Immaginiamo una ragazza, chiamiamola Anna. Vive in un piccolo paese in provincia di Sondrio, non ha una famiglia ricca alle spalle, sogna di fare la regista. Perché? Non lo sa, ha visto un vecchio film, una volta, nella città più vicina al suo paese, Io la conoscevo bene, l’ha fatta piangere ma le ha anche fatto capire che col cinema si può scappare, col cinema si può smettere di sentirsi soli, le ha dato voglia di riscattare quella ragazza del film, Adriana.
“Il cinema”, ha deciso Anna quel giorno, “questa è la mia vocazione”. Anna parte per Roma, si mantiene come può, nel frattempo scrive un soggetto per un documentario, passa concorsi, prova bandi, partecipa a premi per giovani registe/i, sceneggiatori e sceneggiatrici, ne vince molti. Sono concorsi difficili, si presentano a centinaia. Finalmente Anna, avendo passato tutte queste selezioni, riesce a entrare in contatto con dei produttori che sembrano interessati al suo soggetto di documentario. Uno le propone di comprarlo, di prendere un’opzione, la gioia di Anna le stringe la gola e quasi la soffoca.
Poi il prezzo: duecento euro. Ma Anna quel soggetto lo ha scritto in cinque anni. Non può permetterselo. E per la regia? Non si sa. Quando? Si vedrà.
Ecco, questo è il punto, ci si deve poter permettere di fare questo lavoro? Può diventare il cinema un lavoro solo per chi può permetterselo, per chi ha alle spalle una famiglia che può mantenerla/o? La rappresentazione del mondo può essere affidata unicamente a chi del mondo ha conosciuto solo la parte ricca? Anna, la nostra giovane regista immaginaria, il suo documentario lo aveva scritto su tre ragazze italiane come lei, sue coetanee, del suo quartiere, di seconda generazione. Lo avrebbero diretto lei e Amina. Forse, chissà, sarebbe stato interessante, forse necessario. Ora Anna fa la driver, sempre nel cinema, sempre sui set, sempre mal pagata, ma almeno, come driver piuttosto che come regista e sceneggiatrice, riesce a mantenersi.
Il lavoro di regista e di sceneggiatore e sceneggiatrice, ma anche di attore e attrice, è prima di tutto una passione. Una scommessa totale, fonte di enormi entusiasmi ma anche di grandi delusioni e momenti bui. Ma è anche, anzi soprattutto, un lavoro. Un lavoro difficile e necessario. A volte chi lo intraprende è animato da una tale passione che è disposto a tutto pur di farlo. Perché, è vero, è un bel mestiere. Nei tanti anni in cui si è regolarmente decretata la morte del cinema italiano, il cinema italiano invece ha resistito. Se questo è accaduto è stato soprattutto per la capacità di resistere di tutto un comparto di registe e registi, sceneggiatori e sceneggiatrici, attori e attrici, coriacei, innovativi, che a volte veramente contro tutti hanno continuato a fare film, iniziando sempre in piccolo, e andando a volte, quasi nell’indifferenza generale, a conquistare spazi nei più prestigiosi ambiti, sia artistici che commerciali, del mondo.
Il comparto creativo è la linfa vitale del nostro mestiere, è un comparto che lavora ai propri film, documentari, ora anche serie, con accanimento e devozione e con spirito di resilienza, curando maniacalmente, in un singolo progetto per anni e anni, la bellezza delle proprie opere, piccole e grandi che siano.
Salario minimo e contratto collettivo, questi sconosciuti
Ma è l’unico comparto che non ha un contratto collettivo di lavoro, in cui non sono previsti minimi salariali. Sembra quasi che i ragazzi e le ragazze che lo intraprendono debbano, loro, ringraziare di poterlo fare. Invece siamo noi che dobbiamo ringraziare loro, in un paese che ha così disperatamente bisogno di riallacciare un dialogo di cittadinanza con i più giovani, siamo noi che dobbiamo ringraziare loro di poter conoscere il loro racconto, la loro voce, le loro facce: è una necessità. In questi giorni si sta dibattendo molto di salario minimo. È un dibattito che tocca anche il nostro comparto, avamposto di sregolatezze salariali e precarietà.
Noi 100autori crediamo sia urgente ottenere al più presto questo contratto e dei minimi salariali per registe/i e sceneggiatori e sceneggiatrici, sappiamo che lo è anche per le colleghe/i attrici e attori, specialmente in un momento di così grande trasformazione dei nostri lavori, in cui le nostre opere spesso sono diffuse da enormi piattaforme in tutto il mondo, e a volte quelle parole scritte in solitudine, quella maledetta inquadratura impossibile che invece ti riesce, quelle lacrime che proprio al momento del ciak un’attrice o un attore è riuscita/o a versare dopo ore di respirazione e connettendosi in quel preciso momento con l’archeologia del proprio dolore, risuoneranno in tutto il mondo e forse riempiranno le tasche di qualcuno in giro per il mondo, vogliamo che siano considerate un valore, per il paese, non con spirito nazionalistico ma con orgoglio e emozione e in quanto valore vengano pagate quello che è giusto e che consenta a Anna di raccontarcela la sua storia e quella delle sue tre amiche e che consenta a lei, e a tutte/i coloro che fanno questo lavoro, di dire questo è il mio lavoro e di viverne.
Questa sarà una battaglia centrale per noi, unite/i a tutte le altre realtà che vorranno metterla al cuore di ogni altra.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma