industria dell’intrattenimento più in generale, anche su aziende che non hanno visto cambi di leadership. “Influenza le altre aziende che stanno continuando a lavorarci” dichiara un top manager DEI di uno studio. “Il sospetto che viene dall’essere semplicemente in prossimità di queste aziende può compromettere un lavoro che invece che andando avanti”.

Mentre la struttura aziendale degli studios si è affermata e perfezionata negli oltre 100 anni di esistenza di Hollywood, l’arrivo di dirigenti che si occupino delle iniziative sulla diversity e dei programmi che coinvolgono i talenti è relativamente nuovo. A volte, questi dirigenti rispondono al dipartimento risorse umane, altrove magari rispondono al reparto produzione o hanno un reparto a sé stante. Secondo le fonti, non tutte le società del settore intrattenimento hanno top manager per la diversity che rispondono direttamente all’amministratore della società.

“Si comincia dall’alto. Avere un rapporto con il CEO, visibile da tutta l’azienda, può essere di grande aiuto”, afferma Marva Smalls, responsabile dell’inclusione globale alla Paramount, che risponde direttamente al CEO di Paramount Global Bob Bakish. “Sapere che si è partner, e che niente viene perso nella comunicazione tra te e chi comanda”. Inoltre, nota Smalls, è importante per il suo lavoro incontrare regolarmente il consiglio di amministrazione, con cui ha la possibilità di parlare direttamente. 

Perché lo vuoi fare?

In mezzo a questi apparenti sconvolgimenti, gli intervistati per questo articolo dicono che le aziende del settore intrattenimento che potrebbero riconsiderare il proprio approccio devono interrogarsi sulle ragioni che le avevano spinte a creare questi dipartimenti e queste iniziative.

Nei suoi anni di consulenza, Little, che ha lavorato come responsabile dell’inclusione globale a CAA prima di lasciare l’azienda all’inizio dell’anno, dice che la domanda da cui ha iniziato è “Perché lo vuoi fare?”. La domanda è necessaria per valutare l’impegno e la volontà delle aziende, afferma. “Se non fai seguire la strategia, i sistemi e le risorse, fallirà comunque, perché non si riuscirà a lavorare in modo strategico”. (A capo della strategia di inclusione globale di CAA ora c’è Sydney Davis).

Jamilla Daniel, CDO di Lionsgate e vicepresidente senior delle risorse umane di Starz, dice che il suo lavoro è facilitato dal fatto che lavora per una rete in cui contenuti si rivolgono specificamente a categorie diverse e sottorappresentate. Spiega: “Non devo continuare a spiegare l’importanza della cosa. Si tratta più di capire cosa possiamo fare per avere il maggior impatto possibile, con cosa possiamo fare leva in tutta l’organizzazione. Mi occupo soprattutto di queste questioni, invece che dover lottare e spiegare continuamente perché lo facciamo. Lo sanno tutti il perché”. 

Guardando al futuro, gli addetti ai lavori spiegano i diversi motivi per cui gli sforzi DEI nell’industria dell’intrattenimento persisteranno nonostante gli attuali sconvolgimenti. 

Rese dei conti (cicliche)

“Le rese dei conti in quest’ambito sono cicliche. L’abbiamo visto con l’ascesa e la caduta di UPN in altri momenti in cui la diversity è ‘di moda’ o richiesta, ma una volta che la pressione sembra essersi allentata, i piani alti continuano a fare quello che sanno fare meglio e/o quello che pensano porti più successo, in generale”, deduce Worthington. Rispetto ai cicli passati, nota, la differenza per l’industria dell’intrattenimento contemporanea è duplice: il pubblico BIPOC (black, indigenous and people of color) rappresenta una percentuale più alta degli spettatori e i creativi e dirigenti BIPOC hanno costruito delle aziende tutte loro, al di fuori del sistema degli studios. 

“Nessuno, si spera, potrà fermare questo slancio” dice un dirigente, attualmente a capo delle iniziative di inclusione di un’importante azienda hollywoodiana. “Gli sforzi non sono legati a un solo individuo, quindi quando uno se ne va, non vuol dire che il lavoro debba fermarsi. Il lavoro non può ridursi a una sola persona o a un solo dipartimento. È uno sforzo collettivo, dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto”.

Molti osservano che il lavoro interno dei dirigenti che si occupano di diversità è uno sforzo esterno di tutto il settore, che dovrebbe riguardare la produzione, i creativi e i talenti, oltre ai dirigenti. Dice un manager: “Parte della responsabilità di un’azienda consiste nel dimostrare che ci sono molte parti in causa interessate”.   

Ma, in ultima analisi, è necessario il consenso dei vertici delle società di intrattenimento, in particolare dei piani alti, che devono a loro volta diversificarsi. Dice Worthington: “Questi sono gli spazi in cui abbiamo bisogno di più leadership BIPOC in ruoli dirigenziali che abbiano potere, non in ruoli creati per vanità e autodifesa”.

Traduzione di Nadia Cazzaniga