La storia di questo splendido ottantunenne che accenna passi di danza sul palco della cavea dell’Auditorium di Roma è quella di un ragazzo meticcio bahiano che voleva fare il regista ma è finito col cambiare il destino della musica del più grande paese tropicale al mondo.
Un altro mondo possibile, grazie al neorealismo
Caetano Veloso, durante quello che con tutta probabilità sarà il suo ultimo tour in Europa, parla anche stavolta della sua epifania artistica: è stato il cinema italiano a ispirarlo fin da quando, adolescente, si rifugiava nella piccola sala di Santo Amaro da Purificação, il paesino dell’entroterra del nordest brasiliano dove è nato nel 1942, per immaginare un altro mondo possibile grazie alle pellicole neorealiste italiane. Quell’amore lo ha restituito, e con gli interessi, molti decenni dopo, dedicando a Federico Fellini e Giulietta Masina (Caetano cita da sempre La strada come suo film-culto, lo vide a 15 anni e pianse di commozione tutto il giorno) un intero album registrato live al teatro di San Marino, ma anche con una canzone-visione che intona stasera votata al maestro Michelangelo Antonioni. Caetano è ancora qui, in questo intimissimo rapporto con l’arte del nostro paese, il paese da dove transitò scappando dai colonnelli, il paese che ha contribuito a creare il suo immaginario. Balla, sorride, parla nel suo italiano irresistibile e stentato, racconta sprazzi di vita, di ispirazione, ricordi, ma anche proiezioni in un presente ancora creativo, grazie anche ai ragazzi che lo accompagnano sul palco.
Il cuore pulsante del tropicalismo
L’inizio del concerto è con gli esordi di Avarandado, una bossa del suo primissimo album Domingo cantata allora con l’amata amica Gal Costa (scomparsa lo scorso anno e che Caetano ricorderà questa sera) quando nel 1967 i due divenivano il cuore pulsante, assieme a Gilberto Gil e una manciata d’altri ragazzi, della rivoluzione tropicalista in piena dittatura militare. Ma non c’è tempo per cullarsi troppo a lungo nella morbidezza della voce sempre emotiva e intonatissima di Veloso, che ecco l’immediata sferzata di Meu coco, viaggio immaginifico nella testa, il “coco”, dell’artista dal suo ultimo sorprendente lavoro omonimo, con le percussioni sghembe e gli arrangiamenti di fiati avanguardisti. Caetano si dimostra un grande mentore, portando ancora una volta sul palco una manciata di giovanissimi talenti: non più la band composta dai figli ma cinque portenti tra cui il celebratissimo Luca Nunes, una sorta di Prince carioca, già due Grammy latini all’attivo, definito genio dallo stesso Caetano. E poi il chitarrista Pretinho da Serrinha, il tastierista Rodrigo Tavares, il bassista Alberto Continentino e i mirabolanti percussionisti Tiaguinho della Serrinha e Kainã do Jeje.
Non è un concerto nostalgico, questo non accade mai con l’artista bahiano; tutto è rivisto e corretto con una solida band, la stessa che lo ha affiancato sul disco, che fa la differenza anche nella scelta dei pezzi in scaletta quando vanno a pescare nel repertorio più complesso, soprattutto quello anni settanta/ottanta di capolavori come Muito romantico.
Il Caetano virtuoso, il Caetano ultrapop
I sei trasformano il concerto in un gioco strumentale virtuoso, jazz-fusion e con accenni progressive, a tratti ad altissima intensità, mentre la centratura poetica rimarrà, monolitica, quella di Veloso, capace di dribblare tra i languori tradizionali di Desde que o samba è samba, Itapuã o O leãozinho, i pezzi sperimentali e le canzoni ultra-pop che lo hanno reso celebre: da Sampa sul suo amore tardivo per la metropoli di San Paolo ai bis con Odara di Djavan e con A luz de tieta. Impossibile resistere, e allora, come accade da cinquant’anni a questa parte ad ogni concerto di Veloso, basta un clic emotivo ed ecco la fiumana di brasiliani (e italiani) riversarsi improvvisamente sotto il palco, perché Caetano Veloso è cuore, è danza, è condivisione. Perché è patrimonio dell’umanità e tra l’umanità tutta è giusto condividerlo e cantarlo a squarciagola. Perché forse sarà l’ultima volta che lo vediamo dal vivo, ma speriamo davvero non sia così.
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