La Disney è in crisi. Proprio nell’anno in cui brinda ai suoi cento anni. Con un bilancio non dei più brillanti e licenziamenti di massa all’orizzonte l’amministratore delegato Bob Iger ha molto lavoro da fare prima di concludere il mandato nel 2025. A dire il vero Iger – una sorta di cavaliere Jedi del business, già alla guida dell’impero dal 2005 al 2020 – era stato richiamato a novembre (dalla pensione), dopo la gestione di Bob Chapek, per salvare l’azienda. La sua strategia di “crescita rinnovata” sembra chiara: tagliare i costi per tenere a galla la nave. Questo significa eliminare posti di lavoro in tutto il mondo: settemila entro l’estate.
Sono passati cento anni da quando Walt Disney, insieme a suo fratello Roy, cambiò il mondo con una matita. Il piccolo studio di animazione di Hollywood, il Disney Brothers Studio, è diventato Walt Disney Company e dopo un secolo la più grande società di intrattenimento del mondo, con un valore di mercato di 180 miliardi di dollari. Possiede i film di Star Wars e Marvel, l’emittente sportiva ESPN, il National Geographic e 20th Century Studios. Gestisce i suoi parchi di divertimento e le sue crociere in tutto il mondo e i popolari servizi di streaming Disney+, ESPN+ e Hulu. Ma il marchio non arriva in forma al traguardo del centenario. Di certo, almeno per settemila persone, la Disney non è più il posto più felice del mondo e ora lo Jedi deve affrontare Wall Street.
I licenziamenti Disney: addio al metaverso
Come parte della ristrutturazione la Disney prevede di tagliare i costi di 5,5 miliardi di dollari ed eliminare 7.000 posti di lavoro, circa il 4% del totale (a ottobre la macchina contava 220.000 lavoratori nel mondo). L’operazione si svolgerà in tre fasi, rivela una nota interna esaminata da The Hollywood Reporter. Il primo round è già iniziato, il secondo è previsto entro la fine del mese di aprile e il terzo entro la fine dell’estate. “Non è una decisione presa alla leggera”, ha affermato Iger. Ma “in tempi difficili, dobbiamo sempre fare ciò che è necessario”.
Tra i membri dello staff degni di nota sono usciti o in uscita Jayne Bieber, senior vp production in Freeform/Onyx Collective, Mark Levenstein, responsabile della produzione e della post produzione di Hulu, Elizabeth Newman, capo del dipartimento acquisizioni della Disney. Ma anche il sogno del metaverso dell’ex Ceo Chapek è morto. La divisione (chiamata “narrazione di nuova generazione”) era il suo progetto preferito e contava 50 dipendenti.
Un altro colpo per il metaverso diretto, sembra, verso una morte graduale ma certa. Da quando nell’ottobre 2021 Mark Zuckerberg, che ha persino rinominato Facebook in Meta, lo aveva presentato come la grande novità tecnologica delle Big Tech investendoci 36 miliardi di dollari tutte le principali aziende hanno chiuso, o messo in pausa, i loro progetti. Oltre alla stessa Meta, che ha tagliato 11.000 posti di lavoro per mantenere a galla il suo universo 3D, anche Microsoft, che ci aveva scommesso, ha chiuso il mondo di AltspaceVR.
ABC News decimata e fuori “Ike” Perlmutter
I licenziamenti Disney hanno colpito anche ABC News. La divisione ha lasciato andare 50 persone, con il presidente Kim Godwin che sta riorganizzando il gruppo dirigente. I tagli hanno riguardato anche la Marvel Entertainment, che è stata divisa in altre parti della società licenziando Isaac “Ike” Perlmutter.
Licenziare Perlmutter, che aveva venduto la Marvel alla Disney per 4 miliardi di dollari nel 2009, vuol dire rimuovere una fonte di tensione di lunga data, dato che si è sempre scontrato con diversi dirigenti. Soprattutto quando volle aiutare l’amico e azionista Nelson Peltz a ottenere un posto nel consiglio d’amministrazione. Il suo accordo per vendere la Marvel, che rilevò negli anni ’90, lo ha reso un miliardario e uno dei maggiori azionisti individuali della Disney. Il Financial Times stima che possiede l’1% della Disney e Forbes gli calcola un patrimonio netto di 4 miliardi di dollari.
La Disney ha dichiarato di aver licenziato anche altri membri del board tra cui il Chief Compliance Officer Alicia Schwarz, le cui funzioni saranno assunte dal General Counsel Horacio Gutierrez. Intanto Joe Earley, ex dirigente Fox, è stato nominato presidente del settore direct-to-consumer di Disney Entertainment (in perdita di 1 miliardo di dollari nel primo trimestre del 2023), aggiungendo Disney+ a un incarico che già comprendeva la supervisione di Hulu. Earley sostituisce Michael Paull, che lascia il gruppo dopo sei anni.
La crisi dello streaming
La Disney ha fatto dello streaming un punto focale della sua attività. Gestisce una serie di servizi tra cui Disney+, disponibile in gran parte del mondo ad eccezione della Cina continentale, ESPN+ e Hulu negli Stati Uniti e Disney+ Hotstar in Asia. Disney+ contava 161,8 milioni di abbonati al 31 dicembre, Hulu 48 milioni e ESPN+ 24,9 milioni. Dal lancio di Disney+ nel 2019, l’attività di streaming dell’azienda ha perso quasi 10 miliardi di dollari, secondo le informazioni finanziarie. Ed è andata meglio di quanto si aspettassero gli investitori.
Non che i rivali stiano meglio. Dopo anni passati a rivoluzionare il mondo dell’intrattenimento anche per lo streaming è tempo di ripensare al modello di business. I giganti vacillano. A partire dal capostipite Netflix che lo scorso anno per la prima volta in un decennio ha perso abbonati. Come un domino sono crollate le azioni di società come Paramount (Paramount+) e Warner Bros Discovery (HBO Max e Discovery+). Morgan Stanley ha avvertito che il 2023 è “l’anno critico dei costi insostenibili”.
Oltre a Netflix aziende come HBO, Comcast, Apple e Amazon hanno iniziato a registrare il segno meno. Questi risultati, il mercato ormai maturo, frammentato, competitivo, saturo di contenuti, le ipotesi di introdurre la pubblicità negli abbonamenti. Tutto questo sembra segnare la fine dell’era sontuosa dello streaming, caratterizzata dalle spese sfrenate e da una sana dose di arroganza.
Nel frattempo la Disney compie 100 anni
Iger è stato richiamato all’ordine per tirare a lucido il marchio anche in vista del centenario, che l’azienda ha iniziato a celebrare a gennaio con l’apertura di due mostre che gireranno il mondo fino al 2028. Quando cinque anni fa la direttrice degli Archivi Disney, Becky Cline, iniziò a pensare agli spettacoli del museo “Disney100”, la Disney si stava crogiolando nel suo acquisto da 71,3 miliardi di dollari della 21st Century Fox. Adesso domina ancora il botteghino, con quattro dei dieci film di maggior incasso del 2022 (incluso il sequel del più redditizio di sempre, Avatar) e i suoi parchi a tema che si sono ripresi dalle chiusure dovute alla pandemia.
Ma l’idillio della ripresa è durato solo i mesi del 2021. Le reti via cavo continuano a incassare miliardi di dollari all’anno e nello streaming la Disney colleziona più abbonamenti di chiunque altro, superando anche Netflix. Poi la doccia fredda. Nell’ultimo anno Wall Street si è resa conto che il cinema non si è davvero ripreso dal Covid e che il recupero potrebbe non avvenire. La società ha subito il peggior calo delle azioni degli ultimi anni nel 2022 alle prese con il cambiamento dei ceo, l’alto costo dello streaming, l’erosione della tv tradizionale. Risultato: necessità di risparmiare i 5,5 miliardi.
Mentre la mostra del centenario mostra i cimeli dell’età dell’oro di Topolino compreso un Walt Disney in carne e ossa virtuali che saluta i visitatori (con il suo vero tono di voce) il lavoro dello Jedi diventa sempre più impegnativo. Lo streaming ha trasformato la Disney in un gigantesca macchina diretta al consumatore, e internazionale. Il suo capo oggi deve gestire rapporti politici con tutti, dai repubblicani della Florida al Partito Comunista Cinese.
E poiché la tecnologia mette Hollywood in concorrenza con la Silicon Valley la Disney dovrà trovare nuovi modi per sfruttare la sua proprietà intellettuale, l’unica cosa che può sperare che i rivali più ricchi non raggiungano. D’altra parte Walt Disney alla vigilia dell’apertura di Disneyland si augurava: “Spero solo che non perdiamo mai di vista una cosa, che tutto è iniziato da un topo”.
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