“Vederlo su un grande schermo con il pubblico è tutta un’altra cosa rispetto a vederlo in una saletta. Sono uno che si emoziona anche con i propri film, penso sia importante. Se non ti emozioni tu, che emozioni puoi dare agli altri?”. Marco Amenta è il regista di Anna, ultimo film presentato nella sezione Notti veneziane delle Giornate degli Autori.
Il suo film – la cui colonna sonora è composta da Giulia Mazzoni – mette al centro del racconto una giovane donna, interpretata da Rose Aste. Bella, selvaggia e magnetica come la natura incontaminata della sua Sardegna, Anna vive al ritmo del respiro della terra dopo essersi lasciata alle spalle esperienze difficili. Nell’angolo remoto dell’isola dove gestisce la piccola fattoria che era del padre, la sua presenza, fatta di energia erotica e coraggioso rifiuto delle convenzioni, ha la potenza di una mina pronta a esplodere. Quella terra aspra la protegge, fino al giorno in cui sarà lei a doverla proteggere dai mostri meccanici che vogliono violentarla.
Il suo è un film molto legato al territorio. Come ha lavorato con Rose Aste per rendere tutto verosimile?
L’idea era di realizzare un film molto ancorato alla realtà. L’uso della lingua sarda era importante perché dà un tocco viscerale e ancestrale alla storia e al personaggio. Ha una sonorità particolare. Tutti i dialetti danno ai personaggi una verità e una profondità che l’italiano standard, se non è giustificato, non dà. E con il sardo ancora più. Ho cercato fra attrici e non professioniste. Ho fatto tanti provini ma Rose mi ha colpito immediatamente.
Aveva raggiunto subito una profondità. Abbiamo lavorato molto in preparazione. Anche per far abituare lei alle capre e le capre a lei. Il rapporto con gli animali era importante. E non si improvvisa affatto. Invece era importante che lei diventasse un tutt’uno con questa campagna. Le capre sono animali testardi, hanno la loro personalità. Per stabilire un legame ci è voluto tempo. Ma lei è stata bravissima e intensa.
E a livello di movimenti nello spazio?
Abbiamo lavorato molto nella verità, lasciando agli attori uno spazio di recitazione con una camera molto mobile e uno stile quasi documentaristico così da non bloccarli nelle posizioni, lasciandoli completamente liberi anche nelle piccole emozioni. Chiaramente non è un film improvvisato, la sceneggiatura è vera ed è scritta. Però poi facevamo scene molto lunghe, piani sequenza, anche per dare loro una continuità realistica.
Quello di Anna non è un personaggio facile. È una donna testarda, spigolosa, a tratti respingente.
Sì, per me era un tratto importante. Il cinema moderno ha fatto tanti passi avanti, ha raccontato tante storie. Ormai anche il pubblico vuole vedere dei personaggi non stereotipati, non degli eroi tipici del cinema degli anni Ottanta, senza macchia e senza peccato. Ora vuole personaggi più vicini alla realtà. Il che non significa che siano meno interessanti o, inconsapevolmente, meno eroi.
Lo sono comunque, però si portano dietro i difetti, le particolarità, i tratti che abbiamo tutti nella vita. Volevo lasciarle un lato sporco, selvaggio, irriverente, esagerato, con uno slancio sessuale ogni tanto esasperato, autodistruttivo. Non serve più solo il bianco e il nero, il buono e il cattivo. È interessante, come nella vita reale, avere dei personaggi a tutto tondo. Senza avere paura che il pubblico non si affezioni a loro. Basta pensare al Joker di Joaquin Phoenix.
Il film è ispirato a una storia vera. Che tipo di ricerca ha fatto?
È un mix di alcune storie vere. Nell’originale era un pastore uomo. Un racconto simbolico perché è la storia di David contro Golia. Una storia che purtroppo si ripete in Italia da tanto tempo: la devastazione del territorio, della costa, gli ecomostri. L’ho trasposta al femminile perché, non so se consciamente o inconsciamente, mi piace molto raccontare percorsi femminili di emancipazione. Anna da un lato combatte contro un eco mostro, dall’altro contro una comunità maschilista e patriarcale. Due tematiche molto presenti nella nostra società.
Sicuramente il film serve a raccontare un tema oggi purtroppo sempre più attuale. Non a caso il film ha una collaborazione con l’associazione Una Nessuna Centomila di Fiorella Mannoia. Non faccio film didascalici o che abbiano una morale. In Anna c’è anche la lotto contro la violenza nei confronti del territorio. La protagonista non fa una battaglia ideologica per l’ambiente. Lo fa per affermare se stessa e non accettare una violenza maschilista una seconda volta. È questo il significato del film.
Lei nasce come fotoreporter. Questo influenza il suo modo di pensare l’inquadratura?
Sì, assolutamente. Ci sono registi che vengono dalla sceneggiatura, altri dall’immagine. Sicuramente la sceneggiatura è fondamentale per la narrazione e il ritmo. Però l’immagine, soprattutto al cinema con uno schermo enorme, può raccontare un senso. Che non è solo veicolato dalle parole o dalla recitazione, ma anche da quello che vediamo. Seguo tantissimo l’immagine, curo i colori, le location, i tipi di inquadratura e lo stile della fotografia. Che in questo caso doveva essere aspra e testarda come la protagonista.
Come si traduce questo nella fotografia del film?
Avendo questo concetto in testa, quando andavamo a girare lavoravamo su controluce forti senza aver paura di non avere l’immagine perfetta. E poi ancora, il movimento irregolare e non pulito, immagini fatte con macchina a mano, seguendo il ritmo dei personaggi e stando addosso ad Anna. È l’immagine a raccontare il senso del film.
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