Con gli sceneggiatori e gli attori di Hollywood in “doppio sciopero” per la prima volta dal 1960, Wall Street e altri analisti hanno iniziato a valutare le conseguenze sui grandi conglomerati dell’intrattenimento. L’esperto e analista Neil Begley ha fatto un po’ di calcoli, affermando che “la posta in gioco è più alta di quanto non sia stata da molti anni”. Nel suo rapporto pubblicato il 17 luglio, Begley ha stimato anche il costo potenziale dei nuovi contratti per gli Studios.
Il 13 luglio il consiglio nazionale della SAG-AFTRA, il sindacato degli attori, ha ufficialmente indetto uno sciopero contro le principali compagnie cinematografiche e televisive, dopo che le trattative contrattuali con gli Studios e le piattaforme streaming si sono interrotte senza arrivare a un accordo.
L’astensione dal lavoro riguarda 160mila iscritti al sindacato, che ha anche reso note le regole dell’agitazione, disciplinando i lavori che i suoi membri possono e non possono svolgere, vietando loro tutti gli incarichi principali davanti alla macchina da presa – tra cui la recitazione, il canto, la danza e gli stunt – e quelli a telecamere spente, come il doppiaggio e la narrazione.
Inoltre, è vietata qualsiasi attività promozionale, come interviste, cerimonie di premiazione, red carpet e podcast, tra le altre cose. E Wall Street ha iniziato a prevedere i possibili vincitori e vinti, nonché i punti maggiormente dolenti.
“Stime ottimistiche” sullo sciopero degli attori
L’analista del debito di Moody’s, Neil Begley, ha scritto in un rapporto del 17 luglio: “Crediamo che questo stallo potrebbe essere relativamente lungo, con una posta in gioco più alta di quanto non sia stata da molti anni” e ha stimato il costo potenziale dei nuovi contratti.
“Dato che le parti rimangono ancora molto distanti, stimiamo che un accordo che aumenti i compensi nell’ambito dei nuovi contratti collettivi costerà alle società con rating Moody’s dai 450 ai 600 milioni di dollari in più all’anno”, afferma l’analista. Questo “per ogni anno di un nuovo contratto triennale per tutti e tre i sindacati (DGA, WGA e SAG-AFTRA)”, continua nel rapporto. E aggiunge: “Queste stime sono molto ottimistiche e una parte di questo aumento dei costi, in particolare per le produzioni televisive, sarà probabilmente trasferita agli acquirenti”.
“Crescenti costi per i consumatori”
Il rapporto suggerisce che un maggior numero di creativi in sciopero, cioè sia sceneggiatori che attori, mette in difficoltà le società di intrattenimento. “La maggiore leva esercitata da due sindacati che lottano per nuovi accordi si tradurrà in costi più elevati per gli Studios”, ha scritto l’analista di Moody’s. E continua: “Le produzioni negli Stati Uniti si sono fermate, in un momento in cui il settore è sotto pressione per mitigare il declino secolare della tv tradizionale e dimostrare di poter gestire le piattaforme di streaming con profitto per attenuare il decadimento lineare”.
“In un periodo di sciopero prolungato, in cui i nuovi prodotti cinematografici hollywoodiani sono più scarsi o si esauriscono – aggiunge Begley – queste società potrebbero subire pressioni sugli utili, sul flusso di cassa e sulla liquidità”. E conclude: “Dopo gli esercenti, anche le reti televisive e via cavo sono esposte, dato che si trovano già in una fase di declino secolare, con costi crescenti per i consumatori e una proposta di valore sempre più ridotta rispetto ai servizi di streaming video-on-demand diretti al consumatore, come Netflix”.
“Dovranno trovare un compromesso”
Nel frattempo, l’analista di Macquarie Tim Nollen ha riassunto in questo modo, nel titolo di un report, l’attuale ondata di sfide del settore: “Sciopero! e un upfront al ribasso: non è una buona cosa per i media”.
L’esperto si è anche soffermato sul possibile impatto per le piattaforme streaming. “La tempistica influirà su molte delle serie sceneggiate in programma per la prossima stagione televisiva, il che potrebbe ironicamente spingere un numero ancora maggiore di spettatori verso i servizi di streaming, dove i tempi di realizzazione possono essere di uno o due anni per le serie episodiche e quindi non subiranno gli effetti fino all’anno prossimo”, ha affermato. “E oltre alla debolezza del mercato pubblicitario televisivo – continua Nollen – i gruppi di media network si trovano ad affrontare una brutta combinazione di tendenze negative sia negli abbonamenti tradizionali che nella pubblicità, costi di lavoro più elevati nella produzione tradizionale e in quella in streaming, e probabilmente cattive pubbliche relazioni”.
“Probabilmente l’impatto maggiore si avrà in primo luogo tra gli show televisivi”, ha dichiarato a THR Paolo Pescatore, fondatore e analista di PP Foresight. “Chiaramente, avrà un effetto profondo in generale sulle industrie creative basate sui contenuti”, ha suggerito a proposito del doppio sciopero di attori e sceneggiatori.
“Con il sostegno delle star di Hollywood, tutte le principali parti interessate dovranno sedersi al tavolo e trovare un compromesso ragionevole”. Questo – sostiene Pescatore – mette anche gli sceneggiatori in “una posizione più forte”. E conclude: “In definitiva, i vincitori e i vinti dipenderanno dall’esito finale e dalla durata dello sciopero. Per ora, i maggiori perdenti saranno gli spettatori”.
La pressione di Wall Street sullo streaming
“Con lo sciopero della Screen Actors Guild e della Writers Guild of America, la produzione cinematografica e televisiva si è fermata”, ha aggiunto Jamie Lumley, analista di Third Bridge. “Questo avviene tra le crescenti pressioni sui tradizionali modelli di distribuzione lineare e l’ascesa ininterrotta dello streaming, che continua a cambiare il modo in cui i contenuti vengono consumati e monetizzati”, afferma.
L’esperto ha poi sottolineato che la pressione è avvertita da tutti gli operatori del settore. “Le società di streaming hanno sentito la pressione di Wall Street che li spingeva verso la redditività – osserva Lumley – questo ha messo in difficoltà diversi operatori che si trovano a dover soppesare i costi dei contenuti, le decisioni strategiche e la crescita del proprio pubblico”. E continua: “Con attori e sceneggiatori che vedono i contratti e le royalties fortemente influenzati dallo streaming, la posta in gioco è alta per tutti al tavolo delle trattative”.
Lo sciopero degli attori mostrerà i primi effetti nel 2024
Lumley ha anche accennato all’impatto sulla fornitura di programmi per i principali operatori del settore. “Abbiamo sentito dire che la maggior parte delle società di streaming non subirà gli effetti degli scioperi fino al 2024, dato il flusso di contenuti già pronti”, ha scritto. “Tuttavia, le piattaforme potrebbero trovarsi in difficoltà non appena la velocità dei contenuti rallenterà. I nostri esperti sottolineano che il contenuto è ancora il re e se le piattaforme vogliono che gli abbonati continuino a tornare, devono avere un flusso costante di nuovi film e serie in uscita”, sottolinea l’analisi di Third Bridge.
In una nota inviata venerdì agli investitori e titolata “Stand and Deliver”, l’analista di Wells Fargo Steven Cahall è intervenuto sullo sciopero e sull’offerta di contenuti. “Le reti avevano già presentato agli upfront una programmazione autunnale ricca di contenuti non sceneggiati”, afferma. “Sebbene le reti e le piattaforme streaming abbiano una scorta di contenuti – conclude Cahall – uno sciopero prolungato potrebbe creare buchi nel calendario delle uscite cinematografiche e televisive alla fine del prossimo anno”.
Traduzione di Nadia Cazzaniga
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