Lucio Battisti e Mogol, forse il più grande sodalizio artistico della musica italiana. Autori – insieme, dal 1965 al 1980 – di alcuni dei capisaldi dell’epoca aurea della canzone italiana. Ora, di nuovo tristemente in ballo in una controversia legale (e non solo), portata avanti da Grazia Letizia Veronese, la vedova del defunto cantautore. Esplicita e chiara, indirizza una lettera a Giulio Repetto, in arte Mogol, il produttore che co-firmò gran parte della discografia di Battisti.
La querelle nasce pochi giorni dopo la messa in onda di Lucio per amico, un docufilm Rai che celebra i venticinque anni dalla morte del cantante tra le testimonianze di amici e colleghi. Veronese si lascia andare ad accuse di ogni genere, partendo da questioni di licenze e diritti, fino ad entrare nel merito del rapporto d’amicizia dei due colleghi.
La lettera della vedova Battisti
“Eccomi qui. Sono passati 25 anni da quando Lucio Battisti non è più fra noi. Noto, caro Giulio, che non perdi occasione pubblica per spargere il tuo miele su Lucio, dichiarando di averlo amato tanto: io credo che tu abbia ragioni per amarlo molto di più adesso, visto che ancora oggi, dopo un quarto di secolo dalla sua morte, non ti riesce di separare il suo nome dal tuo”. Esordisce così, senza mezzi termini, Veronese.
“Ragionier Giulio Rapetti, imprenditore, in arte Mogol, paroliere. Noto anche che, in queste occasioni non fai mai alcun cenno alle innumerevoli cause che hai intentato dopo la morte di Lucio. Ed ecco ora, dopo sette anni dalla sentenza del 2016, una nuova identica causa, questa appena nata, ma ancora per ‘perdita di chance’”. Veronese allude poi a contenziosi personali. “Ti ricordo (fra parentesi) che sono ancora in attesa di una risposta. Sono passati tre anni e hai ritenuto di ignorare quella lettera ma, nel frattempo, hai continuato a produrre programmi che hanno al centro Lucio Battisti (che, consentimi il termine, è diventato il tuo passepartout)”.
“Infine, per quanto riguarda la salute di Lucio e le cause della sua morte, ti chiedo gentilmente di lasciar perdere le tue infondate supposizioni e ogni altra illazione. Ti chiedo soltanto di rispettare la sua dignità di uomo, dopo avere tanto lusingato la sua figura di artista”.
E la vedova conclude: “A tal proposito, ti invito a non raccontare più la commovente storia della ‘lettera consegnata di nascosto a Lucio’, ora da un’infermiera, ora da un medico, ora da un non meglio identificato ‘professore’… Voglio precisare, una volta per tutte, che mio marito in quei giorni lottava per la sua vita, che nessuno ha mai ricevuto una tua lettera, che Lucio in quegli stessi giorni non è stato mai lasciato solo e che non ha mai pianto, tantomeno ricordando la vostra amicizia’. Ti rammento che il vostro ‘sodalizio artistico’ si era interrotto nel lontano 1980. Sono passati ormai 43 anni, Giulio! Senza rancore. Grazia Letizia Veronese Battisti”.
La reazione di Mogol
Non tarda ad arrivare la controffensiva di Mogol. Risponde poco dopo, rilasciando un’intervista a QN, in cui afferma di non aver letto la lettera, ma di essere stato informato sul contenuto .”Veramente io pensavo mi stesse cercando per un ricordo di Franco Migliacci, un collega che ho stimato tantissimo e che tanto ha dato alla canzone d’autore non solo italiana…”, esordisce, mostrandosi risentito ma non particolarmente offeso dalle illazioni sul suo conto.
“Zero polemiche. Sulle vertenze giudiziarie si sono espressi e si esprimeranno i magistrati. Ma non mi interessa replicare. Se non su un paio di particolari”. Tra questi, la definizione di paroliere, alla quale il compositore si oppone fermamente. “Io ho sempre considerato una forma di mancanza di rispetto l’uso del termine paroliere per chi scrive versi destinati alle canzoni. E Lucio la pensava come me. Paroliere è chi realizza lo schema delle parole crociate, cinque orizzontale tre lettere, sei verticale otto lettere. È come quando ad un giornalista si dà del giornalaio, è un modo spregiativo di valutare il lavoro di una persona. È una questione di principio”.
E ancora, Repetto prosegue: “Mi dispiace si possa anche soltanto immaginare che io mi sia inventato di aver fatto avere una lettera a Lucio nel periodo finale della sua malattia. Non so che motivo avrebbe potuto spingermi a raccontare una bugia”. A dare ulteriore adito alla tesi del compositore è Antonio Del Santo, medico dell’ospedale San Paolo di Milano, dove Battisti trascorse gli ultimi giorni della sua malattia nel 1998. “Ho consegnato io stesso il biglietto. Mogol desiderava fargli sapere che lo pensava e che era a sua disposizione per qualsiasi cosa. Quelle parole semplici colpirono Battisti al punto da commuoverlo. L’ho detto e lo ribadisco. Sono l’unico a poterlo fare: ero lì. Riuscì, non so come, a nasconderlo alla moglie. Non ho davvero idea di che fine abbia fatto”.
Mogol si lascia andare a pochissime dichiarazioni. Chiosa cercando di porre fine, una volta per tutte, ai gossip e alle congetture sulla fine del loro rapporto artistico dopo l’album Una giornata uggiosa del 1980. “Per la milionesima volta: non litigammo, non ci fu nulla di personale. Fu una questione economica. Io trovavo giusto che i diritti sulle canzoni fossero ripartiti paritariamente tra noi, nonostante la legge dicesse un’altra cosa. Lui inizialmente sembrava d’accordo, invece andò a casa e cambiò idea e ci separammo. Tutto qui”.
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