Quello di Priscilla è stato un vero e proprio processo di formazione creativo e personale. Il suo nome d’arte nasce dal film del 1994 Priscilla – La regina del deserto di Stephan Elliott, storia di tre drag che attraversano l’Australia. La sua ispirazione arriva con l’apparizione di RuPaul a Sanremo nel 1994, con Elton John. La presa di coscienza dell’alter-ego di Mariano Gallo, invece, arriva a circa 25 anni, dopo aver lavorato come attore teatrale, spogliarellista e corriere di materassi.
Dapprima Priscilla è un personaggio tra tanti, una maschera da indossare e svestire una volta sceso dal palco. Poi diventa qualcosa di più. Gallo tira fuori una parte di sé sconosciuta, quella femminile, da sempre interiorizzata e messa a tacere. “Priscilla sono io. Non è più un personaggio, adesso è una parte di me vera, intima, profonda, sincera. Mi ha permesso di accogliere un lato di me che prima rinnegavo” racconta a THR Roma l’interprete, presentatore ufficiale della nuova edizione di Drag Race Italia, alla festa per i tre anni di Wonty, l’agenzia di cui fa parte.
La volontà di diventare drag queen nasce dall’infanzia?
No, non ho mai pensato di fare questo. È successo tutto all’improvviso. Nel 2002 mi è arrivata una proposta di partecipare a Al posto tuo, un programma televisivo condotto da Alda D’Eusanio. Fascia protetta, primo pomeriggio, Rai 2. Mi impongono di non dichiararmi gay, di vestire i panni di una drag etero. Oggi non accetterei mai di nascondere il mio orientamento sessuale, però all’epoca l’ho fatto. Ma c’è una cosa positiva: da lì ho scoperto la passione per l’arte drag.
È anche frutto dei suoi studi di recitazione?
No, nasce dopo. Ho cominciato a studiare recitazione perché volevo fare l’attore. Nel frattempo però mantenevo gli studi universitari facendo lo spogliarellista, il go-go boy in discoteca. E poi pian piano la vita mi ha portato a fare la drag. Non l’avrei mai immaginato in vita mia, ma nel momento in cui sono salito sui tacchi, mi sono truccato, ho messo la parrucca e ho conosciuto Priscilla, me ne sono innamorato.
Priscilla è ancora un travestimento o è diventato un alter ego?
No, no, sono io. È una parte di me vera, intima, profonda, sincera. A vent’anni, se mi avessero chiesto chi è Priscilla avrei detto che era un personaggio. Perché io faccio l’attore, per me è un ruolo come tutti quelli che interpreto a teatro. Ma ora non è più così.
Una scoperta per lei stesso, quindi.
È stata una rivelazione per tutti, ma per me stesso in primis. È la mia parte femminile e viverla mi ha reso una persona più completa. Mi sento molto più equilibrato, più aperto, molto più inclusivo, meno giudicante.
Prima si definiva giudicante?
Sì, ho accolto una parte di me che prima rifiutavo. Ero un omosessuale dichiarato, ma avevo anche una profonda omofobia interiorizzata. Giudicavo tutti quegli uomini gay che non rientravano negli schemi stereotipati di mascolinità tossica.
Qual è stato il primo approccio al mondo drag che l’ha incuriosita a tal punto da intraprendere questa strada?
Quando ho cominciato non avevo il computer, non avevo mai visto uno spettacolo drag in vita mia, né live e né su internet. L’unica drag che avevo visto era RuPaul nel 1994, quando si era esibita a Sanremo con Elton John. Me la ricordo ancora, un abito verde, smeraldo, parrucca bionda. Spettacolare.
Quell’esibizione le fece capire qualcosa?
Ero rimasto profondamente colpito. Dapprima dal suo aspetto, era altissima e non poteva passare inosservata. Era la prima volta che si vedeva una drag in televisione. Solo dopo mi sono reso conto che sarebbe stato il mio primo punto di riferimento.
E poi per lei è arrivato Drag Race Italia, basato proprio su un format di RuPaul.
È un’esperienza che mi ha stravolto la vita. Prima che arrivasse la chiamata del programma, io avevo deciso di smettere. Avevo 44 anni, era appena finita la pandemia ed ero rimasto senza soldi. Non è possibile a quell’età arrivare con l’acqua alla gola a fine mese, perciò ho dovuto cercare qualcosa che mi desse un guadagno fisso, ed ho iniziato a consegnare materassi. Ero in crisi, perché dopo vent’anni che fai il lavoro dei tuoi sogni, rinunciare è pesante. Dopo pochi giorni, è arrivata la chiamata che ha cambiato tutto. Mi hanno chiesto di condurre Drag Race Italia.
Pensa sia qualcosa di cui la tv italiana aveva bisogno?
Certo. Ha cambiato la mia vita ma anche il panorama drag italiano, che aveva profondamente bisogno di essere rappresentato anche in televisione. È stata la nostra prima esposizione nazionale, e ha portato in mondovisione il nostro modo di fare drag.
Il modo di fare drag varia di paese in paese?
Cambia moltissimo, a partire dall’atteggiamento che si ha nei confronti del pubblico. Negli Stati Uniti le drag fanno televisione da quindici anni, quindi il loro obiettivo non è quello di arrivare al pubblico, perché ci sono già arrivate. Noi italiani siamo molto più propensi al rapporto con lo spettatore, all’interazione. Oltre alla bellezza, alla cura del make-up, dei costumi, delle parrucche, quello che ci sta più a cuore è il divertimento di chi ci guarda.
Il vostro è un trucco quasi cinematografico. Quanto ci vuole per prepararsi?
Due ore. La parte più difficile è la copertura delle sopracciglia, che devono essere coperte, cancellate e poi ridisegnate, ma a prova di caldo e sudore. C’è una grandissima attenzione al make up, deve resistere al caldo, ai fari e al sudore per molto tempo. Negli spettacoli, ma anche nelle registrazioni. Quando facciamo Drag Race le riprese vanno avanti per 4 o 5 ore, tempi lunghi in cui il trucco deve rimanere perfetto e intonso.
Quanto è importante la presenza di un programma come Drag Race Italia?
È fondamentale. L’arte drag è una forma d’arte, e come ogni arte non ha identità di genere, non ha orientamento sessuale, non ha stereotipi, non ha barriere. Può arrivare a chiunque e può essere fatta da chiunque, non necessariamente da persone omosessuali. Conosco drag queen eterosessuali sposate con figli, drag king, donne cisgender che fanno le drag, È una forma di espressione accessibile a tutti e per tutti. In un momento storico come quello che viviamo è fondamentale, perché sottende un profondo messaggio di libertà e di accoglienza.
Sente di star facendo qualcosa di importante prendendone parte?
Drag Race Italia non è semplicemente un programma televisivo, è una rivoluzione sociale. Ci sono concorrenti omosessuali che raccontano la loro storia, persone cacciate di casa dopo aver fatto coming out, o dopo aver detto di praticare l’arte drag. Sono storie forti, importanti, ma sono storie vere. Dietro il trucco e le paillette, c’è tutto il resto, un vissuto importante.
Ha paura che il programma possa essere censurato?
Non ho paura. Non succederà.
Perché ne è sicuro?
Nonostante la situazione politica del nostro paese, la società va avanti. Per quanto la politica ci possa mettere i bastoni tra le ruote, per quanto possiamo vivere in un clima d’odio e di intolleranza, c’è tutta una parte buona di società, nella quale io credo fortemente, che continua a evolversi. Non ci sarà vietato di essere drag. Ricollegandomi a quanto detto prima: io sono Priscilla a tutti gli effetti e nessuno mi può vietare di essere me stesso. Possono fare tutte le leggi che vogliono. Ma questo nessuno me lo può vietare.
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