Mi diceva l’altro giorno un amico geniale – è sempre bellissimo avere un’amica/o geniale, riporta a terra e indica il cielo: mi auguro che tutti ne abbiate uno o possiate procurarvelo, va bene anche un amico immaginario. Mi diceva, questo amico che è di carne e d’ossa: non capisco quelli che dicono il cinema è “lo specchio della realtà”, la moda è “quasi un’arte”, la musica è una lieta “distrazione” dalle pene della vita.
Cioè, diceva: non capisco queste definizioni per approssimazione, riflesso, sottrazione. Che cos’altro è, la vita, se non quello che vediamo sugli schermi e dunque costruisce le nostre fantasie, abita i nostri sogni. Quello che indossiamo, o vorremmo indossare, per esserne definiti. Quello che ascoltiamo, che mettiamo in cuffia perché nessun altro suono se non quello che abbiamo scelto ci accompagni nel viaggio – che è anche un viaggio di dolore, mica solo di fuga dalle pene. Il cinema, la moda, la musica sono la vita: sono arte, sono corpo, sono pensiero, sono realtà.
E’ tanto vero questo che cinema serie tv moda e musica hanno stretto da tempo fra loro un sodalizio, mi vien da dire a nostra insaputa. Mentre noi siamo qui a distinguere, classificare, chiudere ogni cosa in una definizione cartesiana loro – i pezzi della vita – si sono alleati e hanno costruito la casa dove tutti abitiamo. Lo spazio e il tempo in cui ci muoviamo. Le star del cinema sono sovente anche musicisti/e, sono quasi sempre testimonial di una linea di moda o ne hanno una in proprio. I musicisti producono cinema, recitano, indossano sneakers che hanno disegnato, sono chiamati a far da direttore creativo di questo o quello stilista che poi, lo stilista, a sua volta realizza gli abiti che gli attori indossano, nelle serie di massimo successo mondiale o a casa loro, per strada.
Il denaro che un tempo era distribuito in settori più vari e alimentava la cultura popolare (l’editoria, il teatro, la tv, un lungo elenco) oggi è concentrato quasi esclusivamente lì, al crocevia fra i tre grandi alleati. Sono milionari i compensi delle star, sono stratosferici gli ingaggi, sono proibitivi i costi degli oggetti del desiderio perché è così che funziona il desiderio. E’ come l’attesa: un motore. Tanto più è inaccessibile, remoto nel tempo e forse irraggiungibile quello che ami tanto più forte è la tensione, la spinta, l’ostinazione.
Mentre chi governa e amministra dibatte sulla legittimità delle coppie omogenitoriali, mentre le procure cancellano per decreto del tribunale uno dei due genitori di un bambino, la legge si arrovella a stabilire chi possa dirsi madre o padre, a che condizione, seguendo quali procedure. Mentre insomma, un passo indietro, la politica prova a mettere un freno alla realtà (non si capisce mai bene in nome di cosa, a nome di chi) la realtà medesima corre veloce e le dà due giri di pista.
Nella settimana dei Pride abbiamo dedicato la nostra copertina digitale a una storia, una sola, che ogni storia è mondo. Levi Riso in sella alla sua Harley Davidson, con un mantello rosa sontuoso e scarpe rosse lucenti: Levi, che era Sebastiano. Stella nel firmamento dell’arte cinematografica, Levi racconta cosa sono stati gli anni del suo viaggio di transizione e cosa è oggi la sua vita, quali i suoi progetti. “Sono sempre io – dice. Non rinnego neppure un momento, ogni istante vissuto mi ha portato qui. Sono un’altra, sono la stessa”.
In quegli stessi giorni Pier Paolo Piccioli, direttore creativo di Valentino, ha presentato la sua nuova collezione uomo alla Statale di Milano. Due dei modelli indossavano la gonna, sotto giacche di perfetta e antica tradizione sartoriale e camicie di impeccabile fattura. La grande tradizione dell’alta sartoria ma i colori, i dettagli, gli accessori e dire: siamo altrove, siamo nel passato e nel presente, quello è il futuro. Due gonne, quasi indistinguibili dagli shorts estivi, due leggerissime gonne maschili hanno suscitato in conferenza stampa domande (non molte, anzi direi una ma ripetuta e veemente) di perplessità e dissenso.
Piccioli ha scritto, in un lungo post sui suoi profili, di essersi chiesto cosa susciti tanto spavento in un uomo con la gonna. Un semplice pezzo di stoffa, eppure. Credo che “il fastidio sia dato dallo smantellamento dell’abito del potere, del completo dell’uomo che non deve chiedere mai”, ha scritto. “Non credo che i vestiti abbiano un genere, i vestiti non pensano non agiscono non riflettono. I vestiti sono una libera scelta di chi li indossa e niente di più. Non mi piace il perbenismo violento, la necessità di incasellare tutto in scatole, la ricerca del nemico a tutti i costi. Nessuno dovrebbe essere costretto a vestirsi in un modo solo per adattarsi a un mondo che non esiste più”.
Le scatole, la libertà, la violenza del diktat sociale: e della legge, aggiungo. La realtà che esiste e quella che non esiste più. Il mantello rosa e le scarpe rosse di Levi, il suo cinema, i bambini resi orfani per legge, quelli che non si possono adottare perché hanno diritto a una famiglia tradizionale (esiste? Non esiste più? Esiste un pezzo di tradizione, la giacca, sopra una gonna?).
Le star della musica e del cinema che indossano abiti senza chiedere a quale genere appartengono, perché appartengono al genere del desiderio. La musica, la moda, il cinema. Le piazze delle libertà. Se non è questa, la vita reale, allora quale.
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