Sto seguendo con interesse il vostro dibattito inerente al futuro delle sale. E vorrei provare a portare la mia esperienza. Non (solo) di regista, produttore e attore, ma anche e soprattutto di spettatore. Mi ritengo uno “spettatore professionista”: ho la fortuna di poter vedere almeno un film al giorno, al cinema (in quelle che chiamo le mie giornate-festival arrivo anche a tre visioni), e di farlo con una onnivora e mai pregiudiziale voglia di scoprire generi, cineasti, cinematografie. Come ho sempre fatto, da quando sono un piccolo nerd che organizzava cineforum a Livorno.
Quando sento parlare male della sala, dei cinema, è come se sentissi parlare male di un mio caro amico. Mi si stringe il cuore, e ci sto male.
Ci sto male perché sono troppo grato al cinema.
Io alla sala cinematografica devo tutto la mia sensibilità, la maggior parte di quello che ho imparato, e anche la parte più pura della mia fantasia.
Quando un cinema chiude, io sto male. Sto molto male.
Cercherò di articolare un discorso, spero di riuscirci.
Piccolo Flashback: sono in sala a presentare un mio film alle scuole, Ragazzaccio. Un allievo era entusiasta e mi chiede se può rivederlo al cinema, io rispondo ovviamente di sì. Mi chiede quanto costa un biglietto. Gli rispondo: “9 euro di media”. Lui mi dice: “E con 9 euro poi, quanti film vedo?”.
Io sto a Milano. Ieri sono andato a vedere Campioni all’Uci Bicocca alle 14,30 e Mad God al cinema Beltrade alle 22.10. Il primo mi è costato 11,90 euro. Il secondo 7,50. Sono entrambi prime visioni.
Undicieuroenovanta è un euro in meno di un mese di Netflix, per dire. Con altre piattaforme come Amazon Prime, si fa ancora prima, ma forse non contano i paragoni.
Forse qualcuno se n’è accorto, e quindi ecco che torna la Festa del Cinema col biglietto a 3,50 euro. Evviva. Evviva. Evviva.
Ecco, ma si potrebbe trovare una via di mezzo costante? Si potrebbe fare che di questi 12 euro di biglietto io ne metto 6, e il resto lo mette qualcuno che sia stato democraticamente votato e che abbia voglia di salvare politicamente la sala cinematografica?
Perché altrimenti è certo che con quella spesa rincorro l’evento: il film Marvel, o Zalone o Avatar 2: almeno ho qualcosa di cui parlare a scuola, al lavoro, a cena con gli amici. Immagina il contraccolpo psicologico che una spesa del genere ha, se rapportata a un prodotto di bassa qualità.
Mi metto nei panni di qualcuno che va con moglie e due figli. Tra parcheggio, pop corn, cocacola e biglietti, supero abbondantemente i 50 euro. E se poi il film non mi piace? A Roma (er cinema se fa a Roma, diciamocelo!) si sente dire sovente: “Ammazza quante sòle jabbiamo dato ar pubblico!”.
Negli anni pandemici in cui i cinema son stati chiusi, non sono mai stati prodotti così tanti film. C’è stato un momento in cui il film contava molto meno del tax credit: grazie al quale abbiamo visto tanti film belli, ambiziosi e sorprendenti. Ma anche tanti altri che sono già finiti nell’oblìo della famosa “uscita tecnica”.
Ovvio, l’esercizio costa, costa il personale e le bollette sono aumentate (luce, riscaldamento, aria condizionata non si regalano di certo), ci sono le tasse, l’Iva, la SIAE. Siamo in un clima dove hanno ragione tutti.
E proprio come quando hanno ragione tutti, eccoci catapultati in un mercato schizofrenico che si divide tra film che incassano 45 milioni di euro e altri 2000 a fine corsa; un mercato in cui distributori ed esercenti arrancano, si interrogano, cercano strategie.
Ti faccio il mio esempio: il 6 luglio esce un film che si intitola Rido perché ti amo di cui ho curato anche la regia. Di sicuro i giornalisti alla conferenza stampa chiederanno in quante copie usciremo. Ma una proiezione singola al’UCI di Marcianise alle 14 e 30 vale? Un’altra alle 18.30 al The Space di Rozzano vale? Quelle possono essere definite copie? Sicuramente fanno media, e condizionano non solo gli incassi ma anche la percezione del film.
Altra piccola riflessione: ma non è che ci saranno pochi film comici? Non parlo di commedie. E non parlo solo di cinepanettoni. Parlo di film comici. Parlo di quei casi in cui io sentivo alla cassa un signore col figlio per mano che chiede: “2 biglietti per quel film da ridere”. Io vedo tanti film bellissimi, impegnati, di grandi autori. Ma non mi faccio due risate grasse al cinema da un sacco di tempo. Ma non è che il pubblico, come si diceva una volta, “ha voglia di staccare la spina e farsi due risate?”. Quelli che se ne intendono dicono che i film comici non funzionano. E continueranno a dirlo finché un film comico non sbancherà il box office. Dopodiché chiederanno solo film comici.
Non mi voglio dimenticare però della chiusura del cinema Odeon, gravissima: lo sappiamo che è la punta dell’iceberg. Ma continuiamo a versare lacrime di coccodrillo dopo esserci mangiati i nostri stessi bambini. Lavoriamo in un settore che conta più di 200.000 persone impiegate, indotto compreso, e questo popolo quanti incassi produce? Intendo, quanti ne conosci che vanno al cinema di quelli che lo fanno?
Sull’Odeon poi c’è da fare un’altra considerazione. Non possiamo lasciare al mercato privato la responsabilità di luoghi come le sale cinematografiche che hanno una funzione sociale determinante. Il comune di Milano, così come lo Stato, non possono fare spallucce. I cinema, come i teatri (altrettanto gravissima la chiusura del Teatro Nuovo a poche centinaia di metri dall’Odeon), non sono pizzerie o kebabbari. Che l’Odeon chiuda è una vergogna per Milano: se si spengono le luci per cinema e teatri, si spegne la luce della conoscenza su una comunità. E in quel buio aumenta la delinquenza, il degrado, il dolore. E la rabbia. Non lasceremmo mai chiudere un museo, perché lasciamo chiudere i cinema? Al centro di Milano sono sparite quasi tutte le sale e le multisale, sostituite dai building delle multinazionali. Ancora rimpiango l’Apollo … Rimangono altre sale storiche: il Mexico, il Palestrina, il Cinemino, l’Arlecchino o il Beltrade sono le ultime monosala di Milano, perché ci sono dei veri e propri eroi che resistono, senza alcun aiuto. Quei cinema d’essai che vengono portati avanti da appassionati e che hanno un pubblico che li rappresenta.
Non hai idea, caro Boris, di quante volte il cinema mi ha salvato la vita, dalla solitudine e dal senso di vuoto: la valenza sociale del cinema, la cura che rappresenta per l’anima e anche quanto è vitale per il confronto tra persone che si riscoprono comunità: come facciamo a ignorarle? Ora che si è decentralizzato il luogo, molte classi, sociali e anagrafiche, non possono neanche arrivarci fisicamente. E in un cinema che non ha più mito, a causa di internet e dalla mancanza di distanza dai miti stessi, io mi chiedo ancora quanto abbiano incassato È stata la mano di Dio?, Sulla mia pelle o Roma che sono usciti quasi in concomitanza in sala e in piattaforma. Secondo me, tanto. Ma non si sa, perché sono film Netflix; che ha deciso di non partecipare alle rilevazioni di Cinetel. Ma non sarebbe fondamentale saperlo? Anche per capire come agire in futuro e armonizzare sala e piattaforma in un piano sensato che non vada a ledere il lavoro di nessuno? Altra domanda che mi faccio: quelli che legiferano, ci vanno al cinema? O sono come gli assessori al traffico senza patente?
Io spero che si possa cominciare politicamente a comprendere che il cinema è cultura, e la sparo grossa: secondo me la cultura dovrebbe entrare in minima parte anche nel ministero della salute. Perché un paese che non tiene a cuore la cultura, è un paese di imbecilli, e di persone che avranno sicuramente impoverimenti cognitivi e psicologici.
Il cinema non è solo un’arte, ma anche un posto.
Non dimentichiamocelo, in un mondo ormai abituato a ragionare senza uscire di casa e in verticale. Chiedete a chiunque di fare una foto: sicuramente terranno il cellulare in verticale. Ecco perché piano piano il cinema non sta diventando più un abitudine. Perché ci stiamo disabituando all’orizzontalità.
L’orizzontalità ti dà continuità, ti insegna il senso della narrazione: in orizzontale un pensiero ti parte dalle spalle e vola in avanti. Il verticale ti insegna solo a scrollare, a far sì che l’immagine ti caschi in testa e ti vada nei piedi.
E poi vogliamo che il cinema sia anche un evento? A Novembre volevo fare una grande anteprima del mio film Ragazzaccio, con 1500 studenti. Ma non ho trovato un cinema con questa capienza. Alla fine siamo andati al Teatro Brancaccio, abbiamo messo un grande schermo ed ecco il cinema che non c’è più.
Rido perché ti amo lo seguirò ovunque, durante tutta l’estate, ogni sera ci sarà uno spettacolo di 15 minuti prima del film, anche nelle arene.
Dobbiamo rendere unici i nostri film e ogni proiezione, hai perfettamente ragione. Ho seguito il mio amico Beppe Fiorello nel suo tour per Stranizza D’amuri, ha fatto un lavoro strabiliante. Ecco come si salva il cinema, con l’amore. Non solo con il tax credit. Con l’amore.
Ecco perché tempo fa ho stretto la mano a tutte le quattordici persone che erano in quella sala a Bologna per vedere il mio film. Perché bisogna essere gentili col pubblico, e con chi ama il cinema, scegliendo di alzarsi dal divano, prendere la macchina alle nove di sera, cercare parcheggio e col freddo che taglia, andare a farsi incantare dentro una sala cinematografica, condividendo un’emozione con sconosciuti. Quello è il vero sharing: il cinema non è un social network, è un network sociale. Che è meglio.
Facile far vedere le sale piene, quando si fanno le anteprime o il famoso “saluto in sala” di sabato sera. Le sale non sono piene. Facciamo così: se dobbiamo proprio dirci delle bugie lasciamo che lo faccia solo il cinema, che mente 24 volte al secondo.
Diciamoci la verità, il cinema ha sempre rischiato di morire, ma stavolta siamo tutti preoccupati davvero. Allora smettiamo di preoccuparci e cerchiamo delle cure concrete. Se lo merita.
Il cinema è il mio migliore amico, il mio compagno di banco, e gli voglio bene.
Io mi impegno ad ascoltarlo ed accompagnarlo sempre. Mentre lui cresce, cresco anche io.
Per favore, trattatemelo bene.
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