“Ho letto il testo di Zeller qualche anno fa. Me l’ha mandato un’amica per farmelo leggere. ‘Ho pensato a te perché sei perfetta per questa parte’ mi disse. E in effetti è proprio nelle mie corde profonde di attrice. È un personaggio che passa attraverso stati emotivi molto diversi tra loro”. Lunetta Savino è Anna ne La madre, adattamento teatrale di La Mère, prima pièce della trilogia firmata dal drammaturgo francese Florian Zeller, che ha portato l’attrice pugliese in giro per l’Italia – dal 28 al 30 aprile Savino sarà a Faenza al Teatro Angelo Masini – per la regia di Marcello Cotugno.
“Il pubblico può pensare che sia una commedia. Zeller la definisce una black comedy. È molto diversa, se vogliamo, sia da Il padre che da Il figlio (secondo e terzo capitolo della trilogia, entrambi adattati per il grande schermo, ndr)”, continua l’attrice. “Se sei un’interprete che sa usare i tempi comici, il pubblico ride, nel dialogo iniziale con mio marito. Ma è una risata a denti stretti perché poi ci si addentra nel malessere di questa donna, di questa madre profondamente sola, che si sente abbandonata da tutti. Soprattutto dal figlio maschio, che lei adora ma per cui nutre un amore soffocante”.
La maternità secondo Florian Zeller
L’Anna di Lunetta Savino è una madre ossessionata da una realtà multipla, una sorta di multiverso della mente, in cui le realtà si sdoppiano creando un’illusione di autenticità costante in tutti i piani narrativi. “I personaggi di questa storia sono come sono gli essere umani, tra luci e ombre. Ma, come negli altri testi, tutto ruota intorno a lei. È il suo punto di vista, il suo sguardo. Ci sono molte scene delle quali non sappiamo se siano proiezioni della sua mente e dei suoi incubi”.
È da qui che parte La madre per indagare con acutezza il tema dell’amore materno e le possibili derive patologiche a cui può condurre. La partenza del figlio, ormai adulto, viene vissuta dalla donna come un vero e proprio tradimento, come abbandono del nido, a cui si aggiunge la fine dell’amore coniugale.
“Zeller ci descrive una madre che stravede per il figlio maschio ma che ha una grande antipatia verso la figlia femmina. ‘Me ne sono accorta da quando è nata che era antipatica’ dice a un certo punto. Si ride ma dici ‘caspita, è terribile’. Non ha freni inibitori, tira fuori i suoi pensieri più nascosti. Cosa che difficilmente avviene”, sottolinea l’attrice che mette in scena una figura femminile e materna fuori dalle rappresentazioni rassicuranti.
Lunetta Savino, madre tra luci e ombre
“Da Catania fino al Veneto e l’Emilia Romagna ho avuto sempre un riscontro molto forte. Molte donne sono venute da me dicendomi: ‘Ho pianto tutto il tempo’ o ‘Mi sono riconosciuta nel tuo personaggio’. Ma quasi con un certo pudore nel farlo, perché questa madre ha diverse ombre”.
La responsabilità di questa solitudine non sta forse anche nell’aver rinunciato alla vita? Abdicare ai sogni, alle speranze e ai desideri unicamente per dedicarsi al proprio unico figlio maschio su cui riversare frustrazioni, rimorsi e ideali d’amore, non è forse un cammino che inclina pericolosamente verso la disperazione? È questa la domanda centrale nella pièce di Zeller.
“È una donna che soffre, anche perché si è messa quasi da sola in questo angolo. Le responsabilità in questa storia le hanno un po’ tutti, compresa lei che non ha trovato uno spazio esterno alla famiglia. Ma Zeller non vuole dare messaggi o lezioni. I grandi autori non fanno questo. Pongono domande, ma non danno risposte”.
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