Se, come diceva Conrad, era difficile spiegare a sua moglie che quando guardava fuori dalla finestra stava lavorando, deve essere ancora più difficile spiegare lo sciopero di un autore. Un sacco di gente che non guarda più fuori dalla finestra. Eppure, vediamo quanto durerà, perché gli effetti di quello che è iniziato negli Stati Uniti sotto l’egida degli sceneggiatori della Writers Guild of America potrebbero essere molto evidenti. Ancora soffro per la seconda stagione mutilata di quel piccolo capolavoro che era Friday Night Lights.
Di fronte alla gentile richiesta di un parere sullo sciopero degli sceneggiatori da parte di The Hollywood Reporter Roma, dirò poche cose semplici e banali.
Uno: l’opinione di un trentacinquenne infinitamente grato a questo lavoro è tutto fuorché necessaria.
Due: la questione è invece assolutamente necessaria. Per tutti quello che lavorano in questa industria e per tutti quelli che ne consumano i prodotti. Direi proprio per tutti, insomma.
Tre: sostegno totale allo sciopero negli USA degli sceneggiatori, le cui richieste sono in realtà molto specifiche e sacrosante – anche solo per la necessità di adeguare i residuals a un mondo in cui il concetto di replica non esiste più, ma esiste lo sfruttamento eterno di un prodotto ormai in catalogo. Credo non sia neanche una quesitone ideologica, ma molto pratica, su cui sono sicuro che verrà trovato un accordo.
Quattro: forse sarebbe il caso di prendere spunto da quella battaglia lontana e fantascientifica (“avercene, di quei problemi…”) per interrogarci sulla situazione italiana. E qui, a proposito di necessità, semplicità e banalità: non è possibile che se la (anche) mia serie la guardiamo io, mia mamma e mia moglie, oppure diventa un successo planetario (certo, prima fatelo, mi direte, ma qui parliamo del mondo delle possibilità), a me e al mio conto in banca non cambi nulla.
E non è solo una questione di remunerazione o del fatto che se il mio lavoro genera introiti forse me ne spetta una parte, è questione (di nuovo, banalmente) di responsabilità. Se non esiste il sogno americano, se a un autore non è concessa la possibilità di investire in termini di tempo e talento in un’idea che in termini economici può cambiargli la vita, finirà per distribuire quel tempo e quel talento in diversi progetti. Perché la somma di quei progetti costruirà il suo salario, e non il successo di uno di quelli.
Cinque: questo lavoro è meraviglioso come il gioco di un bambino che inventa mondi. Però resta un lavoro. Un lavoro che muove investimenti importanti e non sempre è adeguatamente riconosciuto. Vale anche il contrario, naturalmente, e quando questo lavoro è fatto male è pagato troppo come lo è qualsiasi lavoro fatto male. Ma, dato reale e personale, capita che il costo del nostro tempo e talento sia lo 0,5% di quello che è poi il budget totale del prodotto finale (sì, un duecentesimo, per tutte quelle pagine senza le quali il prodotto finale non esisterebbe).
Sei: a proposito di intelligenza artificiale e polemiche sul pericolo che ci rubi il lavoro, io credo che sarà uno strumento utilissimo per chi sarà in grado di usarlo. Come avere un assistente velocissimo che può fare ricerca su qualsiasi cosa in pochi secondi, e magari può anche buttare giù un primo rozzo draft di un soggetto (attenzione: non voglio dire che non servono gli assistenti umani, io ho iniziato così. Gli assistenti umani dovranno usare quello strumento invece che leggere seicento libri e spendere giornate in emeroteca).
Magari, però, sbaglio clamorosamente e tra qualche anno l’IA sarà in grado di scrivere storie migliori delle nostre, anche con una perfetta imperfezione programmata: in quel caso, spero che le intelligenze umane che le avranno sviluppate siano adeguatamente remunerate. Anche con i residuals che quelle IA avranno generato.
Davide Serino è nato a Varese nel 1988. Tra le esperienze più recenti da sceneggiatore, è parte del gruppo di scrittura di Esterno notte, la prima serie di Marco Bellocchio, di M., la serie su Mussolini tratta dal romanzo premio Strega di Antonio Scurati, scritta con Stefano Bises e diretta da Joe Wright, e co-creatore di The Bad Guy con Ludovica Rampoldi e Giuseppe G. Stasi.
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