Siciliano, classe 1993, Carlo Amleto Giammusso riesce perfettamente nella poliedrica impresa di essere attore, comico, musicista e cantante. E fa tutto allo stesso tempo. Ha esordito sul piccolo schermo di recente, grazie a Zelig, che l’ha reso celebre per il suo TG Zero, una parodia cantata del ritmo cantilenante dei cronisti televisivi. E con i Contenuti Zero – gruppo comico nato all’accademia Paolo Grassi di Milano, che Carlo ha frequentato – anima su Rai2 il pubblico del Bar Stella di Stefano De Martino.
Sui social è altrettanto apprezzato. Sperimenta vari format comici originali, primo tra tutti il Dottor Amleto, un medico specialista in grado di curare ogni sintomo e ogni patologia cantando, fino a creare un’atmosfera corale da musical con i suoi pazienti. A maggio 2023 il primo album, Facciamo che io ero: un tentativo di dare spazio al suo estro musicale senza abbandonare i panni di attore e umorista. E poi ancora mago, ballerino, intervistatore. Carlo Amleto si sta guadagnando il favore di molti colleghi, tra cui Brunori Sas, gli Eugenio in via di Gioia (con cui ha collaborato) e Samuele Bersani. Ma la sua ispirazione, dice, “arriva da Giorgio Gaber e Massimo Troisi”.
Si è sempre diviso tra musica e teatro, sin da bambino. Ha deciso cosa fare da grande?
È un percorso molto lungo e non credo ci sia un punto di arrivo preciso. Però mi pare un buon approccio. L’album, Facciamo che io ero, è stato un primo tentativo di mettere insieme musica e teatro, cosa che prima di allora non ero mai riuscito a fare.
Le sue sono melodie creative, ironiche ed orecchiabili, con un sottotesto riflessivo. Viene in mente Enzo Jannacci: è tra i suoi punti di riferimento?
Assolutamente sì. Mi ispiro a Jannacci e al suo teatro canzone: un’arte che mette insieme le mie due grandi passioni. Tra i miei punti di riferimento assoluti, oltre a lui, ci sono Giorgio Gaber e Elio e le storie tese, pionieri contemporanei di questo genere. Ho ascoltato tanto i loro dischi e penso che la mia musica ne sia influenzata. Ovviamente, poi, ho aggiunto le mie inclinazioni personali e la mia fantasia. Nell’album ci sono stacchetti pubblicitari, parti recitate, niente di convenzionale. È un disco che andrebbe visualizzato, immaginato, o meglio ancora visto dal vivo.
L’8 settembre chiuderà il suo tour: come sta andando?
Molto bene. Ho deciso di fare lo spettacolo proprio per “visualizzare”. L’album richiama delle situazioni che l’ascoltatore ha bisogno di inquadrare. Il live è la modalità con cui rende meglio. Mi viene da dire che è un progetto al 50% è musicale e al 50% immaginativo o creativo.
Eppure la sua formazione accademica è classica: lezioni di musica, l’accademia di recitazione. Ha sempre avuto la volontà di sperimentare?
No. Da piccolino studiavo pianoforte e dopo il liceo ho frequentato la scuola Paolo Grassi, una classica accademia di teatro. Poi con il TG Zero, sketch nato casualmente che ho avuto la fortuna di portare a Zelig, ho finalmente unito la musica alla recitazione. La gag inizia con una serie di notizie che pian piano diventano una melodia. E da lì, dopo aver ideato questo pezzo che è andato molto bene, ho avuto l’idea insieme a Pier Cortese (produttore musicale del disco) e alla mia agente Verdiana, di provare il teatro canzone.
Ha dei punti di riferimento comici?
Primo tra tutti, Massimo Troisi. È il motivo per cui ho cominciato a fare teatro. Nonostante abbia guardato e riguardato le sue micro espressioni mille volte, riesco sempre a scorgere qualche dettaglio in più e a ridere come la prima volta. Ma ho anche modelli più contemporanei, mi piacciono molto Nino Frassica e Valerio Lundini.
Ci sono film che hanno influenzato la sua comicità?
Ricomincio da tre, senza alcun dubbio. Poi Non ci resta che piangere, ma anche Pensavo fosse amore… invece era un calesse.
Tutto Troisi, praticamente.
Tutto Troisi sì (ride, ndr). Se parliamo di cinema “non comico”, però, tra i miei film preferiti c’è La leggenda del pianista sull’oceano. Poi, penso a Ray, il film sulla vita di Ray Charles, che è il motivo per cui ho iniziato a fare musica.
Facciamo che io ero, la title track dell’album, rimanda al mondo dell’infanzia. Il video è stato realizzato dal vignettista Cosimo Brunetti, con illustrazioni sue e dei suoi alunni. Come nasce l’idea?
Tutto è cominciato da un pensiero che mi faceva molto ridere: i bambini, quando devono giocare, non riescono mai a cominciare veramente a giocare. La spiegazione del gioco dura più del gioco stesso. E allora cominciano e si dicono “facciamo che io ero la regina, tu il cavaliere e incontravi la fatina” (citazione del brano, ndr).
Alla fine canta “la felicità è chiusa in un cassetto, ma a volte non la trovo, e allora me la immagino”. È un’esortazione a conservare un punto di vista da bambini?
La chiusura è un po’ malinconica, vuole far intendere che quando le cose non le abbiamo, qualche volta, possiamo immaginarle. Abbiamo la capacità di fare tutto, di rimodellare il mondo come lo vogliamo. Come fanno i bambini quando inventano i giochi.
Nel disco ha collaborato con Eugenio Cesari degli Eugenio in via di gioia, nel brano Ombelico. Con chi vorrebbe collaborare in futuro?
Adoro artisti come Daniele Silvestri o Elio e le storie tese. In Ombelico, però, il nostro riferimento musicale è stato Samuele Bersani. Se un giorno riuscissi a fare qualcosa con lui, per me sarebbe realizzare un sogno.
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