È stato uno dei kolossal più visti di sempre: Russell Crowe nei panni de Il gladiatore Massimo Decimo Meridio. Dentro a un Colosseo ricostruito sull’isola di Malta, combatte contro le tigri davanti agli occhi bramanti di vendetta dell’imperatore Commodo, figlio naturale di Marco Aurelio, che ha visto il padre preferirgli proprio il gladiatore come erede al trono anziché lui, successore designato.
Massimo combatte sotto il sole caldo del pomeriggio, la sua pelle è bagnata dallo sforzo e intorno a lui una folla di migliaia e migliaia di persone che lo incita, lo acclama, lo sostiene. Una folla di 35mila persone. O per meglio dire: 2 mila persone umane e 33 mila persone digitali, create con un effetto visivo computerizzato che oggi categorizzeremo direttamente sotto la voce “intelligenza artificiale”. E se questa tecnologia nell’anno di uscita del film, il 2000, era considerata quasi d’avanguardia, oggi restituisce sospetti e criticità.
Ecco il Gladiatore 2.0
Set per la valutazione di queste considerazioni è sempre Il Gladiatore, non la prima opera bensì il sequel, che uscirà negli Stati Uniti il prossimo 22 novembre. La trama sarà fondata sul personaggio di Lucius, Paul Mescal, il figlio dell’amore di Massimo e Lucilla, anche questa volta interpretata da Connie Nielsen. Girato sempre sull’isola di Malta, al Forte Ricasoli, dove venne allestita anche la prima arena, è stato oggetto delle “denunce” di molte comparse che hanno accusato la produzione di aver “scannerizzato” la loro immagine per poterla sfruttare grazie all’intelligenza artificiale, senza però spiegare loro il contesto.
A riportare la notizia è stato il Times di Malta che a ottobre raccolse diverse testimonianze anonime: “Non sembrava affatto potessimo rifiutarci”, dice il primo. “Se hanno il tuo volto, non hai idea se lo useranno in un trailer, un film o un video”, ha aggiunto un secondo interprete. “Non hanno spiegato perché lo stavano facendo, abbiamo pensato ci stessero portando a girare un’altra scena – aggiunge una terza comparsa – Se ci sarà un’altra produzione a Malta e mi chiederanno di essere scannerizzato, dirò di no”.
Meno comparse, meno lavoro
Il primo settembre l’aspirante regista e operatore di macchina del kolossal, Matthew Maggi, aveva pubblicato un post su un gruppo Facebook spiegando quello che stava succedendo e i rischi connessi a questa pratica: “Malta è uno dei tanti esempi del fatto che Hollywood sta sfruttando le persone. Meno comparse vuol dire meno giorni di lavoro, scenografie più piccole, una troupe ridotta e meno lavoro per tutti. Lo fanno sembrare una parte normale del processo. Sta diventando parte del lavoro di un film, ma rendono difficile dire di no perché stanno normalizzando la situazione, facendoti sembrare una persona con cui è difficile lavorare se ti opponi”.
Le questioni che si aprono sono molte, tra cui la cessione dei diritti di sfruttamento della propria immagine. Non parliamo della singola interpretazione, ma come figura sempre replicabile in ogni contesto e in ogni gesto. L’intelligenza artificiale è capace di usare il tuo viso e il tuo corpo per farti applaudire dentro un’arena, camminare per strada, scalare una montagna, arrampicarti su un grattacielo. Tutto con una sola, unica, scannerizzazione.
L’uso dell’algoritmo è stato uno dei punti di scontro, a Hollywood, tra lavoratori del mondo dello spettacolo e case di produzione durante lo sciopero record di 118 giorni che si è concluso il 9 novembre scorso. Anche in Italia si è dibattuto sull’argomento: attori e registi, sì, ma soprattutto doppiatori e lavoratori del settore dell’audiovisivo che a febbraio dello scorso anno hanno protestato per tre settimane chiedendo aumenti salariali (le retribuzioni erano ferme a 15 anni fa), ritmi di lavoro che rispettassero maggiormente la qualità della loro professione e della loro vita, ma soprattutto chiarezza sulle “cessazioni di diritti vessatori e pericolosi”.
Sulle barricate contro l’algoritmo
I doppiatori sarebbero stati costretti infatti, in certi casi, a firmare contratti in cui cedono i diritti all’uso della propria voce ad aziende che lavorano con l’intelligenza artificiale e che, quindi, avrebbero potuto riprodurre i dialoghi senza il loro impegno, ma con la loro traccia.
Ma com’è possibile che l’intelligenza artificiale, che è entrata nel nostro vocabolario quotidiano da pochissimo, e che forse non siamo nemmeno in grado di definire troppo bene, abbia già prodotto scioperi e allarmi in tutto il mondo? Presto detto: la presenza dell’algoritmo nel mondo delle serie e cinema è già molta, e non riguarda solo la sua applicazione più facile da intuire – quella degli effetti speciali e dei ritocchi video – ma anche tutto il lavoro di pre-produzione di un’opera, quello ovvero che precede le riprese.
L’intelligenza artificiale sembra essere utilizzata sempre più, per esempio, per coadiuvare le major cinematografiche nella decisione di cosa produrre e in che modo, prendendo in considerazione molte più variabili di quelle che potrebbe valutare il singolo produttore, la figura che fino a oggi ha sempre avuto l’onere esclusivo di prendere questo tipo di decisioni.
L’oracolo degli incassi
Un esempio è Warner Bros che da anni utilizza il software Cinelytic per predire gli incassi del botteghino (vantandosi recentemente di aver eseguito le su stime con una precisione calcolata del 96,3 percento per il 2023). La 20th Century Fox, prima di essere acquistata da Disney, aveva sviluppato un modello di “deep learning” per prevedere quale tipologia di pubblico, in base al trailer, avrebbe potuto vedere un film piuttosto che un altro. Questo sistema estrae caratteristiche come colore, volti e oggetti e ottiene un’accurata previsione di presenze e pubblico tanto per i film esistenti quanto per i film in uscita.
Tutto questo vale anche per la logistica (i piani di produzione vengono vagliati dai software che riescono ad incrociare le esigenze di tutti i lavoratori sul set per ottimizzare i tempi e i materiali), per il casting e per la valutazione delle sceneggiature. Potremmo definire ogni applicazione dell’IA come un vero e proprio reparto iper-specializzato, al punto che le società europee che sviluppano software sfruttando questa tecnologia, come riporta Screen international, stanno segnalando un aumento di interesse per i loro strumenti da parte di registi e finanziatori europei.
Da una parte, quindi, vengono espresse perplessità e dubbi, ma dall’altro si cerca di sfruttare tutte le potenzialità dell’algoritmo, probabilmente per ridurre i costi e massimizzare i profitti.
La differenza umana
Il cinema ha sempre dimostrato che il talento personale può fare la differenza, in una interpretazione e nel risultato finale. Il Gladiatore, per tornare all’esempio iniziale, non sarebbe stato lo stesso film senza Russell Crowe che demolisce parte della sceneggiatura originale (iniziarono le riprese con un copione di 21 pagine appena) o che decide di far raccogliere, al suo personaggio, un pugno di terra tra le mani prima di ogni scena di lotta. E nemmeno senza l’intuito di Luca Ward che, in corso d’opera, propone a Ridley Scott una modifica sulla famigerata frase di Massimo ai soldati dell’esercito romano: “Al mio segnale, scatenate l’inferno”. Quella frase, originale, sarebbe stata: “Al mio segnale, scatenate i cani” (non proprio lo stesso pathos).
La presenza dell’intelligenza artificiale non potrà mai limitare l’intuito o la libera iniziativa di un professionista, questo è certo, ma quello che ci si chiede è se essa sarebbe stata in grado di intuire le potenzialità di una sceneggiatura mal scritta, o di un personaggio grezzo, e trasformarla, come fece quel gruppo, in un prodotto di successo planetario. Quello che gli attori, gli autori e sindacati si chiedono è se il talento sarà in grado di sfruttare l’IA in favore dell’arte, o se l’algoritmo sarà destinato a limitare quel genio e sregolatezza che fa storia, limitando la creatività e il sesto senso in favore di un successo certo. Se insomma, alla fine di tutto, dopo la settima arte arriverà l’ottava: quella dell’intelligenza artificiale.
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