Nel 2013, quando Hayley Atwell salì sul palco per lo spettacolo di The Pride ai Trafalgar Studios, non aveva idea che il futuro co-architetto del franchise di Mission: Impossible, Christopher “McQ” McQuarrie, fosse presente. Atwell aveva già recitato per il film di McQ e Tom Cruise del 2012, Jack Reacher, ma in questa particolare occasione McQ era rimasto talmente sbalordito dalla sua performance dal vivo da portare l’attrice a cena fuori e dichiarare la sua intenzione di scrivere prima o poi un ruolo per lei.
Ebbene, quel giorno è arrivato, quando nel 2019 McQ e Cruise avevano bisogno di una nuova protagonista per Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte Uno, la ladra Grace.
Atwell ha aspettato oltre diciassette anni per un’opportunità come questa. Sì, ha interpretato la Peggy Carter preferita dai fan della Marvel almeno una mezza dozzina di volte, ma le sue opportunità sul grande schermo erano quasi sempre al servizio della storia di un altro personaggio, quella di Steve Rogers/Capitan America. In Dead Reckoning – Parte Uno, è finalmente al centro di un lungometraggio e questo è chiaro quando vediamo Grace avere la meglio su Ethan Hunt più volte durante il film, soprattutto nella prima parte.
“Mi è stata data la fiducia e una finestra in cui mostrare una maggiore profondità emotiva all’interno di un franchise, cosa che non mi era ancora stata concessa”, ha detto Atwell a The Hollywood Reporter in una conversazione condotta prima che iniziasse lo sciopero SAG-AFTRA. “Per questo sarò eternamente grata a Tom e McQ, che mi hanno sostenuto ogni giorno sul set. Dopo 17 anni in questo settore, sono finalmente riuscita a fare qualcosa di tale livello, con un’altissima qualità cinematografica”.
McQ è rimasto impressionato dal suo lavoro nello spettacolo The Pride, dopo che era già stata nel cast del suo Jack Reacher. È la sua “origin story” con MI?
Esatto. Mi ha vista in The Pride circa dieci anni fa. Dopo mi ha portato fuori a cena e ha detto: “Ciò che hai fatto su quel palco, lo voglio. Voglio imbottigliarlo. Non so quale sarebbe il personaggio o la storia…”.
Come ha costruito il suo personaggio di Grace?
Penso che la mia formazione classica mi abbia permesso di abbandonarmi al processo di costruzione di un personaggio simile, senza dare l’idea di voler fare qualcosa di troppo artistico. Volevo dare più sfumature a Grace, perché tutti noi le abbiamo. Così in alcuni momenti è molto sicura di sé, poi magari un minuto dopo si sente persa, quello dopo ancora acquista di nuovo coraggio e poi cade di nuovo nella paura. Sentivo che potevo darle spessore, andando oltre il semplice spettacolo visivo.
Sono noti i video di Tom Cruise e dei suoi stunt con la moto sul set di Dead Reckoning. In molti il cast e la troupe scoppiano a ridere mentre lo vedono. La risata era una maniera per distendere i nervi durante una lavorazione così intensa e complessa?
Sì: in quel caso, ad esempio, eravamo arrivati al limite. Avevamo visto Tom preparasi per quel momento, ne avevamo seguito la realizzazione, il progetto degli ingegneri con il posizionamento della rampa. La mattina stessa lo avevamo visto buttarsi giù col paracadute per testare il vento. Le risate, perciò, sono servite a distendere l’ansia. Sei pur sempre di fronte a un uomo che rischia la sua vita per dare il meglio al pubblico.
Cosa può raccontarci di più della scena in macchina a Roma? Non è da tutti essere ammanettati a Tom Cruise mentre si tenta di sfuggire da un inseguimento.
Mi trovavo fuori dalla mia zona di confort e questo, spesso, può riservare sorprese inaspettate. Devi fidarti del tuo partner e seguire la preparazione necessaria. Sia per la propria sicurezza, che per assicurare la giusta dose di spettacolo. Tom è assolutamente diligente e disciplinato e sa trasmetterti tale senso di responsabilità.
In un momento del film, Ethan Hunt cerca di fare una supposizione sul passato di Grace. Lei mantiene uno sguardo fiero, anche se la spia scava nel suo passato.
È una scena che mi ha aiutato molto a costruire Grace. Avevamo già iniziato a girare prima che scrivessero quel dialogo, quindi non conoscevo ancora bene la sua storia. Dopo quel momento ho capito tutto di lei. È una donna che può sembrare un’opportunista, ma la verità è che sta solo cercando di conquistare tutto ciò che nella vita le è stato negato. Non fa nulla per vedere soffrire gli altri, ma per rendersi indipendente in un mondo in cui ha da sempre cercato di proteggersi e di sopravvivere. Per questo non può fidarsi fino in fondo di nessuno. Conoscere questo lato del personaggio aiuta a dargli un senso e a spiegare le sue azioni.
Cosa ne pensa del villain del film, L’Entità?
È una forza impossibile da controllare. Ci conosce meglio di quanto noi conosciamo lui. Questo rende L’Entità il villain perfetto per la saga di Mission: Impossible. E racchiude un messaggio globale sulla traiettoria che stiamo prendendo come esseri umani che fa riflettere sul potere, su chi lo detiene e chi dovrebbe gestirlo.
L’Entità è la rappresentazione della diffusione delle fake news, dei social media non regolamentati e dei poteri globali in gioco che influenzano la vita degli individui e delle comunità, nonché delle potenziali ripercussioni che potrebbero avere tutte queste cose. Quindi ho pensato che fosse molto appropriato inserirlo in un blockbuster contemporaneo. Poi, insieme all’Entità, abbiamo anche il personaggio di Gabriel, brillantemente interpretato da Esai Morales. Ha una presenza così carismatica ed enigmatica sullo schermo che diventa agghiacciante.
Le è permesso parlarci della sua esperienza sul set di Dead Reckoning – Parte Due nell’Artico?
Posso dire che non c’è mai stato un film di queste dimensioni girato nell’Artico. La gente pensava che sarebbe stato impossibile e, fortunatamente, il “team mission impossible” ha messo a tacere qualsiasi dubbio. L’obiettivo principale, ovviamente, era la sicurezza del cast e della troupe, ma anche il rispetto del paesaggio in cui ci muovevamo.
Si tratta di un territorio maestoso e crudo. A volte, quando sei a meno 55 gradi con un vento gelido che ti arriva addosso, non è semplicissimo eseguire dialoghi o scene action, o anche solo mantenere la concentrazione. Ma rimarrà il posto più straordinario in cui sia mai stata su questo pianeta e, probabilmente, non ci ritornerò mai.
Tra dieci anni, quando ti chiederanno qual è il tuo primo ricordo legato a Mission: Impossible, quale citerai?
Andare alla deriva a Roma con Tom sul sedile del passeggero, ammanettato a me, con tre telecamere attaccate al parabrezza, che mi compromettevano la vista. Poi ha iniziato anche a piovere e il terreno si stava bagnando, il che ovviamente ha influito sulla derapata. C’erano macchine acrobatiche e noi eravamo accanto a questi monumenti antichi. La gente era venuta a sbirciare e la troupe stava guardando. Ancora oggi quando ripenso a Tom che gridava “Rallenta” o “Gira a sinistra”, non so se si riferiva a me, Hayley, o a Grace. Abbiamo improvvisato anche un po’. Ci siamo detti che, qualcosa di buono, doveva pur essere venuto fuori.
Poi Tom ha fatto partire un applauso per la troupe e McQ mi ha detto: “Tom ha messo la sua vita nelle tue mani in quel momento, e non ti avrebbe permesso di farlo se non avesse creduto che anche tu potessi prenderti cura di lui”. Ho realizzato: “Wow, questa è la generosità e la fiducia di Tom, che mi ha messo nelle condizioni di poter lavorare duramente per assicurarmi di poterlo fare per lui e per il film”. È stata una bella sorpresa. È un momento che non dimenticherò.
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