Dall’epoca del muto, un secolo di film ci ha raccontato come amare, come morire, come vestirsi, come comportarsi. Ma le cose sono cambiate molto da allora, il che solleva una domanda: I film sono ancora così importanti per le nostre vite? Sono ancora al centro della nostra vita culturale? Hanno ancora importanza? Al di là delle difficoltà economiche di Hollywood, una delle maggiori minacce alla sua egemonia è rappresentata dai social media – TikTok, Facebook, Instagram e X con i quali ha sempre avuto un rapporto scomodo, alternativamente vittima o padrone.
A causa dell’attrazione gravitazionale dei social media, oltre che alla pandemia e ai due scioperi, gli Studios di Hollywood e le sale cinematografiche hanno vissuto un periodo disastroso, e anche le piattaforme, dopo aver goduto di una luna di miele lunga diversi decenni (la cosiddetta era della “peak tv”), hanno iniziato a vacillare. Una fitta nebbia di tristezza si è posata sull’industria.
I social media, ovviamente, possono essere sia un aiuto che un ostacolo. Nel caso di Game of Thrones, il loro ruggito è stato così forte – nell’analizzare, riassumere e speculare sull’esito della stagione finale – che l’ultimo episodio ha registrato 19,3 milioni di spettatori. L’impatto della serie è stato amplificato a tal punto che, quando ha raggiunto la sua ultima stagione, ha creato una conversazione nazionale che ha soppiantato le vecchie chiacchiere da salotto di un tempo.
Come dice l’amministratore delegato della Hbo Casey Bloys, “c’è un intero ecosistema di persone che scrivono di televisione, che vogliono parlarne, che vanno sui social media e la criticano o la elogiano. L’effetto di tutto questo insieme è quello di mantenere lo show nello zeitgeist”.
Un buon esempio è Tutti tranne te della Sony, un fallimento secondo la critica ma un successo a sorpresa su TikTok, dove gli utenti hanno ricostruito la sequenza del titolo e poi sono accorsi a vederlo nei cinema, smentendo il luogo comune secondo il quale le commedie romantiche sono tossiche per il botteghino.
I social media, tuttavia, non sono altro che volubili, e anche Game of Thrones ne ha risentito quando si è rivoltato contro la serie e ha fatto saltare l’ultima stagione. Nel caso di Westworld della Hbo, invece, il bacio dei social media si è rivelato fatale. L’amore ha ucciso. I fan avevano così tanto potere che hanno inavvertitamente rovinato la serie anticipando i colpi di scena in modo così accurato che Lisa Joy e Jonathan Nolan, nel tentativo di essere all’avanguardia, sono stati costretti a complicarli a tal punto che nessuno ha potuto seguirli e la serie è stata cancellata. I social media sono diventati una specie di Frankenstein, un nemico, non un amico.
Peggio ancora, con l’evoluzione dei social media (e l’evoluzione dell’ambiente politico), sono diventati soprattutto una piattaforma per regolare i conti, dove gli utenti più arrabbiati, stridenti ed esagerati ottengono il maggior riscontro. È vero che il “prodotto” hollywoodiano può essere infarcito di messaggi sgradevoli, ma ha un grande vantaggio. Per dirla in modo ovvio, è divertente, emotivamente soddisfacente e, a volte, persino profondo: vantaggi che l’arte avrà sempre rispetto ai social media.
I social media possono essere in grado di creare conversazioni a livello nazionale, ma queste conversazioni devono riguardare qualcosa, e Hollywood, in senso lato, spesso fornisce quel qualcosa. Prendiamo ad esempio il fenomeno Barbenheimer, che l’estate scorsa è stato guidato dai social media: Barbie, sornione e femminista, e Oppenheimer, denso, discusso e impegnativo, sono diventati un improbabile tandem che ha risollevato, da solo (o a due mani), il botteghino, messo in ginocchio dallo streaming, dalla pandemia e dagli scioperi. Insieme hanno dimostrato che il pubblico può davvero pensare, oltre che inveire l’uno contro l’altro sui social media.
Oppenheimer ha lanciato una riflessione sulla ricerca scientifica in chiave di armamenti e sulla moralità di sganciare la bomba atomica (due volte), dato l’osceno numero di vittime e la corsa alle armi che ha scatenato. Ma ha anche sfidato i dogmi culturali, come solo i film possono fare, o fare più efficacemente di altre forme d’arte come la letteratura o la pittura.
Con le sue tre ore di durata, Oppenheimer si muove lentamente ma riesce a rompere le regole, soprattutto quelle che dettano come dovremmo o non dovremmo comportarci. In un’epoca di supereroi e di show confortanti (grazie, Ted Lasso), il J. Robert Oppenheimer di Cillian Murphy è un antieroe, una rarità come protagonista di un film Imax da 100 milioni di dollari. È pieno di difetti. Tradisce la moglie, non è particolarmente simpatico ed è distaccato e arrogante. Oppenheimer è la versione di Big Science degli antieroi degli anni Settanta: Mucchio Selvaggio, Bonnie e Clyde, Butch Cassidy e Sundance Kid.
Barbie, nel frattempo, è arrivata a Hollywood in una nuvola rosa, che ha un significato completamente diverso come altra metà di Barbenheimer, scritto da Greta Gerwig e Noah Baumbach, in cui, come dice Gloria (America Ferrera): “È letteralmente impossibile essere una donna magra, ma non troppo. Puoi essere un capo, ma non puoi essere cattiva. Devi non invecchiare mai, non essere mai scortese, non metterti in mostra, non essere mai egoista, non cadere mai, non fallire mai, non mostrare paura”.
Il discorso conclusivo su come le aspettative della società rendano “letteralmente impossibile essere una donna” ha avuto una risonanza particolarmente forte sui social media, diventando immediatamente iconico. Anche lei è un’antieroina, o almeno un’anti-Barbie per il solo fatto di essere umana, afflitta da problemi reali come i piedi piatti, la cellulite e la paura della morte.
Oggi, ci sono più film belli o eccezionali di quanti non ce ne sono mai stati, con l’unica differenza che non sono tutti nelle sale. Dimenticatevi di film troppo apprezzati come Priscilla e Il mondo dietro di te, così come di film come l’eccessivo Saltburn o di film strappalacrime come The Holdovers. Pensate a lungometraggi come Killers of the Flower Moon, Past Lives, Povere creature!, La zona di interesse, Foglie al vento, May December, Anatomia di una caduta, Promising Young Woman, solo per citarne alcuni, e a documentari come The Pigeon Tunnel di Errol Morris o Joan Baez: I Am a Noise, Beyond Utopia, Little Richard: I Am Everything e American Symphony.
Come Oppenheimer, come Barbie, questi film infrangono le regole e raramente hanno un lieto fine. Eppure, sono importanti – molto, in un modo in cui la stampa e i social media non lo sono e non possono esserlo. Quindi, per tornare alla domanda con cui abbiamo iniziato: “Hollywood è ancora importante?”. La risposta è un sonoro “Sì!”.
Peter Biskind è autore di Easy Riders, Raging Bulls: How the Sex-Drugs-and-Rock ‘N Roll Generation Saved Hollywood e di molti altri libri. Il suo ultimo libro è Pandora’s Box: How Guts, Guile, and Greed Upended TV.
Traduzione di Pietro Cecioni
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma