È la prima volta, dopo anni di pandemia, che il cinema cinese torna ottimista. A Pechino le persone vanno di nuovo in sala, senza le mascherine, le autorità allentano i controlli e i professionisti del settore partecipano ai festival internazionali. Secondo gli addetti ai lavori però questo rilancio andrà prima di tutto a vantaggio delle grandi produzioni cinesi e dei film hollywoodiani. Per la ripresa invece del business, appena nato, delle importazioni dei film indipendenti da parte della Cina bisognerà aspettare.
Il cinema cinese al Festival di Berlino
Il riavvicinamento della Cina alla comunità cinematografica mondiale si è già visto al 73° Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Qui sono stati presentati in anteprima sei lungometraggi cinesi, di cui due in concorso (il film d’animazione Art College 1994 di Liu Jian e il film drammatico The Shadowless Tower di Zhang Lu), e una serie (Why Try to Change Me Now di Dalei Zhang, vincitore dell’Orso d’Argento di Berlino 2021 per i cortometraggi). Come hanno notato gli habitué del festival, questa è la più grande selezione di film cinesi a Berlino fino a oggi.
“L’anno scorso sono state rimandate così tante uscite a causa della pandemia che c’è un grande arretrato di film di qualità pronti per essere distribuiti nel 2023”, ha detto Meng Xie, fondatore di Rediance, casa di produzione indie con sede a Pechino. Quest’anno Radiance ha due lungometraggi nella sezione Encounters di Berlino, Absence del regista cinese Wu Lang e Here del regista belga Bas Devos. “Siamo finalmente tornati a Berlino, è la prima volta dal 2020 e tutto sembra andare nel verso giusto”, ha aggiunto.
La popolazione cinese torna in sala
I segnali di un potenziale ritorno dell’industria cinematografica cinese si vedono anche altrove. Quando in Cina la strategia “zero Covid” era stata interrotta, alla fine del 2022, le persone non sono tornate subito al cinema, anche perché i contagi restavano alti. Dalle vacanze del Capodanno cinese, il 22 gennaio, sembrava chiaro però che il paese fosse pronto a unirsi al resto del mondo per riprendere la vita normale.
Durante quella settimana di festa, le vendite dei biglietti dei cinema cinesi hanno superato il miliardo di dollari (6,8 miliardi di RMB), il secondo più grande “bottino festivo” mai registrato, con un aumento del 12% rispetto al 2022. I due film che hanno accumulato più biglietti venduti hanno superato il mezzo miliardo di dollari ciascuno. Full River Red di Zhang Yimou con 650 milioni di dollari (4,41 miliardi di RMB) e il sequel fantascientifico The Wandering Earth 2 di Frank Guo con 560 milioni di dollari (3,85 miliardi di RMB).
L’impatto del cinema cinese su Hollywood
Anche gli studios di Hollywood hanno motivo di essere ottimisti. Nel 2022, l’uscita dei principali film statunitensi in Cina era stata rallentata, anche per l’inasprimento della repressione del Partito Comunista in occasione del 20° Congresso Nazionale. Solo due film americani sono entrati nella top 10 cinese nel 2022 – Avatar: The Way of Water con poco meno di 248 milioni di dollari e Jurassic World Dominion con 232,5 milioni di dollari – mentre il numero di film non cinesi distribuiti nel Paese è sceso del 48%, anno su anno, a soli 57 titoli.
Le autorità di regolamentazione hanno mantenuto per due anni un divieto su tutte le uscite cinematografiche Disney/Marvel, lasciando nel cassetto successi come Doctor Strange nel Multiverso della Follia e Thor: Amore e Tuono, che sono costati alla Disney decine di milioni di dollari di potenziali introiti, e altri film americani di grande budget, come Top Gun: Maverick di Paramount e Black Adam di Warner Bros. Il 2023 si prospetta già più roseo.
A metà gennaio, l’Ufficio cinematografico cinese ha revocato il divieto imposto alla Marvel, concedendo l’uscita a Black Panther: Wakanda Forever e Ant-Man and the Wasp: Quantumania, e poi a Shazam! Furia degli dei della Warner Bros. Anche alcuni titoli internazionali più piccoli hanno ottenuto delle date, come il dramma The Son di Florian Zeller del 2022.
La regolamentazione dei film in Cina
La posizione ammorbidita di Pechino sulla regolamentazione dei film rispecchia la recente svolta del Paese anche in altre aree dell’economia, in particolare, in quello tecnologico e immobiliare. La svolta politica ha coinciso anche con una scossa amministrativa all’Ufficio Cinema. All’inizio del 2018, Pechino ha avviato un’importante riorganizzazione della struttura governativa che ha portato all’abolizione dell’Amministrazione statale per la stampa, la pubblicazione, la radio, il cinema e la televisione (SAPPRFT), l’organo di controllo per le industrie dei media e dell’intrattenimento del Paese, le cui funzioni sono state assorbite dal Dipartimento della Pubblicità del Partito Comunista Cinese, noto anche come Dipartimento della Propaganda.
La normativa legata al cinema cinese, dalla censura alle politiche di importazione alla definizione delle date di uscita in sala, passava quindi da un apparato governativo, che operava con un certo grado di isolamento politico, alla struttura direttamente responsabile della diffusione dell’ideologia e della propaganda del Partito comunista.
Dalla censura al signor Mao
Nel frattempo il vice ministro del Dipartimento di Propaganda, Wang Xiaohui, pur non avendo alcuna esperienza nel settore cinematografico, veniva nominato alla direzione dell’ente cinematografico nazionale. Con pena degli operatori del settore, sia in Cina sia all’estero, che lamentavano un aumento delle difficoltà di censura, oltre ai regolari episodi di disfunzione amministrativa.
L’anno scorso tuttavia, in seguito al trasferimento di Wang a una posizione più elevata come segretario di partito della provincia di Sichuan, Mao Yu, già esperto nel settore, è stato nominato nuovo capo dell’ente cinema. I dirigenti cinematografici più influenti si sono rallegrati per questo cambiamento: Mao, laureato all’Accademia del Cinema di Pechino, ha lavorato per anni nella SAPPRFT prima del suo scioglimento ed è stato in passato vicepresidente della China Film Corporation, lo studio cinese più importante.
Che cosa è cambiato dopo la pandemia
Dopo la pandemia, la regolamentazione dei film è cambiata ancora. In Cina, l’ente cinematografico stabilisce in autonomia le date di uscita dei film internazionali. Per le uscite nazionali invece gli studi cinesi hanno sempre goduto della libertà di stabilire le proprie date, vantaggio notevole per le strategie di marketing e di comunicazione. Durante la pandemia le autorità hanno revocato questo privilegio, costringendo anche le case di produzione locali ad aspettare il verdetto del governo, spesso con autorizzazioni concesse solo due o tre settimane prima della data di distribuzione in sala.
All’inizio del 2023, l’ente cinematografico ha ricominciato a permettere agli studi di stabilire le proprie date di uscita, segnale incoraggiante, secondo gli addetti ai lavori. Dovranno comunque attendere il via libera delle autorità per l’uscita in sala sia gli importatori sia i distributori di film internazionali a piccolo e medio budget, considerati una delle aree più difficili del business cinematografico in Cina. Diversi fattori hanno reso ardua la distribuzione indipendente in tutto il mondo e questa difficoltà aveva a margine anche gli svantaggi normativi locali. Non sorprende quindi che questa fetta del mercato cinematografico, sempre volubile e imprevedibile, richieda più tempo per riprendersi.
La Cina ai mercati internazionali
Anche se le delegazioni cinesi sono state quest’anno a Berlino, la partecipazione all’European Film Market è rimasta scarsa. Secondo esponenti del settore, il business delle importazioni è così complesso che molte società durante la pandemia hanno deciso di fermare le loro attività. “Non ci aspettiamo grandi affari con i cinesi all’EFM”, ha detto Miyuki Takamatsu, cofondatore della società di vendita giapponese Free Stone Productions.
“Più che altro riallacciamo i rapporti”. Gli acquirenti cinesi all’EFM hanno avuto però ampia scelta. “Il mio team è stato a Berlino e siamo entusiasti del potenziale”, ha detto Cindy Mi Lin, ceo del distributore Infotainment China Media con sede a Pechino. Sono ancora disponibili molti titoli statunitensi e internazionali appetibili per la Cina, perché il mercato degli ultimi tre anni era così fermo che nessuna società cinese acquistava diritti. “Ci aspettiamo di vedere molti film completati e di acquisirne alcuni di grande qualità per la seconda metà dell’anno”, ha aggiunto.
Cifre da record per il cinema cinese
Il distributore indipendente Road Pictures, con sede a Pechino, ha delle cifre da record per la pubblicazione di titoli da festival in Cina. Prima della pandemia, la società ha ottenuto alcuni successi con film di prestigio, come il vincitore della Palma d’Oro Shoplifters di Hirokazu Kore-eda, che ha guadagnato 15 milioni di dollari in Cina, e il film libanese Capernaum di Nadine Labaki, che ha portato nel Paese ben 58 milioni di dollari.
Road Pictures non parteciperà all’EFM di quest’anno, perché il team della società è impegnato a Pechino nella campagna di marketing per il film in concorso a Berlino Suzume del maestro giapponese di anime Makoto Shinkai. Gongming Cai, amministratore delegato di Road Pictures, ha dichiarato: “Ci vorrà un po’ di tempo prima che tutto si riprenda, ma per il periodo di Cannes, a maggio, dovremmo vedere acquirenti e venditori di film cinesi di nuovo molto attivi sui mercati internazionali.”
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