Il Klondike, ma in Europa. Precisamente ai piedi del Monte Rosa, nella Valle Antrona: 20 chilometri quadrati di giacimento d’oro esteso su 60 chilometri di gallerie ed estratto fino al 1961, l’anno in cui la morte sul lavoro di quattro minatori – uccisi dalla stessa dinamite che stavano trasportando – segnò la fine della corsa all’oro italiana. Noto fin dal neolitico, e sfruttato intensivamente nel corso del XIX secolo, il giacimento piemontese era diventato un’attrazione turistica, con tanto di museo aperto alle famiglie e agli escursionisti di passaggio.
Questo, almeno, finché a scoprirlo non è stata la tv.
Dove sono le pepite d’oro italiane
In onda su Dmax a giugno, prodotto dalla bolzanina Formasette, Monte Rosa – La miniera perduta sarà il primo format europeo di corsa all’oro, un genere nato in America (e dove, altrimenti?) e tuttora molto amato oltreoceano. Il reality seguirà un team di cinque persone – uno storico, un geologo, un’alpinista, uno speleologo e un esperto di sopravvivenza – impegnato, per conto di un filantropo milionario, nell’esplorazione delle miniere abbandonate, alla ricerca di una leggendaria vena d’oro.
“Ci sarà una buona dose di avventura, ma solo all’ultima puntata si scoprirà se l’oro c’è o no”, racconta il produttore Gottardo Giatti, forte dell’esperienza maturata su un’altra serie dedicata a “cercatori” compulsivi, Metal Detective. Il reality italiano prende spunto da una leggenda locale secondo cui il ventre del Monte Rosa custodirebbe, ancora oggi, dell’oro: il leggendario “filone dei Salassi” che nessuno, nei secoli, è mai riuscito a picconare.
La leggenda del tesoro dei Salassi
I Salassi erano una popolazione celtica, insediata in epoca neolitica tra le montagne al confine fra Piemonte e Val d’Aosta. Tra i primi a dedicarsi alla coltivazione e all’estrazione dell’oro, i Salassi – così vuole la leggenda – furono trucidati e venduti come schiavi dai romani, interessati a prendere il controllo della miniera.
Sfruttata su scala industriale da privati e da grandi compagnie minerarie, del Regno Sabaudo e internazionali, la miniera del Monte Rosa non fu tuttavia abbastanza generosa da permettere ai minatori di sostenere interamente i costi delle operazioni.
Eppure i continui e casuali ritrovamenti di piccole vene d’oro, pepite o pagliuzze nell’area hanno spinto gli esperti a ritenere che il leggendario filone del Salassi sia ancora intonso, nascosto da qualche parte tra le rocce, in attesa di essere ritrovato. Nella pancia del Monte Rosa, insomma, potrebbe celarsi un tesoro inestimabile.
La corsa all’oro in tv
Capostipite del genere “gold rush”, amato anche dal cinema (la prima versione de La febbre dell’oro di Charlie Chaplin è del 1925) è il reality La febbre dell’oro, trasmesso ogni mercoledì alle 22:50 da Discovery Channel, prodotto da Raw TV e arrivato con successo alla tredicesima stagione, in chiusura il prossimo 17 maggio.
Nato nel 2010, il programma mescola abilmente tre ingredienti: il miraggio della ricchezza, l’epica dell’impresa impossibile e l’ostinazione spesso cieca dei minatori, più o meno professionisti, impegnati nella ricerca. I protagonisti della prima stagione, un padre e un figlio, hanno dilapidato nell’impresa 250.000 dollari, tornando a casa dall’Alaska con appena 20.000 dollari in pepite.
Tra le location più frequentate dal programma ci sono la regione del Klondike di Dawson City, in Canada, ma anche il Sud America e il Nord America occidentale. Oltre a numerosi “aftershow” e speciali, e all’epigono Mineral Explorers – Colombia, La febbre dell’oro ha avuto anche una sua versione italiana, andata in onda su Discovery Channel dal 3 agosto 2011.
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