Questa che vi narriamo è la storia di Tracy Chapman e del suo ritorno su quella scena dove nelle stesse ore è passato l’inesausto uragano Taylor Swift, dove Billie Eilish diventa istituzione, dove Miley Cyrus è la sua ennesima rivincita: ma è anche la storia di un ritorno tout court, lei, Tracy, che da una decina d’anni si era resa invisibile, lei che Fast Car l’ha pubblicato trentasei anni fa, due mondi fa, lei che è stata la prima folksinger nera a dominare le classifiche, lei che Fast Car era diventato una specie di dolente inno Lgbt, lei che era la ragazza nera che che faceva quello strano e bellissimo folk obliquo di Talkin ‘Bout a Revolution.
Ma questa è anche la storia di Luke Combs, cantante country famosissimo oggi che non era ancora nato quando Fast Car vide la luce, che appare accanto a lei d’improvviso, condivide il palco insieme a lei, canta Fast Car insieme a lei. Nell’immaginario comune, sono le due Americhe appunto, Tracy e Luke. Loro due a fianco l’una accanto all’altro sono stati la vera epifania dei Grammy 2024, la cosa di cui tutti parlano da ieri e che ritorna come un vortice sui social, un cortocircuito di cui solo lo storytelling americano sembra essere capace con questa forza epica. La donna nera, la cantante erede di Sister Rosetta Tharpe, la donna che fonde Dylan, lo Springsteen acustico di Nebraska e li ricollega alle chitarre sciamaniche figlie dei campi di cotone diventate strumento di lotta, accanto al cantante country dei white folks, dell’America bianca della “Rust Belt” ingannata dalle promesse di Donald Trump. Le due Americhe si sono incontrate sul palco dei Grammy, questo è il fatto.
C’è chi ha pianto appena ha visto il sorriso timido di Tracy al primo boato di un pubblico colto di sorpresa, i capelli giustamente striati di bianco legati in una coda, la maglietta nera e i primi accordi di Fast Car, la canzone più struggente, più potente del suo album d’esordio che porta il suo nome, uno di quei dischi che rimangono, che conosci anche se all’epoca eri punk o ascoltavi Prince, anche se preferivi Guccini o guardavi Sanremo (quell’anno, 1988, aveva vinto Massimo Ranieri con Perdere l’amore). E c’è chi ha avuto un sussulto a sentire la voce di Luke Combs, che proietta la canzone in un tempo fuori dal tempo, in una time out of mind, in un nostro tempo che stranamente diventa tutt’uno con i nostri ricordi più lontani.
Sono cinque minuti, molto potenti, di “grande romanzo americano”. Perché, in questo vortice di storie è anche la storia della cover di Fast Car che Luke Combs ha consegnato ai nostri tempi rilanciandola nell’empireo dello showbiz contemporaneo tanto da farla diventare un meme virale su TikTok, tanto che la canzone nel 2023 è stata scaricata 65 milioni di volte su Spotify in meno di due mesi, tanto che fa diventare Tracy Chapman la prima donna nera a raggiungere la vetta della classifica country di Billboard, nonché la top ten dell’Us Country Airplay, dell’Us Hot Country Songs e la palma del singolo dell’anno agli Annual Country Music Association Awards. Oggi Fast Car è schizzata al primo posto dei downloads di ITunes.
Il bello è che Fast Car è il sogno americano all’incontrario, è un potente atto d’accusa verso l’american dream. “Tu hai una macchina veloce, e io ho un piano per farci scappare da qui… Tu hai una macchina veloce, io ho un lavoro che paga tutte le nostre bollette… Tu stai fuori a bere fino a tardi al pare, vedi più i tuoi amici che i tuoi figli… Ho sempre sperato che sarebbe andata meglio, pensavo che magari io e o te l’avremmo trovato… Io non ho piani, non vado da nessuna parte… prendi la tua macchina veloce e continua a guidare”. Sì, Fast Car è una canzone tragica, senza speranza: anzi, la macchina in pratica diventa la “carcassa di un sogno”, come scrive Alberto Piccinini.
Sì, sono due mondi che si incontrano, su quel palco (noi in Italia non ci riusciamo, neanche a Sanremo, non come sanno farlo gli storytellers figli di William Faulkner e Woody Guthrie): l’America dei sogni traditi, l’America che sa raccontarsi con spietata onestà persino sul palco glamour dei Grammy, l’America nera e l’America bianca mai come oggi dal futuro dimenticato.
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