Ci sono donne che hanno influenzato in modo trasversale la cultura del secolo scorso: charme, magnetismo, una voce profonda, un’intelligenza acuta e spregiudicata e quello sguardo consumato che ha visto, e vissuto, il backstage dell’età dell’oro della musica inglese. Una di queste è senza dubbio Marianne Faithfull, la diva della Swinging London. Marianne non si è mai fermata da quando, sedicenne nel 1964 interpretò per prima la celebre As Tears Go By scritta da Jagger e Richards, fino a che a darle uno stop è stato il Covid, da cui, dopo il ricovero in terapia intensiva nel 2020, pare non essere mai uscita.
Da allora Faithfull soffre di seri effetti collaterali e si trova in una situazione di prostrazione fisica (aggravata da un enfisema che ha da anni) ed economica tale che le ha impedito e forse le impedirà anche in futuro di cantare. Tanto che gli amici e i fan musicisti hanno deciso di tributarle un album di cover per raccogliere fondi a suo favore. Il disco, The Faithfull, a parte qualche passo falso, è bello e soprattutto molto sentito dai protagonisti, che si dichiarano tutti “allievi” della cantante e attrice britannica. Sono stati in tanti ad accorrere alla creazione di questo progetto, d’altronde sono in tanti a dovere molto a questa iconica donna.
Perché Marianne Faithfull non è certo relegata al ricordo in bianco e nero dei favolosi anni Sessanta britannici in cui sfilava sui tabloid di fianco agli amici Rolling Stones. Nei decenni si è reinventata più volte con successo, e dopo i suoi ruoli cinematografici storici (dal debutto nel 1966 su Una storia americana di Godard a Lucifer Rising di Kenneth Anger) ha messo in piedi una splendida carriera musicale (22 album in sessanta anni di carriera) per poi tornare con successo al cinema decenni dopo grazie alla sorprendente performance su Irina Palm, film del 2007 che la ritraeva nei panni di una rispettabile cinquantenne vedova costretta a riciclarsi come operatrice hot in un sex club per poter pagare una costosa operazione al nipotino malato.
A costruire il disco di tributo The Faithfull è stata Tanya Pearson, giornalista che dal 2014 raccoglie interviste in digitale di rocker donne (il progetto si chiama Women of Rock Oral History Project e si trova on line su womenofrock.com), sperando di aprire una breccia in una narrazione che per questi primi cinquanta anni di rock è stata fatta unicamente al maschile.
Già ai tempi della pandemia la Pearson tentò di organizzare un tributo e un evento per aiutare la Faithfull ma non fu semplice trovare un’etichetta discografica disponibile, anzi ricevette diversi no, in primis dalle major compresa quella per la quale la Faithfull aveva firmato i suoi album più noti.
Infine è giunta una label indipendente, la Q, che ha dato alle stampe un doppio vinile The Faithfull con 19 brani cantati e suonati da star del mondo indie ma anche mainstream come Peaches e Shirley Manson dei Garbage (sulla scandalosa Why D’ya Do It), la ex-Breeders Tanya Donelly (su una versione celestiale e malinconica di This Little Bird), Joan as policewoman (su Broken English), Lydia Lunch (su Love, Life, and Money), la cantautrice e violinista Tracy Bonham (su As Tears Go By) e molti altri.
Peccato per Iggy Pop e Cat Power sulla versione spettrale e totalmente decostruita di Working Class Hero (che fu interpretato dalla Faithfull sull’album Broken English), che sembra un esperimento di intelligenza artificiale su un sample di With or Without You degli U2 riuscito malissimo. Le donne sono ovviamente in larghissima maggioranza, essendo molte di loro dirette “figlie” di quel modo di fare arte e musica indipendente, spregiudicato, con un linguaggio diretto e tagliente, spesso sessualmente esplicito come solo una baronessa del calibro di Marianne ha saputo fare.
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