Al MIA un panel ha catturato l’attenzione di molti produttori italiani ed europei. Quello sul cinema in Italia e Svizzera. Uno sguardo sul futuro, grazie a una legge che entrerà in vigore dall’inizio del prossimo anno. Ma che ha una storia di ormai tre anni.
Un referendum, un 58% di sì. Per il cinema
Il 15 maggio del 2022 potrebbe diventare, nel suo piccolo, una data storica. Un referendum, una consultazione popolare ha modificato la legge svizzera sul cinema (nello stesso giorno si è votato anche per la norma sui trapianti e in fondo non siamo così lontani, la cultura è un organo vitale per la comunità), la famosa lCin.
Per semplificare il più possibile il quesito popolare a cui il popolo elvetico si è trovato a dover dare una risposta – con un’affluenza neanche tanto malvagia del 40% abbondante – possiamo ricordare che secondo la norma ancora in vigore fino al 31 dicembre del 2023 “le emittenti televisive svizzere sono obbligate a investire il 4% della loro cifra d’affari nella creazione cinematografica nazionale. Forniscono in tal modo un importante contributo alla produzione nazionale di film”. E, come vedremo, a quella europea, perché altre norme e fondi privati stabiliscono un obbligo di diffusione di prodotti europei per una quota del 30% del proprio mercato.
Il punto, come rilevavano i promotori del referendum è che “sempre più spesso tuttavia i film e le serie sono fruibili, a richiesta, anche su Internet. Finora in Svizzera per i servizi di streaming, attivi perlopiù a livello mondiale, non vige nessun obbligo d’investimento”. Ecco perché la norma, poi approvata e che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2024 estende quest’obbligo anche alle piattaforme, che “potranno partecipare direttamente alla produzione di film e serie svizzeri oppure versare una tassa sostitutiva a favore della promozione del cinema svizzero”. Equivalente agli altri broadcaster. “Inoltre dovranno riservare il 30 per cento del loro catalogo a film e serie prodotti in Europa”.
Rafforzare la creazione cinematografica
Contro questa modifica di legge decisamente illuminata, arrivata il 1° ottobre 2021, è stato chiesto il referendum, per fortuna perso dai proponenti e vinto dal buon senso. Il sì e i suoi sostenitori, che prevedeva l’accettazione di quella modifica, opzione raccomandata da Consiglio federale e Parlamento, sottolineava come “la modifica di legge colma una lacuna venutasi a create con la trasformazione digitale. Elimina infatti le disparità di trattamento tra emittenti televisive e servizi di streaming, rafforza la creazione cinematografica nazionale e contribuisce alla diversità culturale di un’offerta digitale sempre più ampia”.
Il comitato del no sosteneva che l’offerta di film e serie dal mondo sarebbe diminuita per qualità e quantità e che questo esborso avrebbe fatto alzare il costo dell’abbonamento. Ha anche ribadito “che grave ingerenza” sia nel mercato privato che si debba essere costretti a sovvenzionare il settore con una percentuale dei proventi lordi e che questa modifica alla legge del 14 dicembre del 2001 è un grave precedente e che presto anche Spotify e Apple (la norma non vale per le emittenti locali e con un fatturato basso) potrebbero essere costretti a fare lo stesso. Il che sarebbe, ovviamente, molto salutare per il mondo della musica, meno per le multinazionali.
Fondi dalle piattaforme, cosa cambia per il cinema europeo
In buona parte dei Paesi vicini alla Svizzera i servizi di streaming sono soggetti a un obbligo d’investimento o all’obbligo di versare una tassa. Francia e Italia, per esempio, prevedono l’obbligo per i servizi di streaming di investire nella creazione cinematografica europea rispettivamente fino al 26 e al 20 per cento della loro cifra d’affari. Nessun obbligo d’investimento vige in Germania, dove si è optato esclusivamente per il pagamento di una tassa corrispondente al 2,5 per cento della cifra d’affari (un obbligo simile al 4% elvetico). Solo in Austria invece non vi è né l’obbligo di investire né l’obbligo di pagare una tassa.
Cosa c’è allora di rivoluzionario in questa legge? Il fatto che si incastona in un sistema che prevede i PICS (Promozione degli investimenti nel cinema in Svizzera), che vede destinati ai film in coproduzione 6 milioni di franchi (fino a un massimo di 600.000 franchi a film), a cui si aggiungono i 16,5 milioni di franchi circa del sostegno alla produzione cinematografica della Confederazione e i 34 milioni di franchi che ogni anno investe nell’industria audiovisiva la SRG SSR, l’ente radiotelevisivo nazionale.
Risorse “certe” al servizio del cinema svizzero che è – e sempre di più sarà – produzioni nazionali, coproduzioni internazionali e progetti costruiti su più paesi. Risorse che possono essere un boost decisivo per il cinema europeo perché se secondo l’Ufficio di Cultura del Ticino la stima al ribasso di questo famoso 4% è 18 milioni di franchi per il solo Cantone che parla italiano, sappiamo come la Svizzera abbia tre lingue ufficiali: l’italiano appunto, il francese e il tedesco.
Grazie a questa modifica di legge, quindi, si creerebbe e rinsalderebbe l’asse Roma-Lugano, Parigi-Ginevra e Berlino-Zurigo che sfrutterebbe questi fondi dedicati alla produzione indipendente svizzera e alle coproduzioni e la contemporanea fetta di mercato europeo del 30%, una sorta di minimo garantito che apre sulle piattaforme la possibilità di occupare spazi prima imprevedibili. Diversi milioni di franchi e centinaia di migliaia di ore di programmazione in più, insomma.
La Svizzera, la location ideale
C’è chi ha già sperimentato il lavoro in Svizzera. Dal regista di commedie e recordman di incassi Leonardo Pieraccioni, che ha confessato che “i set esterni elvetici erano perfetti prima che noi arrivassimo, la cura che mettono nel tutelare lo spazio pubblico e urbano è sorprendente. Tecnici e professionisti? Fiducia cieca ben ripagata, ho trovato solo collaborazioni eccellenti”. Cosa che ha rilevato anche Carlo Cresto-Dina, produttore tra gli altri de La Chimera, presente nel concorso dell’ultimo festival di Cannes e che in Ticino ha girato anche Calcinculo di Chiara Bellosi, che ha notato come “coproduttori, tecnici e laboratori siano a livelli di professionalità di eccellenza”.
E allora vicino alle opportunità che la Ticino Film Commission ha abilmente messo in mostra per il cinema italiano nel panel del MIA – “da Milano alle Alpi, paesaggisticamente e non solo, abbiamo un mondo da valorizzare ha detto il direttore della TFC Niccolò Castelli, già regista di Atlas – un ponte di diversi chilometri in cui passi dalle palme ai ghiacciai, una fetta di territorio in cui c’è ancora tanto da scoprire” – è evidente come tutto il sistema svizzero beneficerà di una nuova e importante iniezione di finanziamenti e al contempo vedrà aprirsi al mercato europeo un terzo dell’offerta delle piattaforme.
La moltiplicazione dei set
Arriveranno più set, anche perché “il valore della prossimità – continua Castelli – come la grande facilità di spostamento e uso delle location in un territorio piccolo è inestimabile, così come quello dell’affidabilità – questo è un paese dove le parole vengono mantenute – del privato e del pubblico. Qui i governi sono cantonali e per bloccare un’intera città o quartiere o piazza bastano 24 ore, se necessario. Insomma, a volte in altri territori hai milioni di euro, ma difficoltà pratiche enormi o la necessità di scendere a compromessi che ti tolgono libertà, cosa che qui non avviene mai”.
Più fondi, quindi, ma anche più domanda, una situazione economicamente invitante non solo per la Confederazione ma per tutta l’Europa che parla italiano, francese e tedesco (potenzialmente, quindi, 274 milioni di spettatori solo nelle sale cinematografiche, tanti sono i biglietti staccati nei tre paesi nel 2022), che dalle piattaforme potrebbero non solo, nei prossimi anni, ricevere centinaia di milioni di franchi, ma anche grandi opportunità di essere visti e diffusi.
Una piccola grande legge svizzera, insomma, potrebbe cambiare l’inerzia del cinema europeo e del primo, del terzo e del quinto mercato cinematografico europeo.
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