Il cupo balletto dei tagli al cinema italiano e la scure del ministro Sangiuliano: “Via 100 milioni di euro”

Confusione, paura, smentite, voci e lettere incendiarie: è ancora bufera sul caso della forte riduzione dei contributi pubblici all'industria dell'audiovisivo del Bel Paese. In una missiva al collega Giorgetti, il ministro alla cultura parla di risparmi di 100 milioni, Rutelli assicura che mazzata non sarà, ma la tensione rimane alta

Raramente nel mondo del cinema italiano si sono vissute giornate più surreali, confuse e difficili di quelle attuali, una bufera innescata da una decisione politica che ancora non è stata ufficialmente varata, ma se messa in atto avrebbe effetti letali su tutto il settore della settima arte. Riassumiamo: il mondo dell’audiovisivo del Bel Paese è terrorizzato da anticipazioni, tabelle, spifferi, rumors e infine lettere (una, inviata dal ministro della cultura Gennaro Sangiuliano a quello dell’economia Gianluca Giorgetti, in cui il primo chiede che il cinema subisca tagli più alti di quanto richiesti dal secondo) che da qualche giorno hanno cominciato a trapelare dal ministero della cultura: secondo queste voci il tax credit – un meccanismo di incentivi fiscali – verrebbe cancellato, e si parla di un taglio di 200 milioni di euro in due anni (altre voci vogliono che questo denaro venga sottratto anche dal Fondo unico per lo spettacolo, ma anche, persino, sui benefit assicurativi per i dipendenti).

Una prospettiva letale

Gli addetti ai lavori non hanno dubbi: una tale mossa si rivelerebbe letale. Per il cinema italiano, per Hollywood – almeno per le sue trasferte italiane amate dai divi statunitensi – ed in generale per le produzioni internazionali che negli ultimi anni avevano prepotentemente riacceso i fari sulla città della Dolce Vita.

L’addio al tax credit sarebbe anche un colpo pesante alla credibilità all’estero (molte delle suddette produzioni internazionali sono state attratte in Italia da questo beneficio di legge, portando risorse, formazione sul campo, know how e lavoro). Ma soprattutto colpirebbe a morte uno dei settori (economicamente) più importanti del paese, indipendentemente dai suoi risultati in sala.

In una girandola di smentite, silenzi e polemiche, i rumors sono stati confermati oggi 19 ottobre dallo stesso ministro alla cultura Gennaro Sangiuliano, con una lettera inviata al suo collega Giancarlo Giorgetti, titolare del dicastero dell’economia, il cui contenuto è rivelato dal quotidiano Domani: “Caro Giancarlo, a seguito della Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2023, attualmente all’esame delle Camere, ti informo che è mia intenzione contribuire agli sforzi necessari alla definizione della prossima Legge di Bilancio 2024, attraverso risparmi di spesa per complessivi 100 milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo”.

Sangiuliano e “la nostra casa”

Le preoccupazioni dei principali attori del settore sono palpanti. Tra gli altri, si è fatto sentire il regista Paolo Sorrentino, che in un’intervista pubblicata sempre da Domani non esita ad attaccare Sangiuliano: “Il ministro della cultura non ha difeso la nostra casa, che dovrebbe essere anche la sua, visto che si dice uomo di cultura. Non sembra intenzionato a farlo. È come se una persona offrisse un milione di euro per acquistare un appartamento e la controparte dicesse ‘no, va bene la metà’. Non è una cosa comprensibile, è qualcosa che suona sinistro”.

E ancora: “Quella lettera è un fatto mai visto prima”, incalza il regista della Grande Bellezza. “In genere è il ministro dell’economia che chiede di ridurre le spese e gli altri ministri che cercano di difendersi dai tagli. Qua è successo il contrario con un ministro che chiede di subire più tagli per un suo settore. Non capisco il motivo e non voglio investigarlo”.

Richiesta di smentita

La tensione è altissima. Tre delle associazioni di categoria più importanti, 100autori, Anac e WGI, hanno deciso di esprimere con forza il proprio dissenso, chiedendo una smentita del possibile taglio di 200 milioni di euro (oppure 100 milioni? Non è chiaro) alle provvidenze pubbliche.

“Gli autori italiani – recita il loro comunicato – seguono con preoccupazione la notizia di eventuali tagli al cinema e all’audiovisivo italiani, un settore che dopo anni di crisi sta finalmente trovando una grande vitalità. In tutti i paesi avanzati (compresi gli Usa) cinema e audiovisivo ricevono forti aiuti pubblici non solo per il loro evidente valore culturale e identitario, ma anche per il ruolo strategico che svolgono nel proiettare l’immagine del paese a livello internazionale. Sembra impossibile e paradossale che proprio l’attuale governo, che di questi valori ha fatto la propria bandiera, sia pronto a mettere in crisi un sistema delicato e complesso che ha radici nella grande storia del cinema italiano. Sperando dunque che non sia questa l’intenzione dei prossimi provvedimenti, 100autori, ANAC e WGI chiedono un incontro urgente al ministro della cultura Sangiuliano per discutere come migliorare e qualificare ulteriormente l’intervento pubblico a sostegno della creatività italiana”.

Quel che dicono Borgonzoni e Rutelli

Richiesta d’incontro, questa, che sembra smentire quanto detto da Lucia Borgonzoni, sottosegretario alla cultura, secondo la quale “c’è un confronto aperto tra ministero della cultura e operatori di tutta la filiera”. “Il tax credit – aggiunge Borgonzoni, esponente di spicco della Lega – ha bisogno di aggiustamenti. L’obiettivo è tutelare i quasi 117mila lavoratori diretti del settore”. Dopodiché la sottosegretaria ribadisce con decisione che è necessaria “una legge sul cinema con regole nuove e più eque: ci stiamo lavorando a quattro mani. Le modifiche sarebbero dovute arrivare già da tempo per evitare storture nel sistema. Le rimodulazioni che metteremo in atto serviranno a tutelare realmente l’intero settore”.

Cerca di rassicurare tutti, la rappresentante del governo dotata della delega per il cinema e l’audiovisivo, affermando che “il tax credit è uno strumento indispensabile, da cui non si può prescindere, ma al contempo non si può pensare di continuare a lasciare la norma così com’è ora: i film di mercato, se tali vogliamo definirli, devono avere un mercato. Ci stiamo muovendo per tutelare le opere prime, le opere seconde e quelle cosiddette ‘difficili’ e le start up, nonché i film di elevato contenuto artistico e culturale con difficoltà a reperire risorse sul mercato. Tutto questo non impatterà – chiarisce – assolutamente sui pagamenti presenti e futuri”. Come sospettato da molti, visto che in quegli aggiustamenti si parlava di una retroattività al 1° gennaio 2023.

E qui entra in gioco il presidente dell’Anica, Francesco Rutelli, che parla di un incontro delle associazioni con il ministro. Secondo l’ex ministro ai beni culturali ai tempi di Romano Prodi, a quel tavolo sarebbero giunte rassicurazioni sul fatto che “il taglio sarà proporzionato a quello degli altri settori, molto più contenuto e in linea con quello degli altri ministeri”. Dal gabinetto del ministro arrivano conferme ufficiose in merito.

Tutto chiaro, dunque? Assolutamente no. In realtà l’impressione tra gli addetti ai lavori è che la partita sia appena cominciata. E che avverrà senza esclusione di colpi. E manca ancora una parola definitiva e pubblica da parte del governo. E la lettera diffusa da Domani non fa sperare in meglio.

Entra in gioco la Rai

Stando alle anticipazioni, complessivamente i tagli al cinema dovrebbero ammontare, come detto, a 200 milioni di euro in due anni. E qui entra in scena la Rai, ossia il servizio pubblico radiotelevisivo italiano: l’annunciato taglio del canone destinato alla Rai causerà, secondo alcune stime, una probabile emorragia di 420 milioni di euro.

In sostanza, il dubbio che si fa strada è che i 200 milioni più un pezzo dei soldi risparmiati dal tax credit rivisto e corretto più quelli sottratti al calcio finiscano alla Rai. Con l’effetto che la tv pubblica subirebbe un ammanco minimo (il 4%), ma il cinema tutto, pubblico e privato, si vedrebbe massacrato.

Nella confusione generale, emerge poi che c’è anche un altro luogo dell’intrattenimento che sarebbe oggetto di un taglio imprevisto: è il calcio, a cui verrebbe strappato via il Decreto Crescita, quella misura che dal 2017 prevede che chi arrivi in Italia dall’estero e assicuri almeno due anni di residenza nella penisola, possa avere il 25% di imposizione fiscale e non il 45%. Decine, forse centinaia di milioni di euro in ballo, soprattutto perché – come è paventato anche nei rumors sul tax credit – la misura sarebbe retroattiva addirittura per tutto il 2023: mossa che, per quanto riguarda il cinema, oltre ad essere un colpo definitivo alla credibilità interna e internazionale del sistema cinema Italia, potrebbe portare al fallimento di non poche società medio-piccole.

Ombre sul futuro

Sarebbe un colpo pesante per l’industria del cinema in Italia, che tra impieghi diretti e indotto nutre centinaia di migliaia di famiglie, ha spesso incrementi occupazionali a due cifre e restituisce nei territori più virtuosi anche 20 volte quanto investito dal pubblico. È anche uno dei settori che segnano un maggiore e costante incremento dell’occupazione giovanile, a cominciare da quella qualificata. A meno di clamorosi dietrofront, non si profila un futuro roseo.