Luca Barbareschi, Maria Pia Ammirati e Paolo Del Brocco si confrontano, da un panel all’altro, sulla produzione audiovisiva italiana al Audio-Visual Producers Summit Trieste.
Gli incontri prettamente incentrati sull’industry, di qualsiasi settore si tratti, servono per riequilibrarsi, per rimettere in prospettiva il lavoro che tantissime maestranze fanno, ponendosi degli obiettivi comuni o mostrando i risultati di importanti investimenti che sono stati seminati nel corso del tempo. A volte, invece, servono per togliersi qualche sassolino dalle scarpe.
Durante la seconda edizione dell’Audio-Visual Producers Summit, dal 19 al 21 luglio a Trieste, ad avere qualcosa da dire è Luca Barbareschi, fondatore e direttore artistico dell’Eliseo Entertainment, che in veste di indipendente durante il primo panel della manifestazione incentrato sul ruolo del produttore (proprio dal titolo “The Producer’s Role”), ha raccontato di quanto sia per lui difficile girare negli Stati Uniti, mentre qui in Italia viene steso “il tappeto rosso” a qualsiasi proposta da oltreoceano.
La lotta degli indipendenti (guardando alla Rai)
L’attore e produttore – al panel insieme ai colleghi Albert Berger (Bona Fide Productions), Luca Bernabei (Lux Vide), Gale Anne Hurd (produttrice), Gary Lucchesi (Revelations Entertainment), Shelby Stone (produttrice esecutiva e consulente) e Daniel Frigo (The Walt Disney Company Italia) – ha raccontato degli impedimenti che possono sussistere nel momento in cui si va cercando un set in terra straniera. Trovando principalmente un muro certamente possibile da oltrepassare, ma con grande sforzo. Ancor di più per chi si impegna in produzioni indipendenti.
“Siamo rimasti in pochi, tra gli indipendenti, a combattere contro un sistema molto difficile”, racconta Barbareschi “Ho girato con Roman Polański, e a prescindere dalle questioni personali, che si sia trattato de Il Pianista (2002) o J’accuse (2019) o l’ultimo The Palace, ho sempre dovuto elemosinare per trovare i soldi, chiedendoli di paese in paese, non aiutato dal mio, svalutando quello che abbiamo di buono dandolo agli americani a causa di una legge socialista degli anni Settanta”.
Un problema che riscontra nell’incapacità di farsi veramente industria, vedendo nei vari cambi di governo un’instabilità che non ha permesso al settore di consolidarsi. Industria che sarebbe bene “aiutasse gli indipendenti”, a partire dai tax credit e le agevolazioni che solo i top players possono assicurarsi (vedasi Rai e Mediaset).
Una questione che per Barbareschi ha un fondo politico. “È difficile spiegare agli americani che il nostro paese è fondato su un forte attaccamento politico. E questo è molto tragico. Perché certi governi hanno favorito sempre e solo certi produttori. Questo ha messo in crisi la dinamica qualitativa e meritocratica”.
Palla al centro
Avendo in sala Maria Pia Ammirati e Paolo Del Brocco, rispettivamente responsabile delle fiction Rai e amministratore delegato di Rai Cinema, Luca Barbareschi lancia l’amo: “Sono i nostri due eroi in Italia. In due hanno il budget di un’unica serie americana. Per cui il vero cambiamento avverrà se riusciremo a investire in questi contenuti anche noi. Perché senza i soldi non si possono realizzare i sogni”. Il panel successivo, “Spotlight su Rai Fiction e Rai Cinema”, non poteva che ripartire da qui.
“Luca Barbareschi fa bene a provocare. Aiuta a dare ossigeno ai nostri discorsi”, commenta Maria Pia Ammarati “Siamo addetti ai lavori, parliamo lo stesso linguaggio e abbiamo gli stessi temi da dover affrontare: la produzione, la scrittura, l’ascolto, il pubblico che sta cambiando. Nonché il rapporto tra cinema e televisione. Il comune denominatore rimane il cinema”.
Alla risposta istituzionale e misurata di Ammirati, segue quella più briosa di Del Brocco: “Se il nostro budget è come quello di una serie americana allora siamo bravissimi, perché noi all’anno facciamo venticinque serie e settantacinque film”. Ma l’attenzione del CEO di Rai Cinema si dirige presto verso un’altra direzione e la sua preda diventano le piattaforme.
“Il mondo dello streaming ha cambiato tutto, ma ha anche abbassato la qualità”, spiega Paolo Del Brocco “Con tutto il rispetto per i produttori che hanno fatto film per le piattaforme, ma ammettiamolo: i titoli originali sono mediamente brutti. Hanno poca profondità di personaggi, poca profondità di storia. È comprensibile, come dice Nanni Moretti, devono parlare a centonovanta paesi, e per questo bisogna trovare racconti che standardizzino il gusto”.
Ed eccola qui, la stoccata finale: “Proprio l’altro giorno stavo parlando con un produttore di una serie tv che ha detto essere stato lo show in lingua italiana più visto di una piattaforma. Quella serie è esteticamente molto bella, ma la scrittura sembra fatta per bambini. Questo è il problema della profondità dei contenuti”. Il panel finisce, si va al giorno dopo. Chissà se l’effetto a catena continuerà.
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