Perché un personaggio italiano, italianissimo come Enzo Ferrari viene interpretato al cinema da un attore americano? Non può farlo un attore italiano? È la polemica che ha infiammato la Mostra del cinema di Venezia. La miccia è stata innescata dalle frasi dell’attore Pierfrancesco Favino, che ha affermato che se l’appropriazione culturale è diventata un problema per Hollywood, indipendentemente dal fatto che si sia d’accordo o meno, “è assurdo che Enzo Ferrari sia fatto da un attore non italiano. Se un cubano deve essere fatto da un cubano, se un francese deve essere interpretato da un francese, perché questa griglia di regole così rigida non vale per noi?”. Ora il coproduttore di Ferrari, Andrea Iervolino, spiega perché non è assurdo. E solleva questioni che riguardano tutto il sistema cinema italiano.
Presentato in concorso a Venezia, diretto dal regista di Heat e di Collateral Michael Mann, girato in gran parte in Italia, nelle sale italiane dal 30 novembre e in quelle americane a Natale, Ferrari racconta il costruttore della casa di automobili da corsa più celebri al mondo, l’italiano Enzo Ferrari, affidandone l’interpretazione ad Adam Driver. Quarant’anni, ex marine, due volte candidato all’Oscar come migliore attore – BlacKkKlansman, Storia di un matrimonio – e vincitore della Coppa Volpi a Venezia per Hungry Hearts, Adam Driver ha solo un “difetto”: è americano.
Tante le reazioni raccolte dal The Hollywood Reporter Roma anche fra registi, attori, produttori del cinema italiano. Lo sostiene il regista Giovanni Veronesi, che ha diretto anche film con Harvey Keitel e David Bowie (Il mio West) e con Robert De Niro (Manuale d’amore 3). “In un biopic, come quello su Ferrari, mi sembrerebbe normale rispettare la provenienza del personaggio narrato, la sua identità. Soprattutto da parte degli americani, che sono così rigidi, scrupolosi e non permettono a un attore di New York di interpretare uno del Sud degli Stati Uniti. Ma credo che Ferrari sia fatto per un mercato globale, per essere venduto in tutto il mondo, bypassando totalmente gli italiani”. Carlo Degli Esposti, produttore di alcune delle serie televisive di maggior successo della tv italiana, come Montalbano e I delitti del BarLume, dice: “Un produttore fa quello che crede, con i suoi capitali. Siamo noi italiani che dovremmo difendere l’identità nazionale con delle norme precise: per esempio ci dovrebbe essere una regola per cui, se giri in Italia su un personaggio italiano, sei agevolato nel prendere un attore italiano”.
Il parere di attori, registi e produttori
Massimo Ghini, infine, ha lavorato molto, come attore, nel cinema internazionale: “Quello che dice Favino, come regola generale, è giusta. Ma il problema è il mercato: ha ragione chi mette i soldi, e tutto in definitiva è un problema di soldi. Così, accetti che la famiglia Gucci in The House of Gucci parli un italiano improbabile. Quello che dovremmo fare in Italia è tornare a fare film che possano uscire dai confini. Perché fanno la statua a Bud Spencer in Ungheria? Perché quei film arrivavano in tutti i mercati del mondo. Dobbiamo tornare a fare film di genere, dobbiamo tornare a uscire dai nostri confini. Altrimenti anche Michelangelo, Leonardo e Giorgio Armani saranno interpretati da attori americani”.
A dirci le vere ragioni di questa scelta, comunque, è uno dei diretti responsabili, Andrea Iervolino. Trentacinque anni, nato povero, con problemi di timidezza, il bullismo subito a scuola, Andrea Iervolino ha saputo imporsi in pochissimi anni nel mondo della produzione. Ha realizzato un numero enorme di coproduzioni internazionali. E molti di quei film raccontano personaggi italiani: come The Music of Silence su Andrea Bocelli e Lamborghini – The Man Behind the Legend. Sta preparando un film sul pittore livornese Amedeo Modigliani che sarà diretto da Johnny Depp.
Andrea, ma che cosa ha Pierfrancesco Favino meno di Adam Driver?
Nulla. Assolutamente nulla. Favino è un attore straordinario, uno dei migliori della sua generazione. Ma non è riconosciuto dal pubblico mondiale.
Ma perché un personaggio tanto essenzialmente italiano viene affidato a un attore straniero?
È molto semplice. Non entro nelle scelte artistiche: parlo di numeri. Il problema che abbiamo in Italia è che non esistono attori che possano sostenere sulle loro spalle un film che costa 100 milioni di dollari, come Ferrari. Anche se ci metti l’attore italiano più famoso, non avrà mai un mercato abbastanza grande per sostenere le spese del film.
E quando potrà accadere?
L’unico modo è creare uno star system italiano: un insieme di attori italiani riconoscibili in tutto il mondo. Noi abbiamo attori fantastici, grandi talenti, ma non abbiamo talenti riconosciuti a livello internazionale, per poter vendere il prodotto in 150 paesi, in tutto il mondo.
L’identità culturale, nazionale del personaggio conta poco, insomma
Quando fai un film che costa 100 milioni, devi recuperare le spese da tutti i mercati mondiali. Per esempio, il 20 per cento dagli Stati Uniti, il 20 per cento dalla Cina… Sai quanto vale il mercato italiano?
Circa il 3 per cento?
Esatto. È chiaro, no, che un attore conosciuto solo in Italia non può bastare?.
E come crei uno star system per gli attori italiani?
Dobbiamo fare crescere attori italiani in film internazionali. Metterne uno, al fianco di un cast internazionale, di attori conosciuti in tutto il mondo. È l’unico modo. Inserirli, in un certo senso, in una scuderia. Soltanto così dai loro la possibilità di avere successo nel mondo. Per esempio, sto producendo un film su Modigliani, con Johnny Depp regista, e con Al Pacino nel cast. Modigliani sarà interpretato da Riccardo Scamarcio. Che così potrà crescere internazionalmente, e poi potrà sostenere un film internazionale da solo.
C’è stato un momento, però, in cui il cinema italiano si è saputo imporre nel mondo, raccontando storie italiane, con attori italiani.
Ma anche nel periodo d’oro del cinema italiano, tutti i più grandi successi hanno avuto attori internazionali. Il Gattopardo di Visconti aveva Burt Lancaster e Alain Delon, La strada di Fellini aveva Anthony Quinn, persino nel Mussolini di Carlo Lizzani il dittatore era interpretato da Rod Steiger. E Il postino era, sì, interpretato da Massimo Troisi, ma aveva un regista britannico, Michael Radford, e un attore francese, Philippe Noiret. C’è solo un caso, negli ultimi anni, di un film tutto italiano che è arrivato all’Oscar. Ma quanti La grande bellezza ci sono stati? Solo uno. Si tratta di casi, non di business. Il cinema italiano è stato grande, anche grazie alle coproduzioni e agli attori internazionali. Perché negli ultimi trent’anni ci siamo addormentati?
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