Quest’ultimo dolore Ree non lo meritava: i figli diventati nemici che si insultano nelle aule dei tribunali, che si azzannano, che si fanno la guerra. Ree è Aretha Franklin morta il 16 agosto del 2018. Artista gigantesca: una voce commovente e potentissima, un’estensione di quasi quattro ottave, praticamente una sorta di orchestra, e tutta l’anima del mondo racchiusa in un cuore in perenne tumulto.
Al centro della disputa chiusa con una sentenza lo scorso 12 luglio c’è l’eredità della Regina del Soul: 80 milioni di dollari (circa 72 milioni di euro), una villa faraonica, auto di lusso e ovviamente i diritti delle esecuzioni che continuano a fruttare montagne di soldi ogni anno.
Il problema nasce da due diversi testamenti: uno del 2010 trovato in un armadietto chiuso a chiave nella casa di Detroit della star, l’altro rinvenuto nel 2014 sotto i cuscini di un divano, pochi fogli scritti a mano che per la corte del Michigan rappresentano le volontà definitive della cantante. Ree ha avuto quattro figli, due nati quando lei era ancora una bambina.
Ebbene, secondo i giudici il patrimonio di Franklin andrà a Edward e Kecalf (rispettivamente 66 e 53 anni), mentre sono stati esclusi il primogenito Clarence, da tempo ospite di una clinica per malattie mentali, e il più giovane della famiglia, Theodore White II, che ha già annunciato altre battaglie legali.
Aretha Franklin, Lady Soul
Non è stata semplice la vita di Aretha diventata madre quando aveva appena 12 anni, poi sposata a Ted White, il suo manager, un uomo violento il cui unico obiettivo è stato quello di sfruttare il talento infinito di una ragazza cresciuta cantando il gospel nella chiesa del padre, pastore battista.
Era nata a Memphis il 25 marzo del 1942 e ci metteva l’anima. Lady Soul, appunto. Nessuna davvero come lei, con quella voce dichiarata “patrimonio della natura”, venti premi Grammy (otto dei quali vinti consecutivamente nella stessa categoria dal 1968 al1975), la prima donna ad entrare nella Rock and Roll Hall of Fame.
Tanta meraviglia in pubblico, tanto dolore in privato. Quando se n’è andata 5 anni fa per un cancro al pancreas era irriconoscibile. Un’esistenza trascorsa tentando di dimagrire per poi diventare all’ultimo una sorta di figura ultraterrena: magrissima, esile, fragile con ogni abito del suo debordante guardaroba trasformato in uno straccetto poggiato a caso sulla pelle rinsecchita. E poi, poi le depressioni, la bulimia, l’alcolismo, la collezione di disillusioni, nevrosi e diete.
Mrs. Murphy in The Blues Brothers
Ma nonostante tutto questo Ree Franklin resta un’icona non solo del soul ma dei diritti. Quando nel 1967 interpreta Respect di Otis Redding parla non solo agli afroamericani ma alle donne maltrattate, a tutti i movimenti, a tutti gli esseri che chiedono rispetto, dicono che la loro vita conta.
Unica anche quando interpreta Mrs. Murphy con le ciabatte e il vestito unto dal grasso, cameriera di una tavola calda. Lei che in pochi minuti si prende la scena in The Blues Brothers, il film culto di John Landis, cantando Think, urlando forte “Freedom”.
A proposito di cinema, ci sono almeno tre progetti da citare e che omaggiano la storia della Regina, tutti datati 2021. Il primo è un biopic sotto forma di serie tv Genius: Aretha, in onda sul canale di National Geographic (e poi su Disney+) con protagonista una formidabile Cynthia Erivo. Opera cassata dagli eredi: troppo scabrosa, troppo dura.
A seguire il film Respect diretto dalla regista afro-americana Liesl Tommy con Jennifer Hudson, scelta proprio da Ree. Un cortometraggio edulcorato, zuccherino, che dice poco o niente dei drammi e dei tormenti dell’ artista.
Sydney Pollack e la meraviglia di Amazing Grace
E infine a sorpresa, dopo anni di amnesie, è arrivato il documentario Amazing Grace girato da Sydney Pollack. Ecco, quest’ultimo vale veramente la pena di essere visto. Anche per l’incredibile, sofferta genesi. Siamo nel 1972, più esattamente il 13 e 14 gennaio. Ree ha 29 anni, ed è una celebrità assoluta con 20 album alle spalle. Eppure vuole tornare a cantare il gospel, riavvolgere il filo della memoria, ritrovare lo spirito più profondo – la voce di Dio – ma anche la rabbia per i diritti civili calpestati da un’America razzista.
Sceglie di esibirsi dal vivo, senza fronzoli, nella New Temple Missionary Baptist Church di Los Angeles accompagnata dal coro diretto da Alexander Hamilton. Con lei una formazione scarna, un semplice trio: Chuck Rainey al basso, Cornell Dupree alla chitarra e Bernard Purdie alla batteria. Non è un semplice concerto: è Ree che canta il Cielo e le disgrazie della terra, è estasi ed è dolore con attimi di pura, sconvolgente trasfigurazione mistica: “Incredibile grazia, dolce suono che ha salvato una disperata come me…Ero persa ma ora mi sono ritrovata, ero cieca, ma adesso vedo”.
Il pubblico è sbalordito, stordito, sgomento (in sala anche Mick Jagger e Charlie Watts dei Rolling Stones), i coristi in lacrime serrano le mani per pregare, Aretha è immensa. Canta e suona in un bagno di sudore, brilla come una stella dell’iperuranio, armonizza tutte le note dell’universo. Il risultato è un disco imprescindibile nella storia della black music – Amazing Grace, appunto – e un filmato (con lo stesso titolo dell’album) nato invece sotto una cattiva stella. La casa discografica Warner chiede a Pollack di riprendere l’evento nella chiesa californiana in quel 1972.
Ma qualcosa non funziona, non c’è sincrono tra le immagini e il suono. Fatto sta che la pellicola resta in un caveau finché nel 2007 viene recuperata dal produttore Allan Elliott che la acquisisce direttamente da Pollack che morirà l’anno successivo. Grazie a una post-produzione complessa Allan riesce a restituire forma e dignità a un progetto fallito. Seguono poi le richieste di autorizzazione alla Regina del soul: un’operazione diplomatica complicatissima.
La voce di Ree
Un semi accordo viene raggiunto nel 2015, ma poche ore prima della proiezione di Amazing Grace al Telluride Film Festival, sarà proprio Aretha a bloccarne l’uscita. Il motivo ufficiale è “per la tutela dell’immagine”, ma c’è chi parla di una mancata intesa economica. Finalmente arriviamo al 2021 quando l’opera – grazie al consenso degli eredi di Ree – esce per davvero.
Ma è a questo punto della storia che Elliott fa causa a sua volta al distributore del doc, la Neon, una piccola potenza nell’ambito del cinema indipendente che è dietro il successo di due film Oscar come Parasite e I, Tonya. Motivo? Secondo il produttore la Neon ha smistato poco e male il documentario. Per questo ha chiesto come risarcimento 5 milioni di dollari.
La questione non si è ancora risolta ed è un vero peccato perché Amazing Grace è una testimonianza di carne, travolgente, potente: è l’essenza di Aretha Franklin in soli 88 minuti. Quella voce che è corpo, è spirito, è tragedia, è amore, è passione, è il sudore ed è il pianto di un intero popolo che vuole alzare la testa. Quella voce che ci resta dentro come una carezza e una tempesta. La voce di Ree. Nessuna come lei, oltre lei.
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