Non si dica che Beppe Fiorello sia stato rubato alla Rai, perché Mediaset “non tiene in ostaggio nessuno”. L’attore sarà il prossimo volto de I fratelli Corsaro, la fiction di Canale5 adattamento della saga di romanzi dello scrittore palermitano Salvo Toscano, nel ruolo del giornalista di “nera” Fabrizio Corsaro (al suo fianco, Paolo Briguglia). Padre dell’operazione, che porta a Mediaset il volto “storico” della fiction Rai (18 anni e 21 fiction di onorato servizio sul primo canale) è Daniele Cesarano, dal 2016 capostruttura della fiction Mediaset, tra gli ospiti dell’Audio-Visual Producers Summit 2023 di Trieste.
La fiction Mediaset nel passaggio di testimone da Silvio Berlusconi al figlio Piersilvio: continuità o rottura?
Vogliamo consolidare la produzione delle fiction. Non abbiamo una prima serata ogni quattro giorni, come la Rai. Ne abbiamo una e ci dedichiamo a quella, che è più che sufficiente. Produciamo nel complesso più di trentacinque serate, senza considerare luglio e agosto, e i posti in cui metterle in palinsesto non sono tantissimi: solo il mercoledì e il venerdì, dove non c’è la fiction Rai. Se aumentassimo i volumi finiremmo per scontrarci. Ma per quello ci vuole ancora un po’. Non vedo l’ora, ma ci vuole ancora un po’.
Come pensa si sia trasformata la fiction Mediaset?
Fino al 2010 la principale fiction italiana era quella Mediaset. Anche dal punto di vista dell’innovazione e dell’esplorazione linguistica era la più avanti di tutte. Da lì sono usciti autori come Stefano Bises, che poi ha fatto Gomorra, e Leonardo Fasoli che ha lavorato in ZeroZeroZero. Io stesso sono stato tra gli sceneggiatori di Suburra. Poi Mediaset ha deciso di orientarsi di più sull’intrattenimento, e la Rai si è conquistata la fiction.
Voi, invece, siete riusciti a “prendere” Beppe Fiorello.
“Preso” è un termine brutto. Non abbiamo catturato Beppe Fiorello. I talent della tv generalista sono quanti? Quindici? Venti? Trenta? Quelli realmente famosi sono pochi e si muovono tra le varie produzioni. Raoul Bova, che fa le serie con noi, è passato in Rai con Don Matteo, ed è solo uno degli esempi. L’esclusività di un volto ormai è rara. Quindi no, non abbiamo preso Beppe Fiorello all’asta: gli abbiamo solo presentato un progetto per cui si è mostrato interessato.
Cosa serve alla fiction Mediaset? Vi manca una serie evento?
L’obiettivo fondamentale in questo momento è piantare le radici del prodotto, fidelizzare il pubblico. Oggi tutto è molto “eventizzato”, soprattutto dalle piattaforme. Rischi di far passare come un “wow” una serie che, poi, è semplicemente nella media. Noi vogliamo conservare la fiducia dei nostri spettatori. Se si volesse tentare una serie evento, bisognerebbe trovare un brand da evento e dei soldi da evento.
Per esempio?
Il Trono di Spade è una serie multi-stagionale che è diventata un evento. Montalbano è un evento. L’evento è one shot, un unico colpo. Purtroppo non lo puoi sapere prima. Prendiamo Distretto di polizia: quando andò in onda non eravamo sicuri avrebbe fatto il botto.
Non cercate l’effetto Mare Fuori?
Tutti parlano di Mare Fuori, che è un bellissimo prodotto. Ma bisognerebbe studiare come è saltato fuori. La prima stagione la paga Rai2 e fa ascolti medio-bassi. Poi va su Raiplay. La seconda viene sempre finanziata da Rai2, e fa il botto su RaiPlay. A quel punto si accende l’interesse, Netflix lo vede, lo prende e gli dà luce sulla piattaforma. Ma la catena è: Rai paga, RaiPlay ne usufruisce, Netflix paga una quota. Rai ha fatto così con altri titoli andati bene, da Rocco Schiavone a Il cacciatore, ma nessuno è diventato Mare Fuori. Se su una serie di titoli solo uno esplode sulla piattaforme, forse non va bene. Più che voler fare il nuovo Mare Fuori, a questo punto, bisognerebbe incrementare quel modello di business, capire come farlo fruttare meglio.
Delle piattaforme cosa pensa?
Il vero problema delle tv generaliste, un po’ meno oggi, sono stati gli attori. Gente che, pur di lavorare con una piattaforma, avrebbe fatto carte false. Volevano le piattaforme per fare cose che gli sembravano più belle. Forse lo sono state, forse no. Non farò nomi. Peccato che in quella magica bolla in cui abitano, hanno fatto film e serie che hanno visto solo loro. Fuori, nessuno. A un certo punto le piattaforme hanno visto i dati di ascolto, e a quegli stessi attori hanno cominciato a chiedere di fare un prodotto mainstream. Tutti pensavano di lavorare con la piattaforma per fare storie che non venivano prodotte altrove. Oggi lì vedi cose già fatte altrove, ma con un po’ più di soldi. Non c’è specificità di racconto. Tanto che le uniche vere produzioni di cui vale la pena parlare sono quelle della HBO, o BBC.
Serie come The White Lotus, con un cast (anche) italiano, che comunque all’Italia portano denaro….
Dicono tutti che l’Italia è un bellissimo paese, “siamo contenti di venire qui, portiamo un sacco di ricchezza”. Ma dove la portate? Negli alberghi? Cosa avete dato al sistema Italia? Vero, avete usato quattro attori italiani, va bene (riferendosi a The White Lotus, ndr). Anche le maestranze, ottimo. Però? Se tu non venivi qui, e quelle risorse andavano a un prodotto come I Leoni di Sicilia, che è italiano, sulla filiera ci sarebbe stata la stessa identica ripercussione in termini di valore.
Non le piace nessuna serie italiana su piattaforma?
The Bad Guy è la serie italiana più bella che si sia mai fatta. Però chiederei a Davide Nardini (Head of Scripted Amazon Originals per l’Italia, ndr) come mai non ha prodotto ancora la seconda stagione. Se si guardano i dati di ascolto di Sky, direi che le cose che vanno per la maggiore quali sono? Petra? I delitti del BarLume? Racconti iper-mainstream, che fanno grandi numeri. Gli altri, quelle cifre, non le fanno.
Avete mai pensato al remake di qualche cavallo di battaglia? Da Fantaghirò a I Cesaroni, recentemente approdato su Netflix.
Sì, stiamo riflettendo sul recupero di vecchi brand. Non dico che non lo faremo mai, o che lo faremo presto. È un tema. Ma non è semplice. Oggi non puoi girare Fantaghirò con Kim Rossi Stuart, al massimo da lui puoi ottenere un cameo. Ma se si rifacesse, la serie sarebbe un’altra cosa rispetto a prima: è impossibile replicarla. Per I Cesaroni sarebbe difficile trovarne gli attori. Quelli originali erano la forza trainante della fiction.
E una serie su Silvio Berlusconi?
La cosa interessante di questa domanda è che, lo posso giurare, nonostante tutti me lo chiedano, nessuno ha proposto una serie simile. Ad oggi nessuno me l’ha neanche richiesta. Ma tutti, e dico tutti, me lo stanno chiedendo. Il mondo fuori è convinto, sento “Ora la farete questa serie”. Ma nel mondo Mediaset nessuno ne parla. La mia opinione è che non si farà. Non c’è stata richiesta da parte dell’azienda e nemmeno, ripeto, una proposta del mercato. Mi colpisce moltio il fatto che nesuno rifletta sul fatto che in mezzo a questa storia ci siano dei figli che hanno perso un padre. Non credo che a un mese dal lutto il primo pensiero dell’azienda sia quello di produrre una serie. Nonostante io sia cinico, a volte mi sorprendo del cinismo del mercato. Capisco che si possa pensare che avrebbe successo. Ma che si possa credere che Piersilvio stia pensando di specularci mi lascia sconcertato.
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