I miracoli accadono. Può una famiglia ultraortodossa ebraica un po’ disfunzionale reincarnarsi in una comunità turca di religione islamica? Nel multiverso di Netflix la risposta può sembrare sorprendente ma è semplice: sì, può.
In altre parole, ecco Akiva Shtisel, giovane haredi di Gerusalemme (quartiere Geula), la nonna Malka, il padre-rabbino-patriarca Shulem, le fidanzate, mogli, cugine Elisheva, Libbi, Giti, perse e ritrovate nella loro a tratti paradossale vita quotidiana in continua tensione tra sacralità e laicità, ritrovarsi trasfigurati nei corpi dei protagonisti di Ömer, la versione turca di Shtisel, la serie israeliana assurta dal 2013 ad oggi a uno dei più singolari e interessanti fenomeni televisivi globali.
Shtisel da Netflix al Bosforo
La notizia l’ha data qualche tempo fa The Hollywood Reporter Usa: la casa di produzione Ogm, fondata nel 2019 da Onur Güvenatam, ha acquisito i diritti per realizzare il remake turco dell’“israeli television drama” che negli ultimi anni, poi spinto anche dal fenomeno Unorthodox, ha aperto uno squarcio formidabile nella finestra dell’immaginario globalizzato che porta il nome di Netflix, un varco fatto di mondi inattesi, non previsti e non contemplati dallo “spettatore tipo” formato Marvel, per il quale apparentemente il Mediterraneo non sembra esistere.
E invece da due sponde del nostro piccolo mare dalle mille culture arriva la fusione più bella, sognante, quella tra l’universo ebraico e il mondo del profeta: stessa trama, più o meno stessi personaggi, stessi tic e stesse paranoie, stesse tentazioni verso la modernità temuta e desiderata, quasi la stessa galassia, con la sola differenza che la comunità ultra-ortodossa ebraica si tramuta in una comunità ultra-ortodossa musulmana.
Guvenatam la dice così, con apparente candore: “Shtisel è un format unico che può essere adattato a quasi ogni cultura e religione. Siamo molto eccitati di presentare Ömer in armonia con la nostra cultura e le nostre tradizioni”. Toni simili arrivano da Nadav Palti, presidente della Dori Media Group, che tratta le licenze internazionali della serie: “Si tratta di mostrare come il pubblico di qualsiasi tipo, che siano islamici o ebraici, possa entrare in relazione con gli stessi valori familiari e le le stesse dinamiche conflittuali ritratte in Shtisel”.
La tagliola delle “timeline”
A fronte delle tre stagioni e delle trentatré puntate dell’originale, la variante turca per ora sarà vista nei venti episodi di una prima stagione. Paradossi delle timeline multiple della serialità globale: proprio mentre prende vita lo Shtisel turcomanno, lo “show” israeliano – già vincitore di 11 Israeli Tv Awards – viene cancellato, probabilmente per sempre, da Netflix. Licenza terminata, the end. E un de profundis arriva anche da Danna Stern, numero uno della casa produttrice originaria della serie, gli Yes Studios: “Non voglio spezzare il cuore a nessuno, ma io credo che questa storia sia stata raccontata tutta”. Ma come tutte le storie, va raccontata all’infinito: questa volta in turco, con vista Bosforo, lo stretto dei miracoli.
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