Pochi giorni fa, Toshio Suzuki, produttore dello Studio Ghibli, ha detto che non verranno diffusi né trailer né poster per How do you live? di Hayao Miyazaki. Il film rimarrà un mistero fino alla fine, fino a quando non arriverà nelle sale giapponesi il 14 luglio. C’è una sola immagine, semplice, pulita ed estremamente chiara, a raccontarlo. Ed è una scelta interessante. Decisamente in controtendenza.
Oggi tutti vogliono apparire, dire, dimostrare di esserci e di sapere. E quindi alzano la voce, battono i piedi, pubblicano, condividono, inviano clip, comunicati stampa, insistono perché i giornali riprendano ogni singola parola. E si autoconvincono, così, dell’importanza della quantità. I faldoni pieni di ritagli, le cartelle cariche di link, di pdf, di immagini screenshottate che vengono puntualmente messe insieme sono solo la punta dell’iceberg. Sotto, in realtà, c’è altro. C’è, banalmente, l’essenza di un’idea.
Nanni Moretti come Hayao Miyazaki
Con la sua decisione, Toshio Suzuki ha voluto mettere in risalto esattamente questo. L’esperienza del pubblico deve essere tutelata e protetta da un mondo che ci vuole onnipresenti, e l’attesa, così, finisce per diventare una parte fondamentale del viaggio che gli spettatori si preparano ad affrontare. Non ci siamo abituati, ed è vero. Sono pochi – si contano, probabilmente, sulle dita di una mano – quelli che decidono di fare in questo modo, di sottrarsi alle luci, ai riflettori e di rimanere in disparte, pronti a dire quello che hanno da dire senza però farsi preannunciare in pompa magna da materiali e articoli.
How do you live? di Miyazaki sarebbe potuto andare a Cannes, anche in concorso. Thierry Frémaux non avrebbe detto di no. Figurarsi. E invece è ancora lì. Segreto. Celato. Meravigliosamente inconsistente. Come un sogno, ecco. Qualcuno dirà che pure questa è la magia del cinema. In realtà, è un altro modo di approcciare la stessa cosa. E cioè, appunto, la comunicazione. Mi si nota di più se, direbbe Nanni Moretti. E a proposito di Moretti: anche lui, con Il sol dell’avvenire, ha aspettato prima di rivelarsi. Ha pubblicato il trailer sul suo profilo Instagram, anticipando la distribuzione, e poi è tornato indietro, nell’ombra, in attesa.
Il film inizia con la curiosità di chi deve vederlo. Non prima, non dopo. Moretti l’ha sempre fatto per tutti i suoi film. E lì la scelta del marketing si confonde, e si sovrappone, alla scelta di un’artista. Checco Zalone, invece, ha capito che il modo migliore per esserci è sparire. È far pesare la propria assenza. Una volta andò da Fabio Fazio, a Che tempo che fa, con delle finte clip. Cioè: clip che non avevano niente a che fare con il film che stava promuovendo. Risultato finale: campione di incassi.
Meglio il passaparola
Le persone non hanno bisogno di sapere tutto e subito, delle volte. Anzi, rivelarsi immediatamente può essere controproducente per la buona riuscita dell’intero progetto. A volte è meglio lasciar fare al passaparola. Grandi successi come Squid Game o La casa di carta, due serie tv distribuite da Netflix, sono diventate quelle che sono diventate perché chi le ha guardate le ha scoperte nell’esatto momento in cui le ha viste. E quindi ne ha parlato. E quindi si è lasciato coinvolgere. E quindi è diventato parte integrante del meccanismo comunicativo.
Christopher Nolan, con i suoi film, è sempre stato cauto. Ha mostrato il giusto. Un trailer, qualche immagine. E ha costruito le campagne promozionali sull’attesa. Sulla spasmodica voglia degli altri, dei fan più o meno occasionali, di vedere. Pensiamo, per esempio, a Oppenheimer. C’è un conto alla rovescia. E i numeri vanno indietro, rossi e accecanti, e si avvicinano alla data di uscita. Il riferimento, chiaramente, è voluto. Ma c’è anche l’intelligenza di non scoprire il fianco, di aspettare.
La verità, se è di una verità che abbiamo bisogno, è che seguire ciecamente quella che fino a poco tempo fa era la regola – trailer, poster, altro trailer, altro poster, clip, trailer finale, uscita; incrociamo le dita – non ha più molto senso. E così il mondo si è diviso: tra quelli che, come Disney e Marvel, ci tengono a riempire ogni spazio e ogni anfratto con frame, scorci e colori, e quelli – la minoranza – che invece fanno dell’assenza il proprio marchio di fabbrica.
Mi si nota di più se. Nanni Moretti, ancora una volta, ci aveva visto giusto. Il cinema, dopotutto, resta una magia – lo dicevamo prima. E una magia, spesso, è un’illusione. Ed è dunque importante cominciare a giocare con il pubblico prima, molto prima dell’uscita di un film. L’esperienza non deve limitarsi alle quattro pareti di una sala, al grande schermo, al boato degli altoparlanti. Deve entrare prepotentemente nella vita e nella quotidianità, e deve farsi notare. Con i botti, a volte. O in punta di piedi, altre.
Il grande ritorno di Hayao Miyazaki, dopo dieci anni dal suo ultimo film, non ha bisogno di festeggiamenti o fuochi d’artificio. L’evento è iniziato con la sua decisione di lavorare a una nuova opera. E Toshio Suzuki, uno che è sempre stato attento a tutto, ai poster, ai loro colori, alle date di uscita, agli slot e al target, lo sa bene. Fare film è come giocare a scacchi: le mosse vanno previste con largo, larghissimo anticipo.
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