Il debutto “in società” è arrivato nel 2022, dall’ingresso discreto del bel cinema d’autore, con la sofferta storia di formazione – umana e pugilistica – di Ghiaccio, teso esordio di Fabrizio Moro e Alessio De Leonardis. Poi, nel corso dello stesso anno, un’altra prima volta: quella alla Mostra di Venezia, con l’accurato documentario di Anselma Dell’Olio su Franco Zeffirelli, Il conformista ribelle. Fondata nel 2019, la società La Casa Rossa sta guadagnando spazio nel panorama delle produzioni indipendenti, diversificando i progetti: il nuovo docufilm di Dell’Olio, L’enigma Rol, sulla vita del misterioso sensitivo di Federico Fellini, la web serie Digital Pink Life di Giacomo Spaconi (per Witty tv di Maria De Filippi), lo sviluppo e la produzione di format per l’intrattenimento televisivo. A fondarla, e dirigerla, è la fiorentina Francesca Verdini, 30 anni, una delle più giovani produttrici d’Italia. Sono tre le caratteristiche che rendono originale la sua avventura produttiva: l’attenzione agli autori, cui la casa di produzione riserva un intero reparto dedicato allo sviluppo delle sceneggiature; la sensibilità per l’ambiente e la riduzione dell’impatto inquinante, con l’invenzione del protocollo green certificato Ecoset. E infine la collocazione esplicita in un’area politicamente estranea alla tradizione del cinema italiano.
Come è nata la sua avventura da produttrice?
Sono sempre stata attratta dal cinema. Da Firenze mi sono trasferita a Roma per studiare economia e nel frattempo scrivevo qualcosa per la rivista Ciak. Non era nemmeno un lavoro. Ma mi ha dato modo di conoscere il mondo del cinema “vero”. Finita la triennale ho incontrato Marco Belardi, che mi ha proposto di entrare in Lotus Production come assistente. Era il 2016.
Quando ha fondato la sua casa di produzione?
In Lotus ho provato un po’ tutto: ho sbirciato in ogni reparto, ho seguito lo sviluppo delle sceneggiature, ho provato un set (Vivere, di Francesca Archibugi, ndr). A un certo punto ho preso coraggio e mi sono buttata. Ho fatto una serie di incontri, e dopo tre mesi sono andata da un notaio e ho aperto La Casa Rossa (è il colore della casa di famiglia in campagna, ndr). Ci ho messo tutti i miei risparmi, ho svuotato il conto in banca. All’inizio ho replicato gli schemi imparati in Lotus. Poi ho cercato di immaginare un modello aziendale diverso.
In che senso?
Ho puntato sullo sviluppo. Non potendo accedere fin da subito a grandi registi, ho fondato un reparto che seguisse le sceneggiature. Abbiamo iniziato con piccole collaborazioni per Sky, poi un giorno ci è arrivato il bellissimo copione di Ghiaccio. Poetico, magnifico. Ho detto: lanciamoci. Per fortuna ci è andata bene, cosa che ci ha permesso di contare su una certa fiducia per fare Il conformista ribelle.
Ha cercato lei Dell’Olio, o il contrario?
La conosco da quando sono nata. Anselma era una delle persone con cui mi sono confrontata all’inizio: non conoscevo molta gente nel cinema. Con lei abbiamo appena finito le riprese de L’enigma Rol, siamo in montaggio. I tempi per Venezia sono stretti, peccato.
Ha altri film in sviluppo?
Abbiamo opzionato il secondo film di Moro e De Leonardis, che ha lavorato anche con Anselma a Rol. Una storia molto forte. Non posso ancora parlarne, gireremo a ottobre. Entro luglio dovremmo aver definito il cast.
Ha fatto fatica a imporsi, così giovane, in un mondo anagraficamente “maturo”?
Ho iniziato a 26 anni e, anche se ho un carattere forte, c’è voluto un po’ di tempo prima di essere presa seriamente in considerazione. All’inizio mi dispiaceva. Adesso mi rendo conto che la solidità si guadagna con l’esperienza. Ci vogliono le spalle larghe. Mi sono sentita accolta, temevo di no. Come tutti, ci si scontra con alcune difficoltà. Ognuno ha le sue.
Per esempio: suo padre è Denis Verdini, uno dei fondatori di Forza Italia. Il suo compagno è il leader della Lega Matteo Salvini. Quei nomi saltano fuori, prima o poi.
Più prima che poi, le assicuro. L’anno che mi sono messa con Matteo è lo stesso in cui ho aperto la mia società. Quindi diciamo che quel piccolo nucleo di persone del cinema che avevo conosciuto nel corso del tempo lo sapeva già, ed è ok. E poi sono figlia di mio padre, non è che posso nasconderlo. Loro conoscevano la mia parte politica. Ma il cinema, in sé, appartiene a un’altra ala.
Cioè quella a sinistra della sua. Reazioni?
Qualche battuta, mai inimicizia. Con Matteo invece ho sentito una grande ostilità. Sono successe cose forti.
Quali?
Non voglio fare nomi. Però tre anni fa, alla Mostra di Venezia, ci hanno mandati via da una serata in cui avrei dovuto incontrare il co-produttore del mio film (Ghiaccio, ndr). Lo hanno fatto perché non volevano Matteo. Ma i nostri nomi erano su quella lista da tempo. E a reagire così erano le stesse persone con cui avevo lavorato fino all’anno prima, anzi fino a qualche mese prima. Mi è venuta una gran tristezza. Un’altra volta, quando con la mia società lavoravo ai contenuti digital per Alice nella Città (la sezione parallela della Festa del Cinema di Roma, ndr), l’addetta stampa vide Matteo, che era passato a salutarmi, e minacciò di licenziarsi. Si infuriò, lanciò le sue cose davanti a me e a tutto il suo staff, disse: ‘Se c’è questa persona, io non lavoro più’. Alice nella Città mi difese. Ma resta l’umiliazione.
E come reagisce?
L’unica cosa che mi infastidisce davvero è che per qualche motivo la gente pensi che sia lecito mancarmi di rispetto. E che sia altrettanto lecito che io lo accetti. Nessuno dice che non si possano avere opinioni diverse, ma il fatto che qualcuno ti urli addosso davanti a venti persone, e che nessuno si scandalizzi, mi ferisce. Io rispetto tutti, di qualsiasi parte politica siano. Perché non dovrebbe valere anche per me?
I preconcetti riguardano anche gli artisti?
Guardi, io il pregiudizio da parte delle persone con cui ho lavorato non l’ho mai sentito. Vinicio Marchioni (protagonista di Ghiaccio, ndr) è una persona meravigliosa, come professionista e come uomo. Forse l’unica cosa positiva della mia situazione, con il governo che abbiamo adesso, è che sarà evidente che non ho alcun vantaggio.
Cosa intende?
Pensi che per Ghiaccio, proprio per evitare problematiche, non abbiamo fatto neanche richiesta al Ministero per i fondi selettivi, che sarebbero stati discrezionali. In questi quattro anni ho imparato quanto la politica sia presente nel cinema. Ma se dovessi dire che ci ho capito qualcosa, mentirei.
I suoi la sostengono?
Certamente. I miei genitori mi hanno sempre spinta alla ricerca della felicità. Mio padre è più un “praticone”. Ogni tanto mi fa: ‘Ma quando guadagnerai qualcosa?’.
Il grande dibattito sul futuro del cinema: la sala soccomberà alle piattaforme?
Io sono ottimista. Il linguaggio è cambiato. E le piattaforme, nelle quali includo anche TikTok e Instagram, sono grandi contenitori che offrono intrattenimento. Ma non credo che potranno sostituire mai il cinema. Molto dipenderà, credo, da quanto le sale sapranno rispondere alle nuove esigenze del pubblico. Devono migliorarsi e offrire un’esperienza. Vedo anche modelli virtuosi, come il cinema Troisi di Roma.
Intelligenze artificiali: si o no?
Si tratta chiaramente di uno strumento che accelera determinati processi, ma non credo che possa sostituire le persone in ambito creativo. Se dovesse rivelarsi uno strumento utile, bene. Ma se il rischio è quello di rovinare una categoria di professionisti, no.
Quali storie le interessano come produttrice?
Amo gli autori italiani e sono cresciuta con i film di Mario Monicelli. La commedia amara è forse quella che preferisco. Ma apprezzo anche, da produttrice e spettatrice, le storie vere. L’autore con cui vorrei lavorare? Sono due: Paolo Virzì e Gabriele Mainetti.
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