“Abbiamo fatto una delle gag più terrificanti della storia”. Meno male che Fiorello se ne è reso conto. La consapevolezza arriva purtroppo troppo tardi, durante lo speciale post festival di Viva Rai2… Viva Sanremo!, quando dall’Ariston oramai è stata scritta una delle pagine più imbarazzanti non solo dei cinque anni di conduzione e direzione artistica di Amadeus, ma dell’intera tradizione dedicata alla canzone italiana.
La povera vittima è John Travolta, l’icona di Pulp Fiction e capello gelatinato di Grease, ospite internazionale della seconda serata su Rai Uno. Protagonista di un ballo del qua qua di cui tutti siamo stati testimoni, ma di cui, secondo alcuni media, non ha firmato la liberatoria per le trasmissioni future, avendo lasciato il piacere (così suol dirsi, ma sarebbe meglio: la nausea) solo al pubblico in diretta di aver potuto godere, malamente, della sua débâcle.
Tutto questo nonostante l’ammissione di Amadeus sull’assenza del “tranello” e l’aver accettato in anticipo lo sketch da parte dell’attore, come dichiarato in conferenza. Ma ripercorriamo bene la storia.
Il tutorial dei balli cinematografici
Dopo la già discutibile scelta di farlo ballare sul palco del festival di Sanremo, con tanto di Amadeus che si toglie le scarpe come una novella Uma Thurman per imitare il famoso twist del film di Quentin Tarantino, il padrone di casa accompagna l’attore statunitense fuori dal teatro, con la scusa di farlo vedere in carne e ossa al pubblico che lo sta aspettando. E, lì, l’imboscata.
Ad aspettarli c’è Fiorello, che sarà poi co-conduttore della serata finale della manifestazione canora, e che dal primo giorno ha guidato lo speciale del dopo-festival.
Noi che racconteremo ai nostri nipoti di aver visto John Travolta, Amadeus e Fiorello ballare il ballo del qua qua#Sanremo2024pic.twitter.com/pJk2zhpROi
— SanremoESC ? (@SanremoESC) February 7, 2024
Dalle scarpe al ballo del qua qua: in cosa ti sei invischiato, John Travolta?
In preda alla bizzarria sanremese, cercando di seguire un percorso filologico con i balletti che hanno segnato la carriera di John Travolta, gli showman invitano l’interprete a imparare i passi di una tipica danza italiaca, il Ballo del Qua Qua, lanciandosi poi insieme nel balletto con tanto di ballerini attorno vestiti da papere. C’è anche un cappellino arancione a forma di becco, che però Travolta rifiuta di indossare, gettandolo a terra.
“Forse non mi sta”, una scusa o la verità? Un po’ come il caso che sta lo sta coinvolgendo per la presunta sponsorizzazione delle sue scarpe, dal cachet del valore di un milione di dollari, secondo quanto appreso da Adnkronos. La marca sarebbe la U-Power, di base a Monza, e la calzatura avrebbe attirato troppo l’attenzione delle telecamere di Sanremo, generando la pubblicità occulta che Amadeus aveva dichiarato che avrebbe voluto ben evitare.
Da specificare che l’attore è testimonial dell’azienda dall’estate del 2023, che si è detta però estranea da quello che potrebbe essere stato un accordo stretto solo tra Rai e interprete. Rai che, sostiene Amadeus, ha pagato solamente il rimborso spese a John Travolta – e che racconto vuole essere stato lui stesso a chiedere di poter partecipare al festival. In ogni caso, Codacons ha presentato un esposto ad Agcom e Antitrust, affinché venga aperta un’indagine formale.
Un’immagine indelebile
Musica, poi, fu. Come in un qualsiasi compleanno per bambini di sette anni, il trio Amadeus-Fiorello-Travolta si lancia sulle note della canzone di Romina Power (rivista nel tempo da tutte le baby dance del mondo nella versione di Serena e i Bimbiallegri). Limitarsi a festeggiare i vent’anni di Pulp Fiction, uscito nel 1994, era troppo facile.
Ora, non possiamo sapere se l’attore fosse cosciente di cosa stava accadendo, se sull’istante ha pensato fosse una trovata simpatica o se ha iniziato a morire dentro. Non possiamo nemmeno sapere se è stato qualcuno del suo entourage a farglielo notare in seguito o ha letto da solo la sfilza di post che ha inondato i social.
Sta di fatto che, passata la notte, sembrerebbe che John Travolta non abbia acconsentito a firmare la liberatoria per far circolare o ritrasmettere un domani le immagini. Come se nell’era della riproducibilità – e di Facebook, di Instagram, di X – potesse bastare. Come se una sigla su un foglio potesse cancellare dalla mente degli spettatori in diretta uno di quei momento destinati a rimanere incancellabili.
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