Nell’ultima scena di una vita da film, ogni cosa è andata come da copione. E così, sul grande set allestito tra Arcore e Piazza Duomo, nulla è stato lasciato al caso. Fotografi, telecamere, tv appese sulle colonne della cattedrale. Maxischermi per strada. Dirette su ogni canale, in un’unica grande tv nazionale: il sogno del monopolio finalmente compiuto.
I trentatré chilometri tra Villa San Martino e la Madonnina pronti per il lungo piano sequenza del viaggio verso la cerimonia. Prima l’atrio con la Mercedes imperiale con il portabagagli alzato: il drone dall’alto, fiori bianchi sul davanzale, villette a schiera tutt’attorno, macchie di verdi praterie della Lombardia felix. Poi la bara (“prodotto artigianale di pregio”), in legno massello dell’Honduras: lo stesso che Jimi Hendrix usava per le sue chitarre. Ed è subito leggenda.
Dettaglio del cancello col doppio stemma che si apre. Auto dei carabinieri di Monza (la sua scorta di sempre) in testa al corteo di vetture. Motociclette della polizia a fare strada, piccoli van a vetri oscurati dietro (a bordo i cinque figli, il fratello Paolo e l’ultima dama, Marta Fascina). Ancora una macchina della polizia a chiudere la fila. Ai margini della strada una piccola folla a bordo pianura. Una nonna stringe sua nipote e allarga un piccolo striscione: “Mi consenta, Cavaliere”. Qualcuno abbassa gli occhiali da sole sul volto, qualcun altro manda baci. Viale Monza, Piazza Cinque Giornate, piazzale Loreto: tutt’attorno, Milano non si scompone nemmeno stavolta, ma non manca all’appello.
Metal detector e cecchini sui tetti
A Piazza Duomo, intanto, va in scena il rito classico del thriller politico da manuale. Varchi, metal detector, cecchini sui tetti, antiterrorismo, bonifiche, cani al guinzaglio. Finanzieri col basco, marinai col fazzoletto al collo, la Digos, l’intelligence, auricolari e radio mobili, funzionari della prefettura. Delegazioni non meglio identificate scendono in piccoli gruppi dalle auto blu. “Arrivano da tanti Paesi nel mondo”. Ma dei grandi leader internazionali, a parte il tremendo Viktor Orban e Tamin al Thani, emiro del Qatar (seduto a fianco del presidente della Repubblica), non si vede nessuno. Il PPE manda Manfred Weber e tiene a casa Roberta Metsola (a Milano qualche ora prima e poi presto ripartita, che però rilascia interviste a distanza ai tg e fa mettere la bandiera italiana davanti al Parlamento Europeo a mezz’asta). Ursula von der Leyen manda Paolo Gentiloni, che partecipa anche in qualità di ex premier e si mette in fila con Mario Draghi, Matteo Renzi e Mario Monti. Manca Enrico Letta, non è chiarissimo perché. E manca Romano Prodi, nel cuore del suo lutto terribile.
E manca Giuseppe Conte, che sceglie di firmare la sua assenza, rivendicandola e scarabocchiando per sé un ruolo da antagonista nella sceneggiatura. Compare senza clamore una delegazione del Pd, guidata da Elly Schlein in punta di piedi total black. I 1800 invitati ammessi prendono posto in basilica dopo una lunga fila. Lontanissimo dalla grande porta d’ingresso, il popolo di Silvio preme dall’altra parte delle transenne. Matteo Salvini non fa troppo rumore, entrano i presidenti di Camera e Senato. Alle 14.40 un applauso accoglie la premier Giorgia Meloni. Non passano 100 secondi e un altro applauso accoglie il presidente Sergio Mattarella.
In alto i cuori e le bandiere
Gli ultras scandiscono i tempi: scorgono il feretro che si presenta puntuale all’appuntamento con la storia. In alto i cuori e le bandiere: “C’è solo un presidente”. I sei carabinieri in alta uniforme di cui tutti parlano da ore prendono in carico la bara. Fa strada una foto in cornice di un Berlusconi splendente. Sono le 15 in punto quando l’organo inizia a suonare. A destra la famiglia: Marta Fascina, scarpe basse, sguardo perso eppure fermo. Una camicia fino al collo, una giacca scura. Un trucco che toglie trucco. Accanto a lei Marina e Piersilvio. Parlano fra loro. Sono intensi, sembrano veri e non finti, nonostante tutto. Sono le due colonne portanti su cui si scaricherà il peso della frana. Barbara, Luigi, la splendida Eleonora. Veronica Lario, nonostante tutto fermamente in fila. Maria De Filippi in camicia bianca tra i nipoti, al centro della famiglia, a sorreggere Silvia Toffanin.
Tutto il mondo Mediaset, di prima e di adesso: Giorgio Gori (che ora fa il sindaco), Chicco Mentana (che oggi dirige il tg della concorrenza), Gerry Scotti, Piero Chiambretti, Barbara d’Urso, Ilary Blasi, conduttori e conduttrici. E l’assenza di Paolo Bonolis che si fa subito mistero sul web. Il grande Milan: Franco Baresi e Pippo Inzaghi, Demetrio Albertini e Zvonimir Boban, Fabio Capello e Arrigo Sacchi. Ministre di prima (De Girolamo, Carfagna, Brambilla) e quelle di oggi (incrollabile e fedelissima Bernini). Un Paolo Barelli che non nuota, annaspa. Fa strada ad un Antonio Tajani che prova a reggere il gioco, ma non sarà suo malgrado nemmeno l’ombra. Gianni Letta, Fedele Confalonieri. Denis Verdini (che ha preso un permesso dagli arresti domiciliari), l’amico più scomodo insieme a Marcello Dell’Utri. Il rito ambrosiano è veloce: incenso, musica, preghiere in fila.
“Amare e cercare l’amore”
E nell’omelia dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini l’ultima, impressionante, assoluzione-manifesto. “Amare e desiderare di essere amato. Amare e cercare l’amore, come una promessa di vita, come una storia complicata, come una fedeltà compromessa”. Fedeltà. Compromessa. Pausa. E ancora: “Essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita. Essere contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini”. Amare le feste. Senza troppe inquietudini. Pausa. E ancora: “Quando un uomo è un uomo d’affari, allora cerca di fare affari. Ha quindi clienti e concorrenti. Si arrischia in imprese spericolate. Guarda ai numeri a non ai criteri. Deve fare affari. È un uomo d’affari e deve fare affari”.
Dovranno fare ancora affari, i Berlusconi che salutano la gente in piazza a funerale finito. Sole in tasca, per contratto. Cinquemila palloncini blu per aria dal centro di produzione di Cologno Monzese, che un tempo era Cinelandia, la Cinecittà mancata del Nord, diventata tutt’altro, quando a Berlusconi fu chiaro che il piccolo schermo poteva fruttare più del grande schermo, a saper fare bene la sponda tra azienda e politica. E in questo, come Silvio nessuno mai.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma