I marchi di moda e lusso forniscono spesso dettagli sugli sforzi richiesti per creare un outfit da red carpet. Prendiamo per esempio l’abito Valentino rosa senza spalline di Zendaya, creato per i SAG Awards dallo stilista Law Roach, ritiratosi di recente. Come ha spiegato Pierpaolo Piccioli, stilista di Valentino, in un recente post su Instagram, ci sono voluti: “1230 ore complessive di lavoro, 190 rose cucite a mano, 5 ore ciascuna per cucirle, 42 persone coinvolte nella creazione, 1 incontro a Roma con Z e Law, per finire con un red carpet stupefacente”.
Ma quello di cui non sentiamo parlare – e che alle star viene raramente chiesto – è l’impatto ambientale dei loro look. E nell’epoca del cambiamento climatico, è un’informazione che dovremmo avere. La moda è uno dei settori più inquinanti al mondo. Secondo le Nazioni Unite, l’industria della moda è responsabile per l’8-10% delle emissioni di gas serra. La coltivazione tradizionale del cotone usa il 4% dei pesticidi e il 10% degli erbicidi a livello mondiale. E delle circa 300 milioni di tonnellate di plastica prodotte ogni anno nel mondo, un quinto è da attribuire alla moda.
Da dove viene tutta questa plastica? Principalmente dai tessuti sintetici derivati dal petrolio, come poliestere, nylon, elastan (per esempio lo Spandex), neoprene e viscosa. Due terzi dei nostri vestiti contengono fibre petrolchimiche. Come la plastica, anche questi materiali sintetici non sono biodegradabili, e ogni volta che facciamo una lavatrice, circa un milione di microfibre di plastica vengono rilasciate da questi tessuti e scaricate nelle nostre acque. I tessuti petrolchimici vengono usati perlopiù nella fast fashion (da marchi come Zara, H&M e Forever 21), ma se ne fa un discreto uso anche negli abiti da red carpet, soprattutto l’elastan, che conferisce a vestiti e lingerie stile Spanx la loro elasticità.
I tessuti tossici della moda
E poi c’è il PVC, o polivinilcloruro, che Greenpeace chiama “il veleno delle plastiche” ed è stato collegato a casi di cancro e infertilità. Il PVC viene usato in vari modi: paillettes, vinile, tacchi delle scarpe, e l’interno in plastica dei manici delle borse. È vero, la haute couture dà lavoro ad artigiani di talento, porta avanti bellissime lavorazioni tradizionali a mano che, senza gli ordini legati ai red carpet, andrebbero probabilmente perdute, e produce pezzi che continuano a vivere in archivi o musei.
Ma quanti marchi di lusso calcolano l’impronta ambientale dei loro red carpet con la stessa cura con cui si segnano (per poi vantarsene) le ore investite nelle loro creazioni di alto artigianato? Considerato il numero di paillettes che abbiamo visto brillare sotto i riflettori degli Oscar quest’anno, scommetto che non sono molti.
“L’economia della moda non è ancora pronta ad essere completamente sostenibile” afferma la stilista Elizabeth Stewart, che ha tra le sue clienti Cate Blanchett e Julia Roberts. “Dobbiamo solo mostrare la strada giusta, e seguire quella direzione”. Ecco alcuni modi per rendere gli abiti da red carpet più eco-responsabili.
Indossare gli abiti più volte
Cate Blanchett – che ha fatto degli outfit già indossati un punto di forza delle sue apparizioni durante la stagione dei premi 2023 – sostiene da anni la causa del riuso degli stessi abiti per più di un evento. Ha fatto shopping nel suo guardaroba anziché ricorrere a nuovi vestiti quando è stata Presidente della giuria alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2020, e l’anno scorso a Cannes ha intelligentemente modificato un abito Alexander McQueen ricamato che aveva indossato ai BAFTA 2016, sostituendo la lunga gonna di piume con dei pantaloni.
Anche Kate, Principessa del Galles, ama reindossare pezzi del suo guardaroba, in versione rinnovata: è quello che si può chiamare Riuso Reale. Prendete per esempio il suo look di quest’anno ai BAFTA: un abito monospalla di Alexander McQueen con lunghi guanti neri; se l’era già messo per lo stesso evento nel 2019, portato a spalle nude, con un’applicazione floreale sulla spalla e un braccialetto di diamanti. Lo stesso si può fare con gli accessori: Viola Davis ha un paio di scarpe col tacco di Stuart Weitzman che ha indossato su più di un red carpet.
“Quando scopri che i consumatori comprano 80 miliardi di vestiti e accessori all’anno, con un aumento del 400% rispetto a 10 anni fa, ti accorgi che questo sistema non va bene per il pianeta o per l’umanità” dice Blanchett a THR. “Indossare di nuovo qualcosa che già possiedi è un modo semplice per risolvere il problema”.
Ricorrere alla moda del vintage
Secondo le Nazioni Unite, l’85% di tutti i vestiti finisce nella spazzatura. La Ellen MacArthur Foundation riporta che l’equivalente del carico di un camion viene mandato in discarica o incenerito ogni secondo. Come combattere al meglio questa tendenza? Indossando abiti di seconda mano.
Agli Oscar di quest’anno, Blanchett ha scelto una sgargiante blusa color zaffiro dall’archivio Louis Vuitton, invece che ordinare una nuova creazione. E uno dei registi di Everything Everywhere All at Once, Daniel Scheinert, ha comprato il suo smoking degli Oscar da Unclaimed Baggage, un negozio di Scottsboro, in Alabama, che vende oggetti presi da bagagli che non si sono più riuniti con i loro proprietari (Scheinert è di Birmingham, a due ore di auto da Scottsboro).
“Il miglior modo garantito per compensare al massimo la propria impronta ambientale è comprare qualcosa di seconda mano localmente, invece che farselo spedire dall’altra parte del mondo” sostiene Cameron Silver, proprietario di Decades, una boutique di alta moda vintage di Los Angeles. “Si ha il vantaggio di avere qualcosa che è probabilmente unico nel suo genere, e che emana grande energia, dato che è stato presumibilmente indossato ad un evento speciale. Quindi non solo fa bene all’ambiente, ma crea anche buone vibrazioni”.
Scegliere stilisti attenti all’ambiente
Heidi Klum si è rivolta allo stilista olandese Ronald van der Kamp, attento alla sostenibilità, per il suo look ai Green Carpet Fashion Awards a marzo: una giacca corta in principe di Galles, una minigonna jeans ricondizionata e scarpe col tacco realizzate con bandiere USA riciclate.
“Ronald lo fa da anni” afferma la direttrice dei Green Carpet Fashion Awards Livia Firth, co-fondatrice e direttrice creativa della società di consulenza Eco-Age e del Green Carpet Challenge Style Handbook. “È molto importante sostenere gli stilisti indipendenti che cercano di fare la differenza”.
Evitare le paillettes di plastica
Oltre ad essere fatte di PVC tossico, non sono mai biodegradabili. Per fortuna, delle startup tecnologiche nel campo della moda stanno proponendo delle alternative. Sulla copertina di aprile di Vogue, Cara Delevingne indossa una tuta di Stella McCartney fatta di BioSequins, delle paillettes vegetali in cellulosa prive di plastica, non tossiche e biodegradabili, create da Radiant Matter.
Le BioSequins “sono persino più stupefacenti delle opzioni tradizionali” spiega McCartney. “Chi l’ha detto che la sostenibilità non può essere sexy?”.
Preferire tessuti amici del pianeta
Il lino viene dall’agricoltura pluviale, il cotone biologico è privo di pesticidi. E poi c’è il Tencel, un tessuto sintetico di origine biologica, simile alla seta. Per gli Oscar, le ambasciatrici di RCGD Global Bailey Bass e Chloe East hanno optato per il Tencel, Bass in un abito a colonna di Zac Posen, e East in un vestito da ballo nero senza spalline di Monique Lhuillier.
“Molte celebrità stanno adottando uno stile di vita più sostenibile,” sostiene Suzy Amis Cameron, co-fondatrice di RCGD Global, che ha realizzato una guida gratuita per vestirsi in modo ecologico. “È un percorso che ci riguarda tutti.”
Dana Thomas è l’autrice di Fashionopolis: Why What We Wear Matters e del podcast e della newsletter The Green Dream, che si occupano di eleganza sostenibile.
Traduzione di Nadia Cazzaniga
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