Le sfilate che si sono appena concluse durante Pitti Uomo a Firenze e a Milano per la Milano Fashion Week dedicate all’abbigliamento maschile dell’inverno 2025 hanno tracciato un quadro decisamente critico del panorama della moda, sollevando molte domande e dando alcune risposte molto interessanti. Il 2023 è stato per il comparto del lusso italiano un anno cominciato bene e finito molto male, con cali del 7,2 % rispetto all’anno precedente e previsioni per il 2024 non esattamente incoraggianti. Le cause sono molteplici e incontrollabili: la guerra in Ucraina e a Gaza, la bolla immobiliare cinese e infine la crescita dell’inflazione in Italia che rende le esportazioni, soprattutto quelle verso il mercato americano, meno competitive. Dopo un 2022 esplosivo le aspettative di tutti si sono notevolmente ridimensionate e questo, in termini di prodotto, ha fatto cambiare tutto.
Ritorno alla classicità
Il pensiero dominante degli uffici marketing e design è stato spingere un ritorno alla classicità, al gusto sartoriale, alle cose fatte bene e durature, trasformando i vestiti in una specie di bene rifugio in cui investire i pochi soldi rimanenti, cercando di stare molto lontani da ogni distrazione o eccesso estetico. Una ricetta che ha avuto una sua eccellente messa in scena nella serie Succession, vincitrice come migliore serie televisiva drammatica agli ultimi Golden Globes, che parla di una ricchissima famiglia disfunzionale con un gusto del vestire tanto tradizionalista e retrivo quanto le proprie vedute politiche e scelte etiche.
Mentre per un lungo periodo si è parlato di fluidità e di abbattimento delle barriere di genere, in questo momento sembra esserci un movimento controriformista, reazionario che spera di riportare ognuno al suo posto e tutti insieme ai box di partenza.
Per quasi tutti i brand che hanno sfilato tra Firenze e Milano questo è stato il tema da affrontare ma le elaborazioni sono state molto diverse tra loro, alcune rimanendo sulla superficie del problema, altre esplorandolo a fondo fino a tirarne fuori il lato più rigenerante e quindi più nuovo.
Sabato De Sarno, nuovo direttore creativo di Gucci, è stato tra tutti il più risoluto. Ha tolto di mezzo ogni stimolo sensoriale, ogni traccia di emotività che il brand aveva accumulato durante gli anni del suo predecessore, Alessandro Michele, e sta cercando di creare da zero un nuovo linguaggio, più composto, serio e sicuro. È tutto semplificato e comprensibile, tutto classico e già visto, tutto un po’ noioso ma rassicurante, mettibile, commerciale, vendibile. Una scelta che ha comportato una frattura profonda con il Gucci che tutti conoscevamo e che ancora non sappiamo se il mercato accetterà.
Minimalismo (quasi ascetico)
Prada, guidato da Miuccia Prada e Raf Simons, è un brand che da sempre, contrariamente a Gucci, sta alle radici del minimalismo ma che nella sua storia ha avuto anche lunghi momenti di esagerazione massimalista e di eccentricità. L’arrivo di Raf Simons li ha cancellati, portando il nucleo di Prada verso un distacco freddo e quasi ascetico, tipico della cultura belga da cui il designer proviene. In questa collezione i pezzi forti del vestire maschile come giacche, camicie, pantaloni, cravatte e cappotti sono talmente ridotti all’osso da perdere il loro storico significato borghese e patriarcale.
Non sono più simboli di potere ma si aprono alle generazioni più giovani e diventano semplici oggetti del vestire, dinamici e nuovi. Ottimisti.
Moda ad alto tasso di erotismo
Anche Dolce & Gabbana si sono sbarazzati delle stampe colorate e dei riferimenti alla Sicilia per ritrovare le loro origini minimaliste dei primi anni ’90. Con una collezione quasi completamente nera, hanno riportato al centro del loro discorso la sartorialità maschile disseminandola di un altissimo tasso di erotismo che non tradisce il loro DNA ed esplora forse il più grande rimosso esistente quando si parla di moda maschile: il sesso.
Per Fendi, Silvia Venturini Fendi, ha pensato di riesaminare i classici degli aristocratici inglesi in campagna: tessuti tweed, motivi tartan, giacche cerate Barbour, trench in cotone color kaki. Anche questi sono capi di abbigliamento che abbiamo visto centinaia di volte e che in qualche modo sono così conosciuti da essere diventati trasparenti, non più percepibili.
Contrariamente ai suoi colleghi, Venturini Fendi ha mantenuto l’impatto dei colori e delle texture dei tessuti, visibili e brillanti, per trovare una via diversa, più calda e accogliente. La sua collezione è stata un modo per ricordare che non è sempre necessario togliere tutto per arrivare all’essenza delle cose.
Molto interessante il percorso intrapreso ormai da tempo da Zegna che, con alla guida Alessandro Sartori, si è presa la libertà di abbandonare completamente il classico linguaggio maschile fatto di rigidità e formalismo, per decostruirlo, ammorbidirlo, renderlo dolce, quasi tenero. Un esperimento riuscito che ha reso possibile la quotazione della società alla Borsa di New York con uno straordinario successo. Vedere sfilare gli uomini (e le donne) di Sartori restituisce un’idea molto precisa di come il maschile può diventare un aggettivo con attributi fino ad oggi impensabili. Un modo per raccontare una mascolinità non tossica ma anzi aperta al cambiamento.
Generazioni emergenti
Poi ci sono i nuovi designer, le generazioni emergenti che hanno punti di vista molto più radicali e per questo estremamente interessanti, forse anche risolutivi. Il primo di tutti è Luca Magliano, guest designer di Pitti Uomo, che l’anno scorso è stato premiato dal gruppo LVMH con il prestigioso premio Karl Lagerfeld.
Magliano, 36 anni, ha fondato il suo marchio a Bologna nel 2016 ed è presto diventato un solido riferimento nella moda maschile (posto che questo aggettivo sta diventando sempre più labile). Anche lui ha un impianto classico ma è sformato, sovrapposto, acciaccato, scomposto. Perdendo completamente ogni rigidità, le collezioni di Magliano parlano di un gruppo di poetici outsider che non vogliono entrare nei giochi di potere maschili ma sentono il bisogno costruire una credibile alternativa ai margini del sociale e della moda. È una critica aperta a tutto ciò che è mainstream e dominante, una forma di resistenza con un sottofondo politico che riesce sempre anche ad emozionare.
Setchu (da Wayo Setchu che in giapponese vuol dire compromesso tra Oriente e Occidente) è disegnato da Satoshi Kuwata e l’anno scorso è stato il vincitore dell’LVMH Prize, il premio per talenti emergenti più importante al mondo. Di origine giapponese si è da tempo stabilito in Italia e lavora cercando la perfetta fusione tra classicismo europeo e volontà di decostruzione giapponese.
Anche per Setchu la differenza tra maschile e femminile è quasi impercettibile e gli abiti vengono costruiti con una libertà espressiva che li rende trasformabili, intercambiabili. Strani oggetti del desiderio che raccontano, anche in questo caso, una storia nuova.
Quando la moda è semplicità geometrica
L’ultimo è Mordecai, brand nuovissimo, lanciato nel febbraio 2023 da Ludovico Bruno con alle spalle una grande esperienza di lavoro da brand come Moncler. C’è anche qui una profonda influenza del vestire giapponese, della semplicità geometrica dei kimono, che rende lo sportswear di Mordecai fluido e spontaneo, senza costrizioni e senza distinzioni di genere. Il tragitto della moda maschile sembra quindi un tentativo di sfuggire alle restrizioni, alle regole, alle imposizioni di categorie ottocentesche. In molti stanno, forse per la prima volta, cercando una strada profonda per ripensare un linguaggio vecchio di secoli che ormai ha perso ogni significato e trasformarlo in qualcosa di nuovo, di contemporaneo.
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