Il padovano Umberto Contarello, 64 anni, è una delle voci più autorevoli della sceneggiatura italiana. Penna in stato di grazia dell’Oscar La grande bellezza di Paolo Sorrentino (con lui anche in This Must Be the Place, Loro e The Young Pope), sceneggiatore tra gli altri per Gabriele Salvatores, Gianni Amelio, Bernardo Bertolucci e Carlo Mazzacurati, presto Contarello esordirà come regista, impegnato in questi giorni al montaggio del suo primo film, L’infinito.
Una sceneggiatura firmata con il sodale Sorrentino, anche coproduttore con The Apartment, e interpretata dalla romana Manuela Mandracchia (Habemus Papam, Fai bei sogni, I predatori). Secondo indiscrezioni lo sceneggiatore padovano – già attore in un cameo per Nanni Moretti in Caro Diario e Sorrentino ne Il divo – si sarebbe ritagliato un ruolo nel suo stesso film. Provocatore per gioco, corrosivo per natura, polemico per inclinazione: la sua opinione sullo sciopero degli sceneggiatori è, prevedibilmente, controcorrente.
Gli sceneggiatori italiani sono solidali con lo sciopero americano. In Italia, dicono, la situazione è persino peggiore. Che ne pensa?
Io degli sceneggiatori italiani ho un’opinione mediocre, nel senso che nascono lamentosi. Nascono con una testa piena di diritti. Ho delle posizioni molto urticanti, la avviso.
Prego.
Chi sceglie di fare lo sceneggiatore non sceglie di guadagnare. Altrimenti faceva il medico, lo scrittore o il cineasta. Ma quello dello sceneggiatore è un mestiere nell’ombra, che non ha riconoscimenti. È un mestiere per chi, di fondo, ha una struttura valida e non ambiziosa.
Cosa intende?
Quando ho letto che avevano aperto una vertenza per sentire il loro nome pronunciato nelle sale cinematografiche, mi è venuto da ridere.
Scusi, quindi questa professione può farla solo chi può permetterselo?
Ma non è una professione.
Cos’è allora?
Un’arte applicata. Un atteggiamento artistico. Anzi, una pratica artigianale artistica. Quindi soggetta a vessazioni e rischi.
Trova giusto che qualcuno – le piattaforme – guadagnino tanto sul vostro lavoro?
Se dovessimo ragionare così, e teoricamente è giusto, ogni volta che una piattaforma vende i film che hai scritto a un altro paese, o ad altri, dovrebbe remunerare in una certa percentuale lo sceneggiatore.
È esattamente quello che chiedono gli sceneggiatori.
Ecco. E allora perché non dovrebbero remunerare anche gli altri? E i musicisti? E gli scenografi?
Perché – dicono – la sceneggiatura è l’idea da cui parte il film. No?
Una sciocchezza.
Non crede ala supremazia della sceneggiatura?
Ma per l’amor di dio, ma no. Ora che ho fatto il mio piccolo film, ho finalmente capito quanto nel tempo si sia creata una leggenda sul fatto che la sceneggiatura sia all’origine di tutto. In un film non c’è origine. È una dinamica, una trasformazione. Non è la Bibbia o la Torah. Lo sceneggiatore è solo uno che fa il suo lavoro.
Che sarebbe?
Avere qualche idea e scrivere belle parole.
Lei quanto ci ha messo a vivere di sceneggiatura?
Ci ho messo vent’anni. Sono arrivato a Roma nel 1986, ho scritto il mio primo film a 25 anni e Marrakech Express (di Gabriele Salvatores, ndr) a 29. Però era tutto molto diverso. E io ero molto bravo.
Diverso in che senso?
Alla base di tutto questo disagio c’è il crimine compiuto in Italia della proliferazione immotivata in ogni città delle scuole di scrittura. Un fatto che ha provocato una valanga di domande a fronte di una richiesta minima. E un’enorme massa di frustrati. Quando ho cominciato io, eravamo in 20. E nessuno di noi pensava che sarebbe vissuto col lavoro dello sceneggiatore. Qui partono con la testa piena di diritti. Ma il diritto occulta il talento. E lo standardizza.
Gli americani si preoccupano delle intelligenze artificiali. ChatGPT vi ruberà il lavoro?
L’idea che la modernità si regolamenti ha la consistenza intellettuale di un cucchiaino. È una sciocchezza. Qualcuno ha fermato la ruota? Quando è arrivato il primo che ha detto ‘si potrebbe arrotondare un sasso e farlo diventare una ruota, così facciamo meno fatica’, qualcuno si è opposto? È un paese reazionario, passatista, che ha paura di ogni cosa che non controlla. Bisogna abituarsi al fatto che la modernità non comporti controllo. Questa è la modernità.
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