Come nell’episodio della morte di Logan Roy la notizia arriva sui telefoni di tutti, simultaneamente: interrompe in trattative d’affari e convegni carnali, esami di stato e partitelle di fine campionato scolastico, arriva negli uffici nei letti degli amanti nella fila alla cassa supermercato. “Berlusconi è morto”. È un momento di sospensione nella vita di tutti, in tutto il Paese. La prima reazione di ognuno è: sei sicuro? I ragazzi che studiano fuori chiamano i genitori dall’estero: è vero? A nessuno sembrava possibile, i fondatori di mondi non muoiono. Chi l’ha visto, chi era con lui? Chi conferma? I medici. L’ospedale conferma. Silvio Berlusconi è morto. Aveva 86 anni. Soffriva di leucemia. Lascia una famiglia molto numerosa, confidenti e assistenti in gran numero, un numero consistente di vedove, cinque figli nessuno dei quali all’altezza del padre – la primogenita forse, Marina, ma è una donna in un paese patriarcale e maschilista. Lascia un partito politico, Forza Italia, un nome che è un’esortazione a non mollare, destinato a scomparire senza di lui.
Lascia un Paese che gli somiglia
Lascia un governo di destra che ha contribuito a creare, un Paese che in fondo gli somiglia, una sinistra orfana del suo principale nemico. Lascia un impero economico senza pari fondato dal niente: era figlio di un impiegato e di una casalinga. Patrimonio personale stimato da Forbes nel 2021: 7,3 miliardi di dollari. Tra i primi a fare le condoglianze Vladimir Putin: “Ho perso un amico”. Ha vinto l’Oscar, come produttore di Mediterraneo di Gabriele Salvatores, poi della Grande Bellezza di Paolo Sorrentino. Che nemesi, no?
Quattro volte presidente del Consiglio, dal 1994 al 2011 con tre interruzioni, è stato il politico rimasto in carica più a lungo, in quel ruolo, nella storia dell’Italia repubblicana. È stato imputato in oltre venti procedimenti giudiziari, è stato condannato per frode fiscale ed è per questo decaduto da senatore. È stato rieletto nel 2019, appena gli è stato possibile. Ha corso, pochi mesi fa, per diventare presidente della Repubblica. È rimasto molto deluso dal fatto di non esserci riuscito, per ostilità (anche) dei suoi ostili alleati. Si sarebbe candidato a fare il Papa, scherzava spesso, se avesse potuto. Non l’ha fatto perché non aveva i requisiti.
È entrato in politica a 58 anni. Lo ha fatto con un celebre video in cui diceva: “L’Italia è il Paese che amo”. Sosteneva che se era stato capace di rendere grande un’azienda sarebbe stato capace di governare un Paese. Nei vent’anni successivi ha in effetti cambiato la storia d’Italia, e non solo d’Italia. Nei trenta precedenti alla sua “discesa in campo” aveva cambiato la tv, il cinema, il calcio, le regole degli affari. Aveva iniziato da una piccola emittente locale. Coi favori della sinistra, in specie del Partito socialista, aveva ottenuto con una legge fatta apposta per lui di competere con la tv pubblica, la tv di Stato.
Donne seminude e gare a premi
È iniziata, alla fine degli anni Settanta, la stagione della tv commerciale. Donne seminude e gare a premi. Ha creato un mondo di riferimento, nella cultura collettiva, che è diventato la misura di ogni cosa. Esibirsi, piacere. Soprattutto sedurre. Ha dettato la linea. È diventato patron del Milan, avere una squadra di calcio e portarla al successo gli ha garantito un’enorme popolarità. Avere la leadership delle tv private e poi una società di produzione cinematografica, Medusa, gli ha dato la possibilità di generare un immaginario. Al suo nome è legato un aggettivo: berlusconismo. Non è da tutti. Era molto simpatico, amava cantare canzoni napoletane e raccontare barzellette: aveva iniziato la sua carriera lavorando come intrattenitore nelle navi da crociera. Amava moltissimo le donne, che gratificava di denari e onori in cambio di favori, le ha portate anche in politica generando un modello. Per le donne, per averne frequentate di giovanissime, è stato oggetto di molti scandali e di qualche processo.
Era un arci-italiano, lo stereotipo dell’italiano medio e il sogno di chiunque voglia fare fortuna. Un grande cantautore, Giorgio Gaber, diceva: non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me. Parlava alle viscere, non alle menti. È stato accusato e in qualche caso condannato per reati che raccontano l’indole istintiva di un popolo. Non pagare le tasse, fare accordi con la criminalità se necessario, trattare coi più forti corrompendoli, comprare col denaro ciò che non si può comprare, persone soprattutto.
Berlusconi: fortune e illeciti
Lo chiamavano “il dottore”. Era laureato in diritto commerciale. Per prima cosa aveva fondato un’agenzia pubblicitaria. Aveva avuto l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica, aveva dovuto restituirla. È stato spregiudicato, visionario, ha certamente commesso molti illeciti, senz’altro anche reati. Ha fatto la fortuna di moltissimi, la disgrazia di altrettanti. Per sé, una fortuna. Ha capito dove andava il mondo prima di quasi tutti gli altri, lo ha messo a profitto: ha fatto diventare il mondo quel che lui voleva.
Tutti hanno dovuto fare i conti con lui, tutti hanno provato a eliminarlo. Aveva l’ossessione della salute fisica, dell’aspetto estetico: generazioni di medici hanno curato la sua conservazione. Alcuni hanno assicurato che gli avrebbero garantito di arrivare a 120 anni. Si è sottoposto a pratiche dolorosissime, nel tentativo. Ha concluso la sua parabola come l’aveva iniziata: con un video. Nel primo, a metà degli anni Novanta, aveva tutti i capelli e diceva io farò grande questo Paese. Gli hanno creduto. Nell’ultimo, poche settimane fa, i capelli nel frattempo perduti li aveva impiantati di nuovo e diceva: sono sempre qui, sono ancora io il vostro leader, non avrete nessuno al di fuori di me. Ma era molto malato, visibilmente alla fine. È stato crudele, fargli fare quel video già funebre – hanno detto in tanti. Sono state le donne rapaci– hanno detto altrettanti. Le donne che lo hanno sempre sedotto, lui Grande Seduttore, e che alla fine hanno deciso per lui. Aveva sposato per finta un’ultima moglie, alla fine. Per finta: una cerimonia senza valore legale. I figli, i cinque figli legittimi, temevano attentati all’asse ereditario e hanno sventato il vero matrimonio.
Tutti orfani, amici e nemici
Ma non si ereditano, l’indole e la fame di successo di Logan Roy: la sua spregiudicatezza, la sua capacità di restare in sella comunque, il suo cinismo, il suo intuito. Si resta tutti orfani: amici e nemici, parenti ed estranei. Ci sarà una serie tv, non così presto ma senz’altro presto. Una Succession che racconti l’uomo che andava in Dacia con Putin e a cena con Trump, che invitava in Villa gli avversari politici e i concorrenti in tv per dire loro bravo, sei bravo, vuoi venire con me?: io ti pago di più. Io farò la tua fortuna, perché amo il talento. Non tutti sono andati, alcuni sì.
Ci saranno funerali di Stato nel duomo di Milano, la sua città. Li celebrerà il vecchio Presidente della Repubblica italiano, quello che voleva essere lui e non è stato. Finisce una lunga epoca. Finisce una stagione tv, e non c’è sequel possibile. Bisogna chiuderla qui, per il dispiacere e il sollievo di tanti. Verrà un altro tempo, un altro copione. Questo, è finito.
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