Catia Rossi, head of international sales di Vision Distributions, 23 anni di carriera, è la Re Mida della distribuzione sul mercato internazionale di C’è ancora domani, o meglio Theres’s Still Tomorrow, come ci ha rivelato l’articolo di Deadline, che ci ha anche fatto scoprire che in inglese Nessuno mi può giudicare è diventato Escort in love (praticamente il titolo di un film erotico) e Come un gatto in tangenziale un più impersonale Like a cat in Highway.
Con lei cerchiamo di capire quale sia la strategia migliore per far sì che uno dei più grandi casi cinematografici degli ultimi anni, per apprezzamento critico e successo al botteghino, del panorama italiano possa diventarlo anche fuori dai nostri confini. Con 18 paesi raggiunti in 21 giorni, si è già raggiunto un record: un paese, o quasi, per ogni giorno di programmazione del film, tutti i continenti raggiunti, Africa esclusa (Australia, Belgio, Brasile, Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Israele, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Portogallo – la casa di distribuzione in quel caso segnala una specifica passione per il cinema italiano, chiamandosi Il Sorpasso -, Spagna, Svezia, Svizzera, Taiwan, Ungheria).
Qual è la strategia migliore per poter vendere un successo clamoroso come C’è ancora domani di Paola Cortellesi?
La strategia è molto semplice: far vincere il film. Non iniziare un’opera di persuasione a scatola chiusa, anche perché per noi sul mercato internazionale Paola Cortellesi è “solo” un esordiente all’opera prima, il credito che lei ha sul mercato italiano e la sua fama, ovviament,e fuori dall’Italia non è una carta giocabile. Sono pochissimi gli attori europei, d’altronde, che abbiano una faccia “bankable”, che possano da soli far vendere un’opera.
Ma sapevamo di avere una storia forte per le mani, con un linguaggio cinematografico originale e una visione. E allora tornando alla tua domanda sulla strategia, io ho dovuto fare una cosa molto semplice: ho detto ai distributori esteri “guardatelo, non vi chiedo altro”. Sapendo che quella storia universale poteva trovare una risonanza anche per i non italiani.
Il mio lavoro preliminare è stato proprio quello, convincere quanti più distributori presenti al MIA a vedere il film al Festival di Roma. Ha ovviamente aiutato che fosse stato scelto come opera inaugurale della rassegna.
La scelta di un neorealismo rosa e moderno e Roma come location hanno inciso?
Certamente, il linguaggio del neorealismo, il richiamo a quel modo di fare cinema esercita sempre un fascino sui pubblici esteri, rispecchiano un modo di vedere l’Italia che fuori piace molto. Soprattutto se innestato su una modernità di linguaggio e soluzioni originali come quelli di Paola. Roma, poi è, non è solo una città ma un’icona mondiale. Quindi, certo, sono ingredienti fondamentali.
Avete penetrato anche mercati che raramente si rivolgono a noi.
Come Israele. Lo abbiamo mandato al festival di Haifa, che lo ha programmato quasi in contemporanea a Roma. il distributore Lev/Shani per cui normalmente esistono solo i nostri autori più importanti come Moretti, Garrone e Sorrentino e di sicuro non si concentra sulle nostre opere prime si è convinto dopo la standing ovation nell’anteprima all’Haifa International Film Festival. Anzi a dire la verità si è persuaso di comprarlo per l’entusiasmo di una spettatrice in particolare.
Chi?
La madre 90enne. Era tra il pubblico e appena finito il film, quando ancora non erano finiti gli applausi ha chiamato il figlio dicendogli che doveva comprarlo a tutti i costi, che era meraviglioso.
C’è un effetto domino derivante dal successo al box office italiano? Parliamo di un film che alla quarta settimana fa (almeno) mezzo milione al giorno, nei feriali. E che nell’ultimo fine settimana ha incassato 4,5 milioni
Certo, il box office italiano fa arrivare anche chi non aveva intercettato il film prima al MIA o nei festival, come successo a Roma, ma anche a Haifa e in Brasile. Ormai siamo sui 20 paesi, ma la cosa interessante è la qualità raggiunta nei nostri collaboratori all’estero: sono tutti distributori superarthouse. Folkets Bio, per dire, il distributore svedese, ha come standard Aki Kaurismaki. A loro, in 23 anni – prima ero in Rai – ero riuscita a vendere solo il rinnovo dei diritti di Padre Padrone!
Come si giudica, al di là dei numeri, il successo all’estero di un film?
Devi vedere in genere quanti film si vendono in un certo periodo di tempo all’estero e in quali paesi vanno. E come dicevo, la forza e la qualità dei distributori. Il fatto che un titolo approdi in Australia, Taiwan, Brasile e Spagna ti fa capire le sue potenzialità più delle cifre. Arrivare, nel migliore modo.
C’è in programma anche l’approdo negli Usa?
Sul mercato degli Stati Uniti stiamo lavorando. Sarà un percorso che affronteremo nel lungo periodo, non vogliamo sbagliare, ci sono diversi tavoli di trattativa aperti, varie manifestazioni di interesse. Conta quanti, ma ripeto anche chi: la vendita a Universal Francia è qualcosa di eccezionale, soprattutto perché è un distributore tra i più importanti di quel mercato e farà sì che il film arriverà al grande pubblico di quel paese.
Quanto dura il lavoro di vendita agli altri paesi?
La tempistica è sui 6-8 mesi. Pensa che per Le otto montagne ho ancora dei paesi che stanno uscendo solo ora
Nel caso del film con Alessandro Borghi e Luca Marinelli a che punto siamo?
Lì siamo sui 51-52 paesi, ma lì è tutto più facile, l’opera era in concorso al festival di Cannes e Felix Van Groeningen è stato un regista candidato all’Oscar (nel 2012 per Alabama Monroe).
È un obiettivo possibile anche per il film di Paola Cortellesi?
Confido di arrivarci, per la mia esperienza C’è ancora domani può ottenere un risultato di questo tipo. So che farò di tutto perché avvenga, non tanto per il ritorno economico quanto perché l’essenza del mio lavoro è quello di costruire la carriera internazionale di un autore.
Io ho venduto Perfetti sconosciuti, il fatto che sia andato bene nelle sale di molti paesi, parlo del film e non dei vari remake, ha creato la credibilità all’estero di Paolo Genovese. E per riuscirci ci sono due ingredienti fondamentali: la circuitazione nei festival internazionali e l’uscita in sala in più nazioni. E là conta, come già detto, sia la qualità del singolo distributore, sia la quantità di mercati che puoi raggiungere.
Quindi mi sta dicendo che la Festa di Roma ha raggiunto finalmente una credibilità internazionale?
Il Festival di Roma sta crescendo, si sta creando una reputazione, ovvio che non è Cannes ma i clienti del MIA hanno avuto un’attenzione particolare al film e in generale, nonostante le dimensioni limitate di quel mercato, è un ottimo luogo in cui far girare film e autori, in cui suscitare interesse su un prodotto.
Però alla fine decide sempre il film. Prevale sempre l’autore e la sua opera, i compratori sono sempre più cauti, vogliono vedere tutto e comprano poco, ma se un lungometraggio vale, come diceva chi mi ha insegnato questo lavoro, vengono a trovarlo pure su un’isola deserta. Se non vale, tu non potrai fare miracoli.
Non trova che l’Italia ignori, per pigrizia, festival e mercati importanti? Penso a San Sebastian, che per lingua e estensione geografica ha un mercato di riferimento molto importante
Analisi giusta, San Sebastian ora è uno degli obiettivi. Molti film italiani finiscono a Venezia e quindi nella rassegna basca non li prendono, dobbiamo costruire una sensibilità verso il nostro cinema che per ora a quelle latitudini è poco sviluppata.
Vale anche il contrario?
Sicuramente, anche i nostri autori e produttori e distributori devono guardare lì. Però la Spagna è molto attiva e attenta verso il nostro cinema ed è stato il primo territorio dove è finito C’è ancora domani, ad esempio.
Con me comunque sfondi una porta aperta, dovremmo fare una riflessione seria sull’internazionale, renderlo ancora più centrale sul destino e la destinazione di un film.
Ci sono già strumenti preziosi, penso a Filmitalia che fa un grande lavoro, ad esempio nella settimana del cinema italiano che fanno a Tokyo torno sempre con qualche titolo venduto.
Quali sono i problemi che impediscono all’Italia di vendere in maniera massiva i propri titoli nel mondo?
Il fatto che siamo ancora una supernicchia, per vari motivi (non ultimo, la lingua). E che il mercato viene indirizzato, almeno per l’arthouse, su autori e festival oppure su facce “pesanti” a livello internazionale. E come dicevo Paola Cortellesi non è Joaquin Phoenix.
Dovremmo dire a Paola Cortellesi di fare un’0pera seconda in cui Joaquin Phoenix interpreta Valerio Mastandrea allora!
Ancora meglio: una commedia romantica in cui nel cast ci sono entrambi e lei deve scegliere uno dei due. Sarebbe facile venderlo! Dobbiamo proporglielo.
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