“Non solo le serie coreane possono farcela. Anche Taiwan può”.
La produttrice Rita Chuang, a capo della Good Films Workshop di Taipei, lanciail messaggio, non bellicoso eppure chiarissimo. Nella più grande vetrina di cinema asiatico in Europa, il Far East Film Festival appena concluso (Udine, 21-29 aprile), Chuang era tra gli ospiti del panel “Female Voices of the Taiwan Film Industry”. Uno degli appuntamenti di Focus Asia, riservati ai professionisti, alla Torre Santa Maria, forte difensivo medievale che oggi è la sede udinese di Confindustria.
Insieme alle colleghe Yeh Ju-feng, decana di Mandarinvision (che ha prodotto da La battaglia dei tre regni di John Woo al recentissimo remake cinese di Hachiko) e Lee Lieh, attrice divenuta produttrice con la sua An
Attitude Production, Chuang ha ribadito con forza la recente apertura dell’isola alle coproduzioni con altri Paesi, non solo asiatici. L’industria di Taipei ha ormai una storia consolidata, anche con la Cina, e un sistema
caratterizzato da costi ragionevoli, un’ampia ricettività di studios e una varietà di paesaggi. Non da ultimo, come ha sottolineato la non binaria Yeh Ju-feng, anche un conquistato equilibrio di genere nelle professioni del cinema rispetto agli anni ’90.
Guardando alla Corea (del Sud, ovviamente), il cinema, e l’audiovisivo in generale, a Taiwan è alla ricerca di nuovi partner e di storie più internazionali, che non parlino solo al pubblico locale. Proprio al Far East, vent’anni prima degli Oscar 2020 a Parasite e del boom audiovisivo di Seoul, si sono visti i film di Kim Jee-woon, Bae Chang-ho, Park Chan-wook, Jang Jin, Lee Jeong-hyang, Lee Hey-jun. “E anche di Jang Sun- woo, che tutti i registi coreani di adesso identificano come proprio mentore”, ha ricordato la direttrice del FEFF Baracetti, “e che con la scandalosissima proiezione di Lies alla Mostra di Venezia del 1999 ha aperto le porte sulla Corea, prima che diventasse popolare”.
Tra sale e piattaforme Ma se da Bong Joon-ho in avanti tutto il mondo ha improvvisamente scoperto la Corea (e Gianni Morandi), è altrettanto vero che il box office nazionale, dopo il Covid, non si è ripreso. Tanto che la catena di sale CJ CGV ha riconvertito alcune sale in palestre e campi da golf, come riportano in apertura del catalogo Baracetti e il coordinatore di FEFF Thomas Bertacche.
Invece in Giappone e a Taiwan, dove le sale non hanno mai chiuso, gli incassi vanno a gonfie vele. Intanto nel 2016 Netflix, che non ha accesso al territorio cinese, era sbarcato a Taipei per esplorare il potenziale narrativo dell’isola.
Chuang ha subito fatto dei pitch e sviluppato progetti con i loro referenti, convincendoli a investire in More Than Blue, la serie teen in 10 episodi tratta dal film omonimo (prodotto dalla Good Films Workshop con MM2 Entertainment Taiwan, a sua volta remake di un film sudcoreano): 240 milioni di dollari taiwanesi (7,9 USD) al box office. “Sono buoni investitori, ti ascoltano e non vogliono avere il controllo su tutto, non interferiscono. Sei tu a doverli convincere, motivando le tue scelte”, dice Chuang. Attualmente, sempre prodotta da Good Films con MM2 Entertainment per Netflix, è in fase di post produzione la serie fantascientifica in 8 episodi Agents From Above. Protagonista, il cantante e attore classe 1991 Kai Ko, nel ruolo di un ex tossicodipendente agli ordini di una divinità cinese. Ambientata in un universo di dèi, mostri, umani e fantasmi. “Sarà una serie piena di VFX, interamente realizzati da professionisti di Taiwan”, dice entusiasta Chuang, “e riguarderà una divinità femminile della tradizione Tao, non buddhista, senza tradirne lo spirito originario”.
Suggeriamo a Chuang, invitata dal FEFF per la terza volta (con Take Me to the Moon, nel 2018 e More Than Blue l’anno dopo), di portarla in anteprima nel 2024, come evento o proiezione di mezzanotte.
“Perché no? Ho visto quanta energia mette Sabrina nel presentare i film al pubblico. Udine è un festival più simile a Busan. Si può parlare dei film, diversamente da Cannes o Toronto, dove si corre sempre come pazzi tra
mille appuntamenti”.
Nuovo Cinema Taiwan: soft power e cavalli d’oro
L’isola un tempo battezzata dagli esploratori portoghesi Formosa (ilha formosa, cioè bella, lussureggiante) quest’anno al Far East era presente con 6 film, contro i 4 della Cina. Il rapporto, per numero di abitanti, è di 23 milioni contro 1,4 miliardi. La lingua ufficiale è la stessa, il mandarino. La forma di governo, come si sa, molto differente: Taiwan non è mai stata governata dal Partito Comunista, ma Xi Jinping ha annunciato entro il 2047 la
“riunificazione” con l’isola, che considera una “provincia ribelle”. Gli osservatori dell’area, come Lucrezia Goldin del collettivo giornalistico china-files.com e Eugenio Cau di Globo, podcast di “Il Post”, sostengono che sia
Pechino che Taipei abbiano tutto l’interesse a mantenere lo status quo, per chiari motivi commerciali.
Lasciatasi alle spalle la legge marziale, in vigore dal 1949, Taiwan dal 1987 ha intrapreso un rapido processo di democratizzazione e oggi desidera intensamente raccontarsi al mondo, costruirsi un’identità plurale, attraverso
immagini libere. E se nei giorni del festival l’attenzione dei media era puntata sulle manovre di pressione di Pechino nel noto stretto di mare, al Teatro Nuovo l’onore dell’inaugurazione andava a Bad Education, esordio alla regia del già citato Kai Ko: 77 minuti di cattiveria acida, dentro la notte brava di tre neolaureati finiti nelle mani di un boss della malavita. Accanto al genere più spinto, o al sentimentale esistenzialista di Day Off di Fu Tien-yu (una giornata libera nella vita di un’anziana parrucchiera vecchio stile), c’è anche un tentativo di riportare la storia passata nel dibattito pubblico, come fece nell’89 Hou Hsiao-hsien con Città dolente, Leone d’oro a Venezia.
È il caso di Untold: Herstory di Zero Chou, melodramma ambientato durante la guerra di
Corea e sotto il “Terrore bianco”, quando i dissidenti venivano confinati dal governo nella colonia penale dell’isola di Green Island. L’attualità dell’immigrazione clandestina in arrivo dai Paesi limitrofi entra invece in
chiave noir nel poliziesco-esistenziale The Abandoned, notevole esordio di Tseng Ying-ting; Marry My Dead Body di Cheng Wei-hao gioca col fantasma di un ragazzo gay e con la tradizione che lo vede legato da vincolo
matrimoniale a un poliziotto omofobo (Taiwan è l’unico Paese asiatico ad aver legalizzato le unioni tra persone omosessuali). Ma il primato assoluto dell’eccezione culturale va a Laha Mebow, prima cineasta di origini aborigene premiata per la miglior regia ai Golden Horses, i riconoscimenti più prestigiosi dell’industria nazionale. Mebow ha già ritratto nei suoi lavori precedenti la minoranza di lingua atayal, che sull’isola è oggi rappresentata da poco più del 2% della popolazione, a sua volta suddiviso in 16 distinte comunità. In Gaga,
termine che indica lo spirito ancestrale, la legge degli avi, racconta la crisi economica e valoriale di una famiglia impegnata in una campagna elettorale. Girato nel nord est dell’isola, ricorda come prima che si insediasse il governo nazionale, per gli antenati i confini tra le terre coltivate fossero solo verbali, non scritti.
Nel cast di quasi tutti non professionisti, con la stessa fierezza della Lena Owen di Once Were Warriors, brilla l’esordiente Kagaw Piling, che per venire a Udine ha preso il suo primo aereo, a 76 anni.
Il cinema a Taiwan: Fondi e creatività
Oltre alla volontà di costruire un immaginario plurale, che rispecchi le differenze e la distingua dagli altri territori sotto il diretto controllo della Cina continentale (o “mainland China”), il deciso impulso produttivo di Taiwan
dipende principalmente da un cospicuo investimento: il fondo di coproduzione governativo TAICCA (Taiwan Creative Content Agency). Agenzia aperta nel 2019 dal Ministero della Cultura, la cui missione è appunto
l’internazionalizzazione della filiera audiovisiva. TAICCA è partner – insieme a Fondo Audiovisivo FVG (Friuli Venezia Giulia), EAVE (European Audiovisual Entrepreneurs), ICE (Agenzia per la promozione all’estero e
l’internazionalizzazione delle imprese italiane) – di Ties That Bind, il workshop di coproduzione tra Asia e Europa che si tiene da 14 anni in parallelo al festival.
Con circa 300 schermi nell’isola e una media di 110 film prodotti all’anno, per un budget medio di 1/1,5 milioni di dollari statunitensi, Taiwan si profila come una realtà sempre più interessante con cui produrre. I numeri sono forniti da Stefano Centini, produttore italiano con base a Taipei dal 2018, dove ha fondato la sua compagnia Volos (A Holy family, Tomorrow Is a Long Time). “Quello governativo di Taiwan è il fondo di investimento principale, creato per favorire le collaborazioni internazionali, cioè per far lavorare personalità taiwanesi su progetti internazionali, oppure realizzare coproduzioni partite da Taiwan e che poi coinvolgono Italia, Francia, altri Paesi. Il governo ha istituito anche una specie di cash rebate (meccanismo di rimborso del 30% delle spese) per le produzioni internazionali.
Stefano Centini, la scoperta di Taiwan
Diplomato al Centro Sperimentale di Milano, appassionato di lingua e cultura cinese, grazie a due borse di studio, all’Inalco di Parigi e alla National Taiwan University of Arts (“che è un po’ il Centro Sperimentale taiwanese, dove si sono formati Hou Hsiao-hsien e Ang Lee”), Centini si è specializzato proprio nelle coproduzioni internazionali. Il suo ultimo film, In My Mother’s Skin del filippino Kenneth Dagatan, presentato a gennaio al Sundance e venduto ad Amazon, è stato coprodotto tra Filippine, Taiwan e Singapore, quasi interamente con fondi governativi. “È una nuova strada che sta prendendo la coproduzione in Asia: prima eravamo più dipendenti da fondi pubblici che però si trovavano in Europa, come il francese CNC, invece ora riusciamo a lavorare anche solo con Paesi asiatici.
Prossima fermata: Itaiwan
Coordinatore del programma Ties That Bind, a cui ha partecipato per la prima volta nel 2015, Centini nei giorni scorsi ha presentato la prima coproduzione italo taiwanese Whishing on A Star, storia di una cartomante che per predire il futuro si affida anche alle stelle, ambientata anche a Taiwan, come simbolo di rinascita. Prodotto da una compagnia locale, Videomante, con la sua compagnia di Taiwan, Volos Film, è un progetto nato da Erica Barbiani, scrittrice e produttrice friulana e premiato dalla piattaforma creativa WEMW (When East Meets West) a Trieste.
“Con la Regione Friuli Venezia Giulia ho stretto negli anni un buon rapporto. Quando i produttori taiwanesi mi hanno contattato per girare in un Paese europeo, non meglio definito, attraverso la
compagnia che ho creato in Italia li ho invitati a girare a Gorizia”. Dove proprio in questi giorni infatti si gira la serie Imperfect Us: viva l’Itaiwan.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma