Più grande, più spettacolare, più ambizioso. E più vero che mai. Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte uno, settimo capitolo della saga di Mission Impossible, nata nel 1996 su ispirazione dell’omonima serie tv del 1966, arriverà al cinema dal 12 luglio riportando sullo schermo la dedizione al limite del sacrificio del suo protagonista, l’agente segreto Ethan Hunt – e del suo interprete, Tom Cruise, che a 60 anni continua a sfidare le leggi della fisica per dimostrare che niente, se lo si vuole davvero, è impossibile.
Ambientato per buona parte della pellicola – durata fiume: più di due ore e mezza – in Italia, il film è stato girato a Venezia e Roma (dei 35 milioni stanziati per le riprese in Italia, 18 sono stati spesi tra inseguimenti ed esplosioni al Colosseo, sul Lungotevere, ai Fori Imperiali e a Piazza Venezia) e ripropone parte del cast originale (Simon Pegg, Rebecca Ferguson, Vanessa Kirby, Ving Rhames fra gli altri) con un’importante new entry, la britannica Hayley Atwell (Doctor Strange nel Multiverso della Follia), nel ruolo di un’abile borseggiatrice destinata – chissà – a un futuro diverso.
A fare la differenza, stavolta, non sono le acrobazie e gli effetti – come sempre estremamente efficaci: 290 milioni di dollari il budget del film – ma il “cattivo” contro cui dovrà battersi Ethan: “Un nemico mai affrontato prima, diverso e terribile, capace di toccare corde molto sensibili per il pubblico di oggi – spiega Simon Pegg, che nel film interpreta Benji Dunn, storico braccio destro di Ethan – Nessuno ne è immune. Spaventa tutti”. Un nemico invisibile, pervasivo, familiare. Inquietante perché inumano. Un’intelligenza, appunto, artificiale: “La caratteristica di Mission Impossible, che lo rende diverso da altri blockbuster a base di astronavi e supereroi, è la sua aderenza alla realtà. È uno specchio della nostra società. E la sceneggiatura è profondamente ancorata ai problemi del tempo. Uno in particolare, che ci riguarda tutti: quanto a lungo la tecnologia lavorerà per noi, prima di iniziare a lavorare contro di noi?”.
Un tema caldo, quello della tecnologia “senziente”, che il film tocca, come spiega Atwell, senza scadere nell’allarmismo. “Il film è stato scritto quattro anni fa, quando si iniziava a parlare di IA e di manipolazione digitale della realtà. Tom e Chris (Christopher McQuarrie, dal 2015 regista della saga, ndr) sono stati abbastanza intuitivi da capire che si trattava di una storia su cui puntare, ma anche che quel tema sarebbe diventato, a livello politico, pubblico, personale ed emotivo, un grande generatore di ansia. Per questo il film non punisce il pubblico. Crede nel trionfo dell’umano”. L’attrice racconta di essere stata notata da McQuarrie a teatro, dieci anni fa a Londra: “Mi disse che avremmo lavorato insieme, prima o poi. Mi ha chiamata dieci anni dopo, per propormi il ruolo della protagonista femminile di Mission Impossible. Non avevano in mente il personaggio, cercavano piuttosto un’attrice che capisse il progetto, che fosse collaborativa e disposta a un allenamento anche duro. Qualcuno che affrontasse il lavoro con entusiasmo. Per cinque mesi mi sono allenata nella guida veloce, con i pugnali e le pistole”.
Atwell non è l’unica donna donna d’azione del nuovo Mission Impossible. Torna, nel ruolo dell’ambigua Alanna, anche Vanessa Kirby (“Non considero i film d’azione bidimensionali solo perché ci si spara. Sono felice di essere entrata in un franchise così grande e epico, ma lo affronto come tutti gli altri film”), anche se la scena è tutta per il personaggio interpretato dalla francese Pom Klementieff. Poche parole, sguardo folle, nessuna morale, una tendenza incontrollabile alla violenza gratuita: “Mi sono ispirata a Clint Eastwood, Takeshi Kitano, Steve McQueen. Ho letto il libro di Quentin Tarantino, quando racconta che McQueen strappava pagine di dialogo dal copione perché voleva parlare di meno. È vero: in alcuni casi se parli meno hai più carisma, perché quando dici la tua battuta, poi la gente ti ascolta davvero. L’ispirazione l’ho presa anche da cose molto strane, come un assurdo uccello preistorico che ho visto in un video. Ho provato a imitarlo, funzionava perfettamente per il personaggio”.
Quanto a Tom Cruise, la sua presenza nel progetto sarebbe stata indispensabile non solo a livello creativo, ma anche, tecnicamente, per garantire “sicurezza” a un film potenzialmente assai pericoloso (lo stesso attore si infortunò sul set del precedente Mission Impossible). Ne è convinto Greg Tarzan Davis, che nel film maneggia armi da fuoco dalla parte (forse) dei “buoni”: “Il set non è mai stato pericoloso. Avevamo una squadra ben allenata alle spalle e ottimi coordinatori degli stunt. Tom Cruise si assicurava personalmente che tutti sapessero quali fossero le azioni spettacolari che si stavano preparando e che l’equipaggiamento fosse a posto”. L’atteggiamento protettivo di Hunt, insomma, sarebbe lo stesso mostrato da Cruise nei confronti dei suoi compagni di set: “Siamo legati ormai da 17 anni di amicizia – racconta Pegg – e posso dire che è un uomo molto generoso. Sa che questo è il suo film, e che il protagonista è Ethan Hunt. Ma ci tiene che tutti abbiano il loro momento, che anche i personaggi sullo sfondo siano realistici e abbiano delle motivazioni forti. Il mio personaggio è diventato un pezzo importante della squadra, e gliene sono grato”.
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