Facebook: 4 febbraio 2004. Nasceva nella stanza dormitorio con l’articolo davanti (TheFacebook, lo avrebbe perso due anni dopo) di Mark Elliot Zuckerberg, studente non brillantissimo di Harvard, al suo secondo anno.
Nasce inizialmente come un prototipo di Tinder machista (FaceMash hackerava le foto delle studentesse e poi le metteva in competizione: le studentesse protestavano, gli studenti votavano come matti, l’università chiuse d’imperio dopo pochi giorni l’obbrobrio), poi quel ragazzo, che poco si riconosce nel personaggio raccontato in The Social Network di David Fincher da Jesse Eisenberg, un nerd che cerca successo e socialità, si prende due settimane e fa una piattaforma per “gente che vuole conoscere gente e a me servivano le loro mail” (citazione proveniente dal film). Che poi, a vedere come si è finiti a Cambridge Analytica, era una frase per lo meno profetica.
Facebook, il social network
Il successo è subito evidente. Il giorno dopo TheFacebook ha 2000 studenti di Harvard iscritti, a fine anno si raggiunge il milione di iscritti e arrivano i primi 500.000 dollari di investimento. Di qui in poi è un’ascesa quasi incontrastata: ora tre miliardi di utenti (la metà della popolazione mondiale) si logga ed entra a spiare la vita altrui e a esporre la propria almeno una volta al mese.
Facebook, poi, ha cambiato il mondo. In molti dicono in peggio, di sicuro ha cambiato il modo di socializzare, di tenersi in contatto, ha spostato l’asse d’equilibrio di una società che ha creato quella realtà virtuale che molti scrittori fantascientifici distopici paventavano, non nell’affascinante cyberspazio ma su una piattaforma poco elegante graficamente e che non si discosta molto dall’estetica dei primi blog.
Ognuno di noi, ormai, ha un’identità reale e una virtuale. E spesso, le due, sono in conflitto, di sicuro non di rado in aperta contraddizione come dimostrano alcuni banali esperimenti in cui haters vengono messi in contatto con l’oggetto del loro odio e cambiano completamente atteggiamento e in alcuni casi pareri.
Facebook e l’informazione, Facebook e la politica
Zuckerberg in questi vent’anni ha fatto acquisizioni costosissime e importanti (su tutte Whatsapp, nel 2014 per 19 miliardi di dollari, e Instagram, per un miliardo, nel 2012) continuando così a essere centrale nella comunicazione globale anche se FB viene dato per morto da una decina d’anni e ora, per molti, è cosa da boomer.
Ma lui lo tiene lì, buono, perché come ha detto una volta in un’intervista “alla fine tutti cedono alla tentazione di entrare una volta ogni tanto e guardare che succede”. Sì, perché anche ora che ha una sua (relativa, diciamo qualitativa) marginalità nella galassia della virtualità, ora che le giovani generazioni privilegiano altro (TikTokTak direbbe Silvio Berlusconi), comunque rimane il sinonimo, anzi l’archetipo del significato profondo, del posizionamento della realtà social network.
Ed è il motore di un sistema integrato di comunicazione e controllo informazioni che il buon Mark ha provato a rendere ancora più invasivo con l’esperimento (fallito?) del metatarso e le perdite (fino a 250 miliardi di dollari) di Meta. Ma lui si dice certo “stiamo andando nella direzione giusta”. E già solo così, fa un po’ paura.
Uno strumento di potere con una potenza di fuoco sconcertante e mai del tutto compresa, perché, ci ha tenuto sempre a dirlo il pilatesco Zuckerberg (che poi, però, per soldi e convenienza, nella politica da Cambridge Analytica a Trump, ci è entrato) “Facebook è una tech company, non una media company”. Eppure prima senza alcun controllo e ora con un grottesco controllo “automatico” su parole chiave e immagini (che finisce per censurare capolavori pittorici di grandi artisti perché sono dei nudi) è la principale e più fornita sede di contenuti prodotti da altri ed è divenuta da almeno un decennio la fonte principale di informazione e soprattutto disinformazione del mondo.
Fake news, complottismi, ideologie distruttive e discriminanti passano soprattutto da qui: dalle primavere arabe prima favorite dalla facile comunicazione tra protestanti e poi distrutte dalle rivalità da like, fino a Capitol Hill e all’assalto dell’Epifania del 2021, è su questa piattaforma che è passato tutto (senza Facebook Donald Trump sarebbe mai divenuto presidente?). Probabilmente troppo.
Non solo The Social Network
In occasione del ventesimo anniversario di Facebook, arriva su Sky il documentario Sky Original su una delle figure più potenti del 21 esimo secolo. Zuckerberg – Il re del Metaverso è in esclusiva dal 3 febbraio 2024 alle 21.15 su Sky Documentaries e in streaming su NOW. Il lungometraggio va alla scoperta degli eventi che hanno caratterizzato la vita e la carriera Zuckerberg attraverso inediti materiali d’archivio e interviste a personaggi chiave.
Nel gennaio 2004, Mark Zuckerberg ha intrapreso un viaggio unico che ha cambiato il mondo. Due decenni dopo, ecco la storia degli eventi straordinari che hanno dato forma a una rivoluzione.
Zuckerberg – Il re del Metaverso traccia l’ascesa del miliardario più giovane del mondo, un uomo che è stato in grado di connettere metà della popolazione mondiale, mostrando il potere di trasformazione dei social media.
Ma, proprio come le piattaforme create da Zuckerberg hanno aiutato come già detto le rivolte in alcune parti del mondo arabo, molti attori politici hanno sfruttato il suo potere (si pensi solo in Italia all’irresistibile ascesa del M5S o, su tutti i social, alla mitica Bestia salviniana) e Facebook è stato accusato di incoraggiare la disinformazione e contribuito ad alimentare anche il genocidio in Myanmar.
Si sono scomodati Debord, Popper e Benjamin eppure filosofia e studi della comunicazione ancora non hanno capito del tutto quest’uomo, il suo progetto, la sua visione. Una sorta di nichilismo di massa che ancora non ci ha fatto capire quanto debba farci paura, per citare Gaber, Zuckerberg in sé, o lo Zuckerberg in noi. Per dirla più facilmente: Facebook è l’ovvio risultato di come questo mondo ha deciso di diventare o è stato uno degli attori principali di questa catastrofe?
La storia dell’impero dell’era digitale approfondisce i temi del potere, della privacy, della sfiducia e della disinformazione, facendo luce su un uomo enigmatico la cui influenza plasma il destino del nostro mondo. A partire dalla prima regola del neoliberismo galoppante: se un servizio è gratis, il prezzo sei tu. O, per dirla alla Zuckerberg ventenne, che scrive a dei compagni d’avventura nel documentario in questione, “i dati? Me li hanno dati loro, si fidano di me. Che stupidi”.
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